Processo Apocalisse, depone il pentito De Rose: è una valanga di non lo so

Per capire come funziona la giustizia a Cosenza bisogna frequentare il tribunale, magari assistendo a qualche importante udienza. Solo partecipando in prima persona, e osservando con i propri occhi, si possono cogliere le “mille sfumature della disorganizzazione” che regna sovrana negli uffici e nelle aule: un continuo vagare di anime in pena.

Era programmata per oggi alle 12,00 l’ennesima udienza del “chiacchierato” processo al presunto clan Perna (figlio), scaturito dall’operazione del 12 novembre del 2015 denominata “Apocalisse”. Alla sbarra la presunta organizzazione che secondo la DDA di Catanzaro controllava e controlla parte dello spaccio di sostanze stupefacenti a Cosenza.

Ore 12,00: di giudici in aula neanche l’ombra. Dicono che sono impegnati in un’altra udienza e non si sa quando finiranno, visto che è prevista anche una camera di consiglio. Lo so, non è certo colpa dei giudici se sono costretti, per via dell’eterna carenza di organico, a svolgere più udienze in una sola giornata, ma non si può neanche pensare di lasciare le cose così come stanno. Sarebbe compito della Mingrone (presidente del tribunale) adoperarsi per mettere in condizione giudici e avvocati di svolgere il loro lavoro nel miglior modo possibile, ma evidentemente questi sono problemi che al presidente del tribunale non interessano. Impegnata com’è in altre faccende. Tipo promuovere e partecipare a festicciole tra colleghi e impiegati nell’orario di ufficio, quei pochi giorni a settimana che si reca al lavoro.

Dopo due ore e mezza di lunga e noiosa attesa ecco finalmente arrivare la corte: Presidente il dottor Carpino a latere la dottoressa Ianni e la dottoressa Granata. Un collegio di seri, onesti e preparati giudici.

E’ previsto per oggi l’interrogatorio del pentito Vincenzo De Rose. Ricordiamo che all’interno di questo procedimento l’accusa ha presentato anche un altro pentito: Luca Pellicori, già ascoltato dalla corte. Due pentiti che francamente non hanno nessuno spessore criminale. Sono solo due piccoli spacciatori di quartiere che, vista la maliparata, hanno deciso, pentendosi, di “risparmiarsi la galera”. Un classico ara cusentina: piddrizzuni i quartiari che in aula, da pentiti, vengono presentati dai pm come dei boss. Chi sono Vicianzu u nivuru e Luca a chiacchiera lo sanno tutti.

Per la pubblica accusa, in aula, il pm dottor Domenico Assumma.

Dopo il rito dell’appello degli imputati si entra subito nel vivo dell’udienza. Ed ecco arrivare nuovi problemi: l’audio del pentito Vincenzo De Rose, che depone in video conferenza da località protetta, fa i capricci, altro tempo. Sarà così per tutto l’interrogatorio: ogni domanda sarà ripetuta almeno due volte per via della comunicazione che va e viene.

La prima domanda del pm Assumma è: lei signor De Rose a quale clan appartiene? Risposta: al clan Rango/Zingari.

E già qui a chi conosce veramente “l’organigramma” del clan Rango/zingari, è scappata una fragorosa risata. Vicianzu u nivuru è solo uno spacciatore strumentalizzato dal clan dominante di turno. Vendere la droga per conto di un clan, lo dico al pm Assumma, non significa necessariamente essere un affiliato. Per definirsi tale bisogna aver ricevuto “il battesimo”. Chissà se Vicianzu questo lo ha mai specificato. Sarebbe interessante conoscere la “copiata”.

