Omicidio Bergamini, il ciclone Fineschi sul legale della Internò: “Basta col gioco delle tre carte”

Vittorio Fineschi, Giorgio Bolino e Roberto Testi sono i tre medici legali che ci hanno restituito la verità sull’omicidio di Denis Bergamini. Se ci avessero detto, soltanto qualche anno fa, che un giorno sarebbero entrati tutti e tre dentro il Tribunale di Cosenza per testimoniare davanti a una Corte tutto quello che hanno scoperto, nessun cosentino ci avrebbe creduto. E invece una bella mattina. il 25 ottobre 2022, è successo davvero. C’era quasi da darsi i pizzicotti sulle braccia per convincersi che stava accadendo veramente.

Il 9 gennaio scorso, per un’altra udienza cruciale del processo – che ormai volge al termine – Vittorio Fineschi e Roberto Testi sono tornati in Corte d’Assise a Cosenza per ribadire la sacrosanta verità di quanto hanno accertato sull’omicidio di Bergamini replicando punto per punto al “vecchio” professore Avato, che tuttavia a un certo punto è stato costretto ad ammettere che il calciatore è stato ucciso e che nei suoi polmoni non c’era nessuna traccia di asfissia da schiacciamento o compressione ma solo di asfissia meccanica violenta.

OMICIDIO BERGAMINI, AVATO: “HO LAVORATO AL BUIO…” (https://www.iacchite.blog/omicidio-bergamini-53-udienza-avato-ho-lavorato-al-buio-perche-denis-era-gia-a-terra/)

L’occasione, dunque, ci è particolarmente propizia per ricordare la celebre udienza del 25 ottobre 2022, nella quale il “ciclone” Fineschi si abbattè sulla squinternata difesa dell’imputata Isabella Internò, alias la mantide di Surdo.

Fineschi, classe 1959, è professore ordinario di Medicina Legale all’Università La Sapienza di Roma dal 2001, dirige l’Unità Operativa Complessa di Medicina Legale per il settore Assicurazioni al Policlinico Umberto I di Roma, che ha in mano tutto il settore romano dell’attività antinfortunistica, è il medico legale con il più alto tasso di citazioni, ha risolto grazie al suo lavoro di consulenza tanti casi importanti ed ha formato tanti allievi, che adesso dirigono la cosiddetta “scuola romana” stratificata su 10 sedi tra le quali Trieste, Ferrara, Firenze, Pisa, Foggia e L’Aquila.

La sua, più che una testimonianza, è stata una vera e propria lezione sulla linea di ricerca della Tac tridimensionale con l’impiego di glicoforina che ha rivoluzionato il mondo della medicina legale e ha consentito alla giustizia di fare luce su tanti casi molto difficili da risolvere. Fineschi aveva già avuto modo di chiarire la sua posizione rispetto all’omicidio di Denis Bergamini ma quel giorno ha accompagnato la sua convinzione con la certificazione scientifica, della quale a dirla tutta non ci sarebbe stato neanche bisogno se tutti avessero fatto il loro dovere. Ma è chiaro come il sole che questo omicidio è stato lungamente coperto dai cosiddetti poteri forti di questo paese.

Fineschi ha ricordato anche come ha conosciuto l’avvocato Fabio Anselmo. Se lo ricorda perché quel giorno, il 22 ottobre del 2009, era morto dopo una terribile agonia Stefano Cucchi. Il professore de La Sapienza aveva accettato di fare da consulente per l’avvocato ferrarese ed è stato lui a scoprire perché Stefano Cucchi è morto facendo riesumare il cadavere ed eseguendo la Tac, così come sta accadendo anche per Denis Bergamini. Fineschi ha ricordato che Stefano aveva due litri di urina nella vescica e che la vera causa della sua morte era da riscontrare in una serie di gravi fratture a livello vertebrale che nessuno aveva visto o aveva voluto vedere. Dopo l’udienza, intervistato dai cronisti, Fineschi dice che le analogie a livello di procedura medico-legale tra i due omicidi sono tante.

“Innanzitutto le metodiche: anche nel processo Cucchi abbiamo voluto fare una Tac che è quella che ci ha dimostrato la tipologia delle fratture a livello vertebrale e l’altra analogia è tutto l’accertamento che è stato fatto dopo dal punto di vista di laboratorio che ci ha portato a individuare la causa di morte: asfissia meccanica violenta”.

“Nel processo Cucchi – aveva ricordato anche l’avvocato Anselmo – avevamo trovato un radiologo di fama internazionale, il professor Masciocchi, che ci ha fatto sapere, interpellato da noi, che la famosa vertebra (di L3) era stata tagliata in due e la parte veramente fratturata, che invece veniva negata dai periti della Corte d’Assise di Roma, non era stata sottoposta ad esame perché mancava negli esami radiologici… Il professor Masciocchi è diventato così un teste della procura così come Vittorio Fineschi oggi è diventato un teste della procura di Castrovillari: è colui che si è occupato di questo caso con le moderne metodologie e ci ha consentito di riaprirlo grazie anche al procuratore Facciolla. Il fatto è meno eclatante e meno terribile di quello di Cucchi ovviamente, perché qui il problema, dal punto di vista medico-legale, è che la verità si è nascosta all’inizio non di recente. Ma l’analogia non può che fare paura alla difesa perché oggi Fineschi è un teste dell’accusa”.

E quanto sia andata “in paura” la difesa di Isabella Internò lo si è capito con chiarezza dal controesame dell’avvocato Angelo Pugliese a Fineschi, nel corso del quale si sono anche raggiunte punte tragicomiche. Fineschi ha spiegato che ha accettato di scrivere un parere “pro veritate” per l’avvocato Anselmo, anche se non ha accettato la consulenza, perché il caso Bergamini è molto importante per la medicina legale, dal momento che è irrisolto da oltre 30 anni e perché verte su due tematiche che gli stanno molto a cuore come le indagini radiografiche post mortem e la vitalità delle lesioni.

L’avvocato Pugliese, nella sua infinita rozzezza che fa il paio con la sua altrettanto conclamata incapacità, che è nota peraltro fin dai tempi della scuola, ha provato persino a provocare Fineschi chiedendogli invece se l’avesse fatto “per pubblicità”… E Fineschi ha avuto gioco facile nel ridicolizzarlo davanti alla folta platea: “Non sono un juke box” gli ha detto a muso duro. E quando il legale piccolo piccolo, non contento del ceffone, ha riprovato a provocarlo, Fineschi – che non ci mette molto a fare un “ritratto” di chi gli sta davanti – è esploso in un eloquente: “Ma non faccia il gioco delle tre carte…”. Che ha strappato un sorriso amaro a tutti, anche nella drammaticità dell’udienza di quel giorno. Più o meno come il lapsus freudiano dell’avvocato di Isabella Internò, che a un certo punto è esploso in una liberatoria espressione: il sormontamento della salma. La sintesi perfetta del piano criminoso della sua cliente e degli assassini suoi protettori ancora a piede libero.