‘Ndrangheta di un paese-mondo: le più grandi ‘ndrine sanlucote

La morte di Giuseppe Nirta, il boss di San Luca, chiude un’epoca e consente di ricostruire come questo piccolo centro è diventato fondamentale per l’affermazione della ‘ndrangheta. Nella prima parte è stato ricostruito il rapporto tra San Luca e la ‘ndrangheta (https://www.iacchite.blog/ndrangheta-di-un-paese-mondo-mamma-san-luca/). Nella seconda parte si parla di guerra e faide (https://www.iacchite.blog/ndrangheta-di-un-paese-mondo-san-luca-in-guerra-e-le-faide/).

Fonte: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE,
ECONOMICHE E SOCIALI
CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN
SCIENZE POLITICHE
‘NDRANGHETA DI UN PAESE-MONDO
IL CASO DI SAN LUCA
Elaborato finale di: Giovanni Balducci
Relatore: Prof. Fernando Dalla Chiesa

Le più grandi ‘ndrine sanlucote

Nonostante le piccole dimensioni, il paese di San Luca vanta gerarchie criminali di notevole importanza. Numerose sono le famiglie ‘ndranghetiste che si spartiscono il territorio sanlucota. Tra queste troviamo i Nirta, gli Strangio, i Pelle, i Vottari, i Romeo, i Giorgi e i Mammoliti.

Queste possono essere in parte ricondotte, ma non senza difficoltà, a due grandi fazioni che sono quelle dei Nirta-Strangio e dei Pelle-Vottari-Romeo, spesso in guerra tra loro.
Infatti nomi e cognomi ricorrono frequentemente, non è raro che fazioni opposte contino al proprio interno omonimi, come nel caso della faida tra i due gruppi sopra citati.
Nel contesto criminale, i Nirta si distinguono in due famiglie, i Nirta-Strangio e i Nirta Scalzone.

Per Nirta-Strangio si intende l’alleanza criminale fra i Nirta, detti Versu, e gli Strangio, detti Jancu, che è quella coinvolta nella faida del ‘91 e che è guidata da Giovanni Luca Nirta (NS 1969), detenuto da agosto 2007.

Il boss, tra i giovani del lancio delle uova del lontano Carnevale del 1991, è il vedovo di quella Maria Strangio assassinata nell’agguato del 25 dicembre 2006 ordito dai PelleVottari e di cui era bersaglio principale, figlio di Antonia Giorgi e del capobastone Giuseppe Versu Nirta (NS 1940), detto anche “Peppe” u Guardianu, arrestato nel 2008 a Bianco.
Fratello di Francesco Nirta (NS 1974), “Gianluca” Nirta è legato anche a Giovanni Strangio (NS 1979), cugino della defunta moglie e del di lei fratello Sebastiano Strangio (NS 1970), oltre ad essere fratello di Angela, Aurelia e Teresa, queste ultime due mogli rispettivamente di Giuseppe Charlie Nirta (NS 1973) e Francesco “Franco” Romeo (NS 1967). Sebastiano Strangio ha anche altri due fratelli, Francesco (NS) e Antonio (NS).

Giovanni Strangio aveva già scontato quattro mesi in carcere perché armato di pistola e pericoloso al funerale della cugina, quando, nel marzo 2009, venne arrestato insieme al cognato Romeo e poi condannato all’ergastolo per la strage di Duisburg. Nel novembre 2008 era stato catturato anche l’altro cognato, Nirta, questi rifugiatisi ad Amsterdam insieme alle tre donne Strangio, le quali erano arrivate fin lì dalla Calabria per migliorare la permanenza olandese dei congiunti con vivande della terra di origine.
Tornando ai Nirta, dopo l’arresto del padre e del fratello Giovanni Luca Nirta tra il 2007 e il 2008, la reggenza della cosca passò a Paolo Nirta (NS 1977), per un breve periodo dato che verrà anche lui arrestato nell’agosto 2008.