Le domande che il pm Assumma rivolge, all’inizio, al pentito De Rose, sono quelle di rito. Dove compravi la droga? De Rose: compravo un chilo di erba ogni dieci giorni al prezzo di 2.800 euro. Indica i nomi dei suoi fornitori, e li definisce gli “intermediari” appartenenti al clan Perna. Racconta della sua galera insieme a Luca Pellicori e di come funzionava il “sistema” per far entrare in carcere coca e fumo. Chiama in correità parenti di detenuti e due “scopini” i quali avevano il compito di portare la “roba” all’alta sorveglianza dov’era detenuto Marco Perna. Fa nomi e cognomi di tutti quelli con cui ha avuto a che fare nei suoi giri di droga. E tutti appartenenti, secondo il pentito, al clan Perna. Una stranezza, o anomalia criminale, tutta cosentina. Ovvero: De Rose dichiara di appartenere al clan Rango/zingari, che all’epoca aveva il “primato” e il monopolio della vendita di droga in città, come sanno tutti gli investigatori, però la droga dice di comprarla dal clan rivale. Non solo, dice di aver appreso dell’esistenza del clan Perna (figlio) in cella, dai discorsi di Luca Pellicori. Anche qui si fa fatica a crederci: Pellicori, che a detta sua era un affiliato al clan Perna, parla dei fatti del “suo clan” in cella, alla “presenza” di un affiliato dell’altro clan. Non è certo così che funziona. Insomma a chini appartena Vicianzu u nivuru, non è chiaro.  Come non è chiaro il perché farlo passare per un affiliato al clan Rango/zingari, quando tutti sanno che comprava la droga dal clan dominante in città. E che tutti i clan si avvalgono di ragazzi come lui, senza bisogno di riti di affiliazione.

Ed infatti questa “anomalia criminale cosentina” riecheggerà per tutta la durata dell’interrogatorio, tanto da far sorridere, più volte, il presidente Carpino per l’inutilità e l’incongruenza delle domande del pm Assumma che nel 60% dell’interrogatorio si sono risolte con tanti non lo so.

Per capirci: dopo aver esaurito il racconto dei suoi reati, Vincenzo De Rose – ricordiamo arrestato nell’operazione “Job Center”, insieme ad altre 13 persone nella città vecchia per spaccio, e condannato a 9 anni di carcere –  non sa più che dire e, sollecitato dal pm Assumma, si avventura in una ricostruzione dell’attività del clan Perna che a tratti rasenta il ridicolo: tutto quello che Vicianzu u nivuru sa del clan Perna, è quello che gli ha raccontato il pentito Pellicori. La cosa fa un po’ ridere: De Rose ripete le cose già dette in aula dal pentito Pellicori. Il senso di questo interrogatorio, e non me ne voglia il pm Assumma, io non l’ho capito. Tant’è che il De Rose alle domande del pm – tipo: sa dove comprava la coca Perna? Sa chi era il contabile del clan Perna? Sa chi erano gli spacciatori del clan Perna? Sa dove tenevano le armi quelli del clan Perna? – risponde con una serie di non lo so, specificando più volte che lui apparteneva al clan rivale. Insomma, a testimoniare al processo che deve dimostrare l’esistenza dell’associazione mafiosa guidata da Marco Perna, l’accusa fa salire sul banco “dei testimoni” un “presunto picciotto” della fazione opposta. Che del presunto clan Perna non può parlare, non essendo, evidentemente, un loro presunto affiliato.

Solo la professionalità del presidente Carpino, e dei giudici a latere, ha fatto sì che non si scivolasse nel ridicolo.

Quello di oggi, e lo hanno capito tutti, è stato un inutile interrogatorio, mal preparato e peggio eseguito: il pm Assumma, non sapendo cosa chiedere al pentito De Rose, ha ripetuto diverse domande più volte, alternandole a lunghi silenzi. Una situazione imbarazzante.

Non nego che la situazione mi ha incuriosito molto, ed è per questo che come redazione abbiamo deciso di ascoltare alcuni diretti interessati per capire cosa c’è che non va in questo processo. Perchè qualcosa che non va, ad assistere all’udienza di oggi, in questo processo c’è.

GdD