Omicidio Bergamini, le cosche estranee alla morte del centrocampista rossoblù

Nessun ordine di morte partì dal “tribunale” della ‘ndrangheta: parola di capobastone. Non furono i boss di Cosenza e Rende a ordinare la eliminazione di Denis Bergamini. La tragica fine del calciatore, al contrario, incuriosì pesci piccoli e grandi delle cosche che cercarono di capire cosa fosse accaduto sulla Statale 106 ionica. È quanto hanno rivelato ai magistrati inquirenti i collaboratori di giustizia Franco Pino, Franco Garofalo, Peppino Vitelli e Nicola Belmonte. Nessuno, tra boss e picciotti, aveva alcun interesse, infatti, a far fuori l’atleta rossoblu. L’ex capobastone Pino ha raccontato di partite “aggiustate”, di pressioni sui presidenti di alcune squadre, ma nulla che avesse a che fare con il beniamino della tifoseria bruzia. Franco “occhi di ghiaccio” riferisce del versamento annuale di abbonamenti e di 30 milioni di lire da parte della società rossoblu alla criminalità cosentina. Svela di strani “accordi” fatti con l’Avellino e il Pescara per evitare retrocessioni ma non c’è nulla che riguardi neppure da lontano Bergamini.

I carabinieri trovarono il centrocampista – il Cosenza militava in Serie B – steso davanti ad un camion guidato da un uomo di Rosarno. Bergamini si era allontanato dal cinema di Rende in cui si trovava con i compagni di squadra, alla guida della propria Maserati. Nell’auto c’era Isabella Internò, con cui, fino a pochi mesi prima, aveva avuto una relazione. L’attuale imputata raccontò che Denis, dopo una discussione, si era lanciato sotto il camion. Il caso venne classificato come suicidio e l’autista del mezzo pesante che aveva sormontato il corpo del calciatore fu processato e poi assolto dall’accusa di omicidio colposo. I familiari della vittima, in tutti questi anni, tuttavia, non hanno mai creduto alla versione del gesto di autolesionismo sollecitando nuove indagini. Quattro anni fa la procura di Castrovillari fece riesumare il cadavere dell’atleta affidando l’esame dei resti a periti di fama nazionale. I risultati degli accertamenti hanno consentito di ipotizzare che Bergamini fosse già morto quando venne investito dal camion e che il decesso era stato probabilmente provocato da un soffocamento meccanico. Da qui l’esercizio dell’azione penale nei confronti di Isabella Internò che aveva sempre continuato a sostenere la tesi del suicidio, che, invece, a parere del pubblico ministero Luca Primicerio, deve essere considerata concorrente nell’uccisione dell’ex fidanzato.

L’esame compiuto utilizzando la glicoforina – una speciale sostanza adoperata per far luce anche sul decesso di Stefano Cucchi – ha dimostrato durante le indagini preliminari che Bergamini era in limite vitae quando venne travolto dal camion. Partendo da questo dato i magistrati hanno ipotizzato – forti anche della rilevata presenza nel sangue dell’atleta di particolari sostanze – che la vittima fosse stata narcotizzata. Dall’esame dei tessuti polmonari è stato poi dedotto che, compiuta la narcotizzazione, il centrocampista venne soffocato e poi abbandonato senza vita sull’asfalto. Fonte: Gazzetta del Sud