Reddito di cittadinanza, la rivolta di Napoli

(SERENA RIFORMATO – lastampa.it) – INVIATA A NAPOLI. «Guardi che mani da lavoratrice». La signora Maria Rosaria Coraggio lo dice con un sorriso metà fiero, metà amaro. «Le offro il caffè al bar, almeno quello me lo posso permettere». Davanti alla tazzina invece scandisce una frase a voce più bassa: «Mi sento inutile». Maria Rosaria ha 59 anni ed è sola, non ha né disabili né minorenni a carico. Tecnicamente occupabile, secondo i criteri stabiliti dal governo Meloni.

È una dei 21.500 percettori di reddito napoletani a cui lo stop al sussidio è stato notificato dall’Inps con un messaggio, prima ancora che sia stata predisposta la misura-ponte di 350 euro per chi si inserisce nei piani di formazione. Per questo si trova davanti alla sede dell’Inps di Napoli in via Alcide De Gasperi al presidio organizzato da Potere al popolo e Usb: «In piazza per la sopravvivenza», lo slogan degli organizzatori. Con le «mani da lavoratrice» crea piccoli oggetti d’argilla. Ogni tanto – ma il periodo migliore è Natale – la chiamano a giornata nelle fabbriche di ceramica della zona: l’ultima per cui ha lavorato come decoratrice la pagava 3 euro 50 all’ora, per una media di 12 ore al giorno. Quando ha chiesto di arrivare a 200 euro a settimana le hanno detto di no. Mi fa vedere gli ultimi due annunci a cui si è candidata: una ditta di pulizie l’ha scartata quando ha saputo l’età; per la portineria di un palazzo le hanno detto che cercavano solo uomini e di massimo 30 anni. Paga 100 euro una stanza in un appartamento condiviso con altre signore che come lei hanno le stesse difficoltà. La figlia di 34 anni le passa i buoni pasti del lavoro, ma più di questo non accetta: «Potevo stare a casa sua, ma non ho voluto – spiega – mia figlia mi deve ricordare sempre con il sorriso e mai come un peso».

Dice una frase che ripetono tutti i presenti: «Farei qualsiasi lavoro purché onesto». Ciro Stasi, 50 anni, lo dice così: «Mi avessero mai detto “c’è un posto di lavoro”, il reddito lo davo a loro, dicevo “mangiatavill vù, mangiatevelo voi». Di fianco Lucio Ricci, 58 anni, ventisette dei quali passati a lavorare come autista prima che l’azienda decidesse di lasciarlo a casa, gli dà ragione: «Se trovassi un lavoro anche di 1000 euro al mese lo accetterei». Una signora che non dice il suo nome (e minaccia querele) urla: «Dobbiamo fare la Francia». Ma davanti all’Inps di viale De Gasperi la Francia non si fa, la situazione è tranquilla. Una rappresentanza di percettori viene ricevuta dal direttore Roberto Bafundi che li rimanda giù con una buona intenzione e nessuna risposta aggiuntiva: «Nessuno verrà lasciato solo».

La domanda implicita nelle storie dei beneficiari sospesi o esclusi la articola qualche ora dopo Luca Trapanese, assessore alle Politiche sociali del comune di Napoli: «Ma una persona che ha più di 50 anni oggi veramente può trovare lavoro in Italia con uno stipendio adeguato?». Roberto Fico, ex presidente della Camera, impegnato nella politica napoletana dai primi passi nel Movimento 5 stelle, ne fa un elemento da inserire in un’analisi ampia: «È un attacco al Sud, ma soprattutto allo stato sociale di tutto il Paese», commenta Fico. «Il dubbio è che se la maggioranza di chi riceve il sussidio fosse concentrata al Nord, lo stop all’erogazione non sarebbe avvenuto in questo modo e così velocemente». Ma il sospetto di un governo a trazione settentrionale ha più indizi, secondo l’ex presidente della Camera: «Lo vediamo dal progetto di autonomia differenziata, dai tagli e dalla rimodulazione al Pnrr».

E quindi, l’affondo dell’esponente Cinque stelle, «i falsi patrioti devono andare via prima possibile perché stanno facendo danni seri a tutto il Paese, a partire dalla struttura di welfare». E le strutture di welfare sono effettivamente in tilt: «C’è molta confusione e preoccupazione, non è chiaro quali siano le responsabilità e di chi», evidenzia l’assessore Trapanese. Un comunicato dell’Inps Campania specifica che i Centri per l’impiego «non hanno il compito, né potrebbero averlo, di segnalare ai Comuni quanti presentino situazioni di particolare disagio per la conseguente presa in carico da parte dei servizi sociali». E quindi non si sa chi debba valutarli i casi per i servizi sociali, affollati dai giorni di beneficiari frustrati e liquidati da un sms che proponeva una vaga «presa in carico». Lo spiegano allargando le braccia le cinque dipendenti degli uffici di Scampia, che non sono autorizzate a parlare e non dicono i propri nomi.

«Venerdì è stato il giorno peggiore, è andata bene perché ci siamo prese al massimo qualche imprecazione». Il timore c