Gli Strangio Janchi, legati ai Nirta Versu, non vanno confusi con gli Strangio detti Barbari, un’altra cosca di San Luca, seppur ugualmente vicini ai Nirta.
Omonimi di quelli, i Nirta Scalzone, detti anche “La Maggiore” per l’evidente ruolo di potere nella locale di San Luca, discendono da Bruno Nirta (N) e Teresa Giampaolo, i cui figli Giuseppe, Antonio, Francesco e Sebastiano hanno permesso alla ‘ndrangheta quel salto di qualità che l’ha avvicinata alla massoneria, ai servizi segreti e alla politica.

Giuseppe “Peppe” Nirta (N 1913), storico boss dei Nirta fino al suo assassinio nel 1995, tanto da essere da tutti riconosciuto come “mammasantissima”, è quel Peppe Nirta del summit di Montalto del 26 ottobre 1969 dove Giuseppe Zappia di Taurianova, conscio della necessità di unificare una volta per tutte la ‘ndrangheta dirà:
“Qui non c’è ‘ndrangheta di Mico Tripodo, non c’è ‘ndrangheta di ‘Ntoni Macrì, non c’è ‘ndrangheta di Peppe Nirta: si dev’essere tutti uniti. Chi vuole stare sta e chi non vuole se ne va”.
Pare che Peppe Nirta sia stato assassinato per volere dei piani alti delle ‘ndrine calabresi, mentre secondo il giudice Macrì, invece, per punire i moderati, dato che la ‘ndrangheta avrebbe aperto una guerra contro lo Stato.

Giuseppe Nirta è stato, però, anche uno dei primi capobastone della ‘ndrangheta a cogliere l’importanza economica del business del riciclaggio dei rifiuti tossici e radioattivi, permettendo all’organizzazione di ampliare le sue attività illegali e proficue.
Al summit di Montalto, dove furono arrestate 69 individui, insieme a Giuseppe Nirta erano presenti anche i fratelli Antonio e Francesco Nirta.

Antonio Nirta “Il Vecchio” (N 1919), subentrato ad Antonio Macrì di Siderno dopo la sua morte nel 1975 nel corso della prima guerra di ‘ndrangheta, partecipò alla costituzione di una loggia supersegreta che univa ‘ndrangheta e destra eversiva.
Fu membro della Commissione Provinciale di Cosa Nuova e sfruttò il suo prestigio per favorire i De Stefano, portando alla conclusione della seconda guerra di ‘ndrangheta.
Sempre con i De Stefano cercò un accordo per porre fine alla faida di San Luca. Francesco Nirta (N 1925), detto anche “Don Ciccio”, a sentire le parole del collaboratore Vincenzo Calcara, insieme al fratello Peppe Nirta avrebbe procurato a Cosa Nostra l’esplosivo per la strage di Capaci, dove perse la vita il giudice Falcone.
Arrestato nel 1992, aveva due figli, Bruno, assassinato nell’86, e Antonio.

Quest’ultimo è Antonio Nirta “Due nasi” (N 1946), detto anche “l’Esaurito”, e che, secondo diverse fotografie e gli inquirenti dell’epoca, sarebbe stato presente il 16 marzo 1978 in via Fani, a Roma, per assistere al sequestro dell’onorevole Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. La sua presenza viene ribadita nelle dichiarazioni di Saverio Morabito datate 1992, in cui il pentito rivela che il sanlucota sarebbe stato confidente del generale dei carabinieri Francesco Delfino e uno degli esecutori materiali del sequestro del presidente democristiano. Una vicenda, certo, carica di interrogativi su un eventuale legame tra la ‘ndrangheta, BR e lo Stato.

Ci sono poi i Romeo, legati ai Tripodo poichè il capobastone Sebastiano Romeo, detto u Staccu, aveva dato in sposa sua figlia al figlio del boss, tale Venanzio Tripodo e i Mammoliti, i cui esponenti principali erano i fratelli Giuseppe, Francesco e Sebastiano ed erano detti Fischiante. Costoro pare fossero in stretti legami con entrambi i rami degli Strangio, i Nirta Versu, i Giorgi e i Versacei.

