Omicidio Cucchi: quando a commettere i reati è lo stato

L’omicidio di Stefano Cucchi conferma, di fatto, quello che abbiamo sempre sostenuto: lo stato quando è colpevole copre, con menzogne e gravi abusi, le proprie responsabilità. Lo stato nel 90% dei casi assolve sempre, anche di fronte a colpevolezza certa, se stesso. Lo stato nel 90% dei casi non condanna mai lo stato.

Ed è qui, in questo groviglio di responsabilità taciute e verità inconfessabili, che la Giustizia prende una brutta piega. A difesa dell’impunità dello stato un muro di omertà eretto da chi lo stato rappresenta: politici, alti dirigenti pubblici, magistrati e forze di polizia. Ma stavolta, con la sentenza di primo grado per l’omicidio di Stefano Cucchi, le cose sono andate in maniera diversa. Tuttavia nessuno può dimenticare quello che è accaduto in questi dieci lunghissimi anni.

“I panni sporchi si lavano in famiglia” sembra essere il motto più adatto per alcuni rappresentanti dello stato. Su tutti gli appartenenti alle forze di polizia che più di altri tendono a coprire le magagne dei colleghi, con la scusa di salvaguardare l’onore e il decoro dell’istituzione che rappresentano. Come a dire: se un carabiniere, un poliziotto o un finanziere, passa notizie alla mafia, o allunga le manine sui sequestri di droga o denaro, e qualcuno se ne accorge, questi, ci potete scommettere, non vengono mai denunciati, almeno nella maggior parte dei casi, perché l’ordine è di tenere tutto all’interno. Denunciando questo genere di episodi, ad opera di tutori della Legge, l’immagine che si restituisce al cittadino, delle forze di polizia, sarebbe devastante. Se rubano pure i poliziotti, allora non c’è speranza. Da qui la tendenza a nascondere episodi criminali ritenuti, dai dirigenti, di poco conto. Spesso il tutto si risolve con una lavata di testa e un cambio “postazione”. Niente di più. Ancor di più tra i carabinieri dove lo spirito di corpo e di caserma è  più forte. Non si denuncia mai, pubblicamente, un commilitone. Ci si rivolge al proprio superiore che provvederà a nascondere la notizia e, magari, a sanzionare il sottoposto. Questo quando i superiori non sono complici, perché succede anche questo.

È chiaro che parliamo di una sparuta minoranza, e che la maggior parte delle forze di polizia svolge il proprio lavoro con onestà e dedizione, pur mantenendo, rispetto a ciò che accade in “caserma”, l’omertà. Questo va detto. Come va detto che per fatti più gravi, la rete di coperture, di cui godono gli appartenenti delle forze dell’ordine, salta. Tanti sono i carabinieri e poliziotti arrestati proprio dai loro colleghi.

L’impunità di cui godono è relativa, per lo più, ad abusi nei confronti degli arrestati. Possono, come tutti sanno, fare quello che gli pare nei confronti dell’arrestato, senza timore di incorrere in sanzioni. Possono violare i diritti dell’indagato come più gli aggrada, minacciandolo, menandolo, e accusandogli reati fittizi suffragati da prove false, e tutto questo è vietato dalla legge. E fa specie che a violarla siano proprio colori i quali dovrebbero essere i primi a rispettarla. Come nel caso di Stefano Cucchi. Per 10 anni i carabinieri e i giudici impegnati nel caso, hanno mentito spudoratamente di fronte alla legge e dopo aver giurato. Per anni hanno offeso la memoria di chi, e questo era chiaro a tutti, è morto dopo un brutale pestaggio.

Nella vicenda Cucchi quello che ha colpito di più è stata l’omertà da parte dei superiori dei carabinieri indagati. Ufficiali che hanno nascosto il grave reato alla Giustizia, e che si sono adoperati a far sparire tutto ciò che avrebbe potuto accusare i carabinieri, compreso i verbali. Se non fosse stato per la confessione di uno dei carnefici di Stefano tutto sarebbe finito con l’epilessia.

Tutto ciò a qualche politico fascista e ai suoi seguaci, potrà sembrare normale: è normale dare due ceffoni e qualche calcio a tossici, ladri e scippatori, in fondo se lo meritano, e se poi ci scappa il morto, che vuoi che sia, gli effetti collaterali, se vuoi mantenere l’ordine e la disciplina nelle città, vanno considerati. Una “considerazione” che ovviamente è fuori dalla Costituzione italiana, e che rientra nel codice penale.

Ed è qui che parte sana dello stato dovrebbe intervenire, facendo comprendere ai sostenitori della tortura che l’Italia è uno stato democratico, così come recita la Costituzione, e non un regine dittatoriale: la democrazia garantisce tutti, anche i detenuti, gli arrestati, gli indagati, mentre in un regime la prova della colpevolezza non è necessaria, basta essere oppositori del regime, per essere arrestati, menati, torturati, uccisi.

Ci rendiamo conto che non si può pretendere da chi divide la società in classi, un gesto di così alta nobiltà (di ideali), ma uno stato serio dove il popolo è sovrano, ha il dovere, però, di far rispettare la legge a tutti, anche quando a sbagliare sono i suoi diretti servitori. Altrimenti si corre il rischio di creare delle zone franche dove la Costituzione e la Legge non hanno valore, e questo è inaccettabile. E a chi non piace la nostra Costituzione può sempre invocare pubblicamente la tortura come metodo di punizione per chi commette i reati, ma fino a che è in vigore questa, siete pregati tutti, carabinieri compresi, di rispettarla.