Il clan e lo stato: l’ordine di cattura al boss Franco Muto con la data falsa

L’attività della DDA sul clan Muto – per quanto si attenda qualche novità su questo fronte – ci dà la possibilità di riproporre una serie di documenti che attestano quanto fosse alto il grado di impunità che ha avuto negli anni Ottanta grazie alla procura di Paola.

Nel suo “Come nasce una mafia” (edizioni Periferia) Luigi Michele Perri scrive, a un certo punto, che deve esistere, da qualche parte, un rapporto della Guardia di Finanza, ancora intonso (si pensi un po’!) nel quale ci sarebbero le prove documentali della partecipazione del boss Franco Muto in diverse società finanziarie nelle quali potrebbe esserci anche la longa manus di qualche magistrato. Della procura di Paola.

Partiamo dalle accuse specifiche che il procuratore della Repubblica di Bari Rinella rivolge al magistrato Luigi Belvedere. Afferma giustamente la Corte che “la vociferazione e la diffamazione, costruite con giudizi e voci incontrollabili, devono essere sempre registrate con molte riserve; ciò vale soprattutto quando riguardano un magistrato, il quale, per l’incidenza della sua azione nella lotta contro il delitto in una zona dove dominano la criminalità organizzata e la cultura del sospetto, è necessariamente esposto a reazioni illegittime anche in forma di pettegolezzi e voci calunniose”.

“La Corte avrebbe, però, dovuto lealmente dare atto che questo pm non ha mai utilizzato in danno del dottor Belvedere elementi estranei al processo, anche quando essi andavano ben al di là di semplici pettegolezzi e voci calunniose. La Corte ha infatti trascurato di ricordare che vi è in atti copia di un procedimento celebratosi a Napoli contro il senatore Frasca per diffamazione a mezzo stampa contro alcuni magistrati di Paola”.

IL CONTRABBANDO

“In quel processo vi era la deposizione di un alto ufficiale della Guardia di Finanza, il colonnello Marcello Graziosi, già comandante del gruppo della Guardia di Finanza di Cosenza, il quale, sotto il vincolo del giuramento, rese dichiarazioni non certo edificanti in ordine al comportamento del dottor Belvedere”.

“Il colonnello Graziosi ha riferito che, a seguito del fermo di una nave carica di merce di contrabbando nelle acque antistanti Vibo Valentia, il dottor Belvedere, accompagnato da un giudice del tribunale di Paola (che poi ne diverrà il presidente), dottor Scalfari, si recò sul luogo per i rilievi e il dottor Scalfari si lasciò andare a dichiarazioni quantomeno inopportune, perché affermava che, anche a suo parere, la nave era stata fermata fuori della zona di vigilanza doganale. Il processo per contrabbando si svolse, poi, dinanzi ad un collegio presieduto dallo stesso dottor Scalfari, che mandò assolti gli imputati per “insufficienza di prove”. Il pm, nella persona del dottor Belvedere, dopo avere proposto appello avverso la sentenza, non presentò i motivi e quando seppe che il colonnello Graziosi aveva chiesto copia della sentenza, convocò con un fonogramma l’ufficiale contestandogli violazione di segreto istruttorio d’appello”.

Le considerazioni del procuratore sono quasi rassegnate rispetto agli atteggiamenti di Belvedere. “Si dirà che questi comportamenti possono essere frutto di atteggiamenti caratteriali del magistrato. E’ possibile. Ma questi comportamenti sono reiterati e sempre in favore degli inquisiti, e questo non ingenera fiducia nelle forze dell’ordine”.

Si ricorda la vicenda dell’arresto del medico Carlo Morrone, dipendente di una struttura pubblica beccato a gestire uno studio privato, osteggiato fino alle estreme conseguenze dallo stesso Belvedere. In maniera quasi sfacciata.

E l’elenco continua: “… Clelia Zoppi che lamenta di non essere mai stata interrogata come parte offesa nel processo per l’omicidio del marito. O il sindaco di Cetraro Conte, il quale afferma: “Vi è in Cetraro una diffusa sfiducia nei confronti della procura di Paola, in particolare nei confronti del sostituto Belvedere. Di lui si critica il comportamento in genere, macchine lussuose e altro. E allora fa paura apprendere dal carabiniere Grana che, quando Muto fu fermato per violazione degli obblighi della sorveglianza speciale dai carabinieri di Belvedere, “cominciò a imprecare prendendosela soprattutto con qualcuno che, a suo dire, non si prendeva cura di lui e che viveva bene con un macchinone”, specialmente in considerazione del fatto che “poco prima al Muto, anche nel tentativo di calmarlo, gli fu detto che avrebbero… chiesto al procuratore di Paola spiegazioni sul da farsi”.

LA DATA FALSA SUL MANDATO D’ARRESTO

Ma non basta, ancora…

Il boss Franco Muto
Il boss Franco Muto

“E allora, quando questi magistrati istruttori, che fino a quel momento non avevano affatto raccolto illazioni e pettegolezzi, si trovano di fronte a un ordine di cattura a Franco Muto che, sicuramente, recava data di emissione falsa e la cui firma appartiene al dottor Belvedere, avevano il dovere di accertare e indagare.

Non è colpa certamente di chi ha istruito il processo se Belvedere, dimostrando ancora una volta invadenza e arroganza, si scatena in danno di ufficiali di polizia giudiziaria, minacciando e intimorendo.

Non è colpa dei magistrati istruttori se Belvedere preferisce operare con denunce e conflitti di competenze, anziché dare spiegazioni nel formale interrogatorio, che non si presenta a rendere…”.