Anche il cognome Pelle è detenuto da due fazioni diverse: i Pelle-Vottari e i Pelle Gambazza.
I Pelle-Vottari, la fazione coinvolta nella faida di San Luca, è guidata da Antonio Pelle (PV), che dà il soprannome Vancheddu alla cosca, e dal figlio Francesco Pelle (PV 1977), detto Ciccio u Pachistanu, che, costretto sulla sedia a rotelle, ordinò l’agguato a Gianluca Nirta in cui morì la moglie di questi, Maria Strangio. Gli esecutori dell’omicidio furono il fratello del boss, Giuseppe Pelle (PV), u Pepparegliu, e i fratelli Vottari.

La famiglia Vottari fa capo a Francesco Vottari (PV 1971), detto Franco o Ciccio u Frunzu, nome questo che si estende a tutta la cosca. Figlio di Giuseppe Vottari (PV 1945) morto ammazzato nel 1986, è sposato con Maria Pelle, figlia di ‘Ntoni Gambazza (P 1932); tant’è che pare che alla notizia dell’agguato di Natale, l’ora defunto boss Gambazza abbia richiamato la figlia nella casa paterna, per ribadire la propria estraneità e dei “suoi” Pelle all’accaduto.

La cosca dei Vottari è poi costituita dai fratelli del boss: Antonio Vottari (PV), assassino dei due giovani dei Nirta-Strangio nel lontano 1991 e per questo assassinato, e gli altri due, accusati di aver partecipato all’omicidio di Maria Strangio, Santo Vottari (PV 1972) e Sebastiano Vottari (PV 1983), quest’ultimo detto u’ prufissuri e la cui testa era stata proposta per arrivare alla pace con i Nirta-Strangio; fu però catturato nel 2007.
Ai Pelle-Vottari sono poi legate le famiglie dei Giampaolo detti Russello, dei Marmo e dei Giorgi, delle quali alcuni esponenti compaiono tra le vittime della strage in Germania del 2007.

I Marmo sono originari di Bosco Sant’Ippolito, frazione di Bovalino e sede operativa dei Vottari, tra questi figurano i fratelli Achille Marmo (PV) e Marco Marmo (PV 1982), quest’ultimo ucciso a Duisburg.
Anche nella famiglia dei Giorgi di San Luca, quelli detti Boviciani, si annoverano le vittime di Ferragosto: Francesco Giorgi (PV 1991) e lo zio Sebastiano Strangio (PV 1968), omonimo del cognato di Gianluca Nirta (NS 1969) nonché fratello di un altro Giovanni Strangio (PV) con il quale gestiva il ristorante tedesco “Da Bruno” e di cui era chef. Francesco Giorgi è invece figlio di Giovanni Giorgi (PV) e Teresa Strangio, da qui il legame con gli Strangio alleati dei Pelle-Vottari.

Vi è, però, un’altra ramificazione dei Giorgi e sono quelli detti Ciceri, alleati dei Nirta Versu.
Diversamente, la fazione dei Pelle Gambazza, la più antica delle due, era guidata fino al 2009, quando morì, dal capobastone Antonio Pelle (P 1932) detto ‘Ntoni Gambazza.
Questi, sposato con Giuseppa Giampaolo, aveva tre figli maschi: Salvatore Pelle (P 1957), detto Sarvu Gambazza, Domenico Pelle (P 1968) e l’altro storico capobastone Giuseppe Pelle (P 1960), mammasantissima, marito di Marianna Barbaro di Platì.
Figlio di Sarvu Gambazza è quell’Antonio Pelle (P 1986) che “gestiva” gli esami per sé e i suoi colleghi all’Università di Architettura di Reggio Calabria, dove è riuscito anche a laurearsi dando ben nove esami in quarantacinque giorni. Esami che si sommavano agli altri per un totale di ventidue, ottenuti, a detta dei carabinieri e della Procura che lo ha indagato per falso e truffa, tramite favori dovuti al suo importante nome. La capacità del novello architetto di influenzare le decisioni dei docenti dell’ateneo si inserisce a pieno titolo nel controllo del territorio e delle istituzioni, nonché nella vastissima rete di relazioni personali, pilastri delle famiglie di ‘ndrangheta. La stessa capacità “mafiosa” gli valse l’orgoglio dello zio Giuseppe Pelle, il cui figlio, Ciccio, era entrato nella facoltà proprio grazie alle conoscenze del cugino.

