‘Ndrangheta, il “sistema Scimone” e le società cartiera: così le cosche riciclavano dalla Croazia all’Austria

Indagava sulla ’ndrangheta, ma aveva avviato una società di fatto con un soggetto “ritenuto organico” delle cosche di Siderno. Ruota attorno alla figura del carabiniere Michele Bruschi, l’inchiesta chiusa dal pm di Reggio Calabria Sara Parezzan che, nelle settimane scorse, ha notificato l’avviso a 15 indagati coinvolti in truffe milionarie organizzate all’ombra dei clan. L’indagine è un filone del processo “Martingala” su una rete di società fantasma, il cosiddetto “Sistema Scimone” dal nome dell’imprenditore in odor di mafia che lo avrebbe messo in piedi, Antonio Scimone arrestato nel 2018. Ancora sotto processo in riva allo Stretto, per associazione a delinquere aggravata dall’aver agevolato “gli interessi economici della ’ndrangheta”, nel frattempo Scimone è stato condannato a 5 anni e 4 mesi dal Tribunale di Firenze solo per usura e riciclaggio.
Il carabiniere Bruschi è accusato di far parte del sodalizio e di corruzione. Agli atti della Dda c’è pure il tentativo di “far assumere Scimone nei servizi segreti, bypassando la procedura di reclutamento”.

In cambio, l’imprenditore lo avrebbe ricompensato con una Volkswagen Golf Gtd. Sta tutto nelle chat decriptate dalla Dia sul cellulare di Scimone. “Hai amicizie… che i servizi mi piacciono”. “Dipende”. “Ti regalo la Gtd nuova nuova”. “Ti posso presentare… ma devi portare notizie serie”. Le conversazioni sono chiarissime: “Mi appassionano i segreti d’Italia… Digli che se non hanno nessuno, posso essere il referente per Bianco (cittadina in provincia di Reggio Calabria, ndr)”.“Io ti porto. Per farti entrare altro che Golf… con ‘ques ti’bisogna garantire”. “Ma ci sono vantaggi o solo Croce rossa?”. “Credo di sì”. Stando ai loro discorsi, l’interlocuzione con l’Aisi c’è stata realmente: “Stanno verificando”. “La verifica la facciamo con quello di Reggio ricordi? Quello dei pasticcini di Roma? Aisi”. “Boh”. “Oggi mi hanno chiesto se sei affidabile”. “Azz… e poi si tratta della sicurezza d’Italia. Quello per cui hai giurato”.“Giurerai pure tu”. Nel dicembre 2017Scimone non vede l’ora di farlo. Passano i mesi e scalpita. Per invogliare il carabiniere gli parla di traffici illeciti dall’Albania alla Locride che, se viene assunto, è pronto a svelare ai servizi: “La pelle è la mia… Qua si rischia il culo”. “Sei in lavorazione. Sei osservato”. Bruschi lo rassicura: “Si è preso il tuo numero. Ha detto che siamo molto vicini, che tra non molto ti chiamerà per una chiacchierata”. Chi, non è dato saperlo. Ma un mese dopo Scimone è stato arrestato. (fonte Il Fatto Quotidiano) E a questo punto della storia, è più che mai opportuno ricordare le circostanze che nel 2018 portarono all’arresto di Scimone… 

di Lucio Musolino

Fonte: Il Fatto Quotidiano 19 febbraio 2018 

Il regista delle movimentazioni finanziarie della ‘ndrangheta era l’imprenditore Antonio Scimone. È lui il principale indagato, fermato oggi dalla procura di Reggio Calabria assieme ad altre 26 persone nell’ambito dell’inchiesta Martingala, condotta dal Direzione investigativa antimafia e dalla Guardia di Finanza. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni e reati fallimentari.

Un’inchiesta condotta dalla Dda di Reggio in sinergia con la procura di Firenze che, al termine delle indagini dei carabinieri e delle fiamme gialle, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare per 14 persone e il sequestro di 12 società e ingenti disponibilità finanziarieSul fronte calabrese l’inchiesta della Direzione investigativa antimafia, coordinata dal procuratore vicario Gaetano Paci, dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dai sostitutiStefano Musolino e Francesco Tedesco, ha consentito di accertare l’esistenza di un articolato sodalizio criminale che aveva base a Bianco, nella Locride, ma che godeva di ramificazioni in molte regioni d’Italia e all’estero.

