Luca Primicerio è un giovane magistrato di Salerno. Ha ereditato il caso Bergamini dall’allora procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla, con il quale ha condiviso i passaggi fondamentali delle indagini, che poi hanno portato al rinvio a giudizio di Isabella Internò. Il processo Bergamini è il più importante della sua carriera e lo ha affrontato con grande determinazione non lasciando nulla al caso e lavorando a 360 gradi per arrivare alla verità. Non si è lasciato intimidire dal clima torbido e dalle velate minacce del porto delle nebbie e dalla tensione creata ad arte dai difensori e dai “sostenitori” della famiglia dell’imputata che si è respirata a lungo in aula nel corso delle 60 udienze del processo.
Luca Primicerio è stato il massimo protagonista di una requisitoria perfetta che ha portato alla condanna dell’imputata con la conferma di tutto l’impianto accusatorio. Chiaro e diretto come un pugno, dritto al cuore del problema, incisivo nella presentazione dei documenti, specie quelli fotografici, padrone assoluto delle dinamiche che hanno portato all’omicidio di Denis. La sua requisitoria è stata un vero e proprio “ciclone” che si è abbattuto sull’imputata contumace ma soprattutto sul di lui marito, del quale scriveremo tra poco.
Prima è doveroso un passaggio su Donata Bergamini, che attendeva questo momento da 34 anni e 10 mesi. Ha il volto provato ma nello stesso tempo battagliero, rimane composta e anzi orgogliosa davanti al corpo di Denis straordinariamente corificato. Forse versa qualche lacrima in quei momenti ma prevale su tutto la sua nobiltà morale e d’animo, davanti alla quale tutti noi cosentini ci siamo inchinati fin dalla prima volta che l’abbiamo incontrata.
Isabella Internò alle due udienze dedicate alla reauisitoria della procura di Castrovillari non c’era, era contumace come si dice in gergo, un pessimo biglietto da visita come recitano anche i manuali più elementari della giustizia. Ma forse è stato meglio essere contumace rispetto allo squallido spettacolo che ha offerto il marito poliziotto in quiescenza, al secolo Luciano Conte. Un concentrato di arroganza, cialtroneria e volgarità. In coppia con suo cognato Gianluca Tiesi, degno compagno di merende, si è esibito in pose sprezzanti e atteggiamenti provocatori, ovviamente rispediti al mittente. Un “circo”, con tutto il rispetto per i circensi appassionati della loro arte che non sono… poliziotti sputtanati come la porta della chiesa madre sconsacrata. Conte ci ha mostrato ancora il suo ghigno anche dopo che l’avvocato Anselmo gli ha scoperto le corna ramificate sulla testa. Evidentemente pensava di “salvare” la moglie ma quel ghigno che ormai non provava più pudore a mostrare in pubblico gli è sparito dalla faccia al momento della sentenza.
Più o meno come a quel tale che urlava “Guerrieri, giochiamo a fare la guerra?” e alla fine c’ha trovato… u patruni. A Conte non l’ha menato nessuno, però: pare che si sia sentito male mentre “scortava” la moglie dopo la mazzata e pare che qualcuno lo abbia visto sofferente in barella. “C’è u marito ca sta male… u purtamu aru spitale!”.