Giuseppe Pelle, invece, aspirava a divenire capo crimine al posto del padre Antonio Pelle, quando poi nel 2009 fu scelto Domenico Oppedisano. La nomina di Oppedisano avvenne proprio al matrimonio tra la figlia del boss Pelle, Elisa, e Giuseppe Barbaro.
È proprio nella casa di Bovalino di Giuseppe Pelle Gambazza, che si presentò il 20 marzo 2010, Giovanni Zumbo.

Lo spione Giovanni Zumbo

La questione Zumbo rientra in quella misteriosa quanto vasta relazione che la ‘ndrangheta, soprattutto nel suo organo di vertice, ha con il “mondo altro”, a detta del procuratore Pignatone, il mondo dei servizi segreti, della politica e della massoneria deviata.
Giovanni Zumbo era fino ad allora un semplice commercialista e gestore di un negozio di vernici nonché amministratore dei beni confiscati alla ‘ndrangheta dal 1992 al 2007, quando fu presentato al capobastone Gambazza da Giovanni Ficara, che di lui dirà:
“chi me lo ha presentato a me, lui, non ne può fare a meno. […] non c’è bisogno di pagarlo perché loro già prendono bei soldi! Per questo fatto… che sono nei Servizi”.
E in effetti Zumbo non vorrà nulla in cambio per le sue preziose informazioni, rifiuterà denaro e cesti di doni perché il suo è stato “il dovere di un onesto cittadino”, di un riggitano:
“faccio parte tutt’ora di un sistema che è molto, molto più vasto…ma vi dico una cosa in tutta onestà: sunnu i peggiu porcarusi du mundu. Ed io che mi sento una persona onesta e sono onesto e so di essere onesto…molte volte mi trovo a sentire determinate porcherie che a me mi viene il freddo. […] Io volevo, sul bene dei miei figli, io vi volevo conoscere… perché per quello che ho sentito negli ultimi vent’anni uno deve essere orgoglioso… da una persona così, devo essere onesto. Cioè un vero uomo. E quando vi dico uomo, vi dico
uomo!”
È questo il suo biglietto da visita a Bovalino prima di divulgare tutte le informazioni relative all’operazione “Crimine”, tra cui i nomi di tutti gli affiliati all’organizzazione nel mirino dell’Arma dei Carabinieri, nomi di cui prontamente Gambazza esigerà di essere l’unico informato, con la finalità di potersi sbarazzare di alcuni individui scomodi senza avvisarli dell’operazione.

L’operazione Crimine comunque non andò in fumo, perché neppure il commercialista sapeva delle microspie disseminate per la casa del capobastone. Sul finire di aprile furono arrestati proprio Giuseppe Pelle e Ficara, cosicché l’operazione potesse essere fatta scattare anticipatamente riuscendo a colpire i pezzi grossi della ‘ndrangheta già noti.
Molto probabile è che Zumbo sia stato un “dono” da parte di Giovanni Ficara al boss Pelle in un ottica di accreditamento mafioso che gli potesse permettere di avere un forte alleato nella sua diatriba con il cugino Giuseppe Ficara.

Proprio al cugino era stata fatta risalire un’auto piena di armi ed esplosivi il 21 gennaio dello stesso anno, giorno della visita dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e quella Fiat Marea verrà scoperta grazie alla “soffiata” dello stesso Giovanni Zumbo al carabiniere Roberto Roccella, appuntato che, si scoprirà poi, avere legami duraturi con il commercialista, tanto da aderire entrambi a logge massoniche.
A ciò si aggiunge che le armi ritrovate erano vecchie e in disuso quindi probabilmente poste lì non per un attentato ma funzionali a farle risalire al Ficara, lasciate lì apposta per essere fatte trovare.

Purtroppo rimangono nell’ombra i reali mandanti della visita di Bovalino, chi siano questi purcarusi del sistema di cui il commercialista faceva parte e quali interessi gli apparati di sicurezza avessero in un legame con il capobastone sanlucota.
La vicenda Zumbo continua, quindi, ad essere avvolta nel mistero, sempre più fitto date le minacce di quest’ultimo di scuotere tutta Reggio Calabria se solo parlasse, essendo, a suo dire, a conoscenza di ogni cosa successa negli ultimi dieci anni.