Se Antonio Scimone era l’elemento di vertice dell’organizzazione criminale, principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni, al suo fianco ci sono Antonio Barbaro (esponente dell’omonima cosca conosciuta con il soprannome de “I Nigri”), Bruno Nirta e suo figlio Giuseppe Nirta di San Luca. Il meccanismo prevedeva un gruppo di società di comodo che avevano sede in Croazia, in Slovenia, in Austria e in Romania. In realtà, secondo gli inquirenti, si trattava di società “cartiere” che servivano per mettere in piedi operazioni commerciali inesistenti grazie a documenti fiscali e operazioni di pagamento fittizie. Ecco perché, entro i due anni dalla costituzione di queste società, la sede legale veniva trasferta nel Regno Unito dove poi cessavano l’attività evitavando in questo modo accertamenti, anche ex post, sulla loro contabilità. Uno stratagemma che consentiva di schermare numerosi trasferimenti di denaro, da e verso l’estero, funzionali agli indagati per riciclare e reimpiegarei soldi sporchi della ‘ndrangheta. Ma non solo. Il meccanismo delle false transazioni commerciali serviva a instaurare articolati flussi finanziari tra le aziende degli indagati. Flussi che poi sarebbero stati messi a disposizione di numerosi “clienti” delle società cartiera per frodare il fisco.

Ecco quindi, che nella rete della Direzione distrettuale antimafia sono finiti imprenditori “espressione, direttamente o indirettamente, delle cosche di ‘ndrangheta operanti sul territorio dei tre mandamenti, quello ionico, quello reggino e quello della Piana di Gioia Tauro. Stando alle indagini della Dia, infatti, dai conti correnti delle società “cartiere” messe in piedi da Scimone transitavano centinaia di migliaia di euro al mese. Soldi che poi rientravano in Italia mediante bonifici a società di comodo oppure finivano sui conti delle società estere da dove, in un secondo momento, venivano prelevati e portati in contanti in Calabria.

Dall’inchiesta Martingala è emerso come l’organizzazione sia stata capace di infiltrarsi nella gestione ed esecuzione di appalti pubblici con la predisposizione di contratti di joint venture, o anche tramite i contratti di “nolo a freddo”. Così Scimone è stato in grado di drenare, in modo apparentemente lecito, denaro da società che si erano aggiudicate appalti pubblici. Grazie alle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, inoltre, la Dia ha svelato l’esistenza di una folta schiera di imprenditori di Reggio Calabria che si sarebbero rivolti a Scimone per usufruire dei servizi del sodalizio criminale. Tra questi c’è P. C., socio di maggioranza ed amministratore di una società che si occupa di costruzioni e della gestione di condutture di gas. I pm lo accusano di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita. Ma anche l’imprenditore Antonino Mordà, in passato coinvolto in procedimenti di mafia, che aveva una grossa disponibilità di liquidi reimpiegati nell’usura e nell’esercizio abusivo del credito, soprattutto ai danni di imprenditori locali in difficoltà. Un’attività “secondaria” per la quale Mordà si sarebbe avvalso della collaborazione di Pierfrancesco Arconte, figlio di Consolato Arconte che nel processo “Olimpia” è stato riconosciuto come elemento di vertice della cosca Araniti.

L’inchiesta di oggi è, in sostanza, il seguito dell’operazione Cumbertazione che l’anno scorso ha portato all’arresto di imprenditori, legati alla cosca Piromalli, che facevano incetta di appalti pubblici finanziati anche con i fondi europei Pisu (Piani Integrati di Sviluppo Urbano). Imprenditori come i Bagalà di Gioia Tauro e Giorgio Morabito che si sarebbero avvalsi del reticolo di imprese di Scimone. Tra gli appalti passati allo scanner dagli inquirenti c’è quello indetto dal vomune di Rosarno per il “Centro polisportivo a servizio della città-porto”. Per realizzarlo, la società che aveva vinto l’appalto, la Barbieri Costruzioni Srl, aveva ottenuto un’anticipazione dal Comune di  877mila euro. Buona parte di questi soldi, circa 670 mila euro, sono finiti dai conti dell’impresa Barbieri ai rapporti finanziari delle società italiane riconducibili a Scimone e, subito dopo sui conti delle imprese estere “Nobilis Metallis Doo” e “B-Milijon”.

Il giro vorticoso di denaro si è concluso con una serie di bonifici in favore degli imprenditori coinvolti nel sistema, P. C.  e Antonino Mordà. Prelevate in contanti e ripulite, le somme poi sono state consegnate da Scimone a Giorgio Morabito. Il cosiddetto “sistema Scimone” è stato utilizzato anche per il “Centro polifunzionale – lato sud del lungomare di Gioia Tauro” per il quale l’organizzazione è riuscita a intascarsi quasi 776mila euro a fronte di fatture emesse dalle società “cartiera”. Per gli investigatori, quindi, Scimone è un riciclatore professionista al servizio non della singola cosca, ma di tutta la ‘ndrangheta che opera nella provincia di Reggio Calabria. Oltre ai 27 fermati, nell’inchiesta “Martingala” sono indagate e denunciate altre 46 persone. La Procura di Reggio ha, inoltre, sequestrato 51 società in Italia e all’estero, 19 immobili e disponibilità finanziarie per circa 100 milioni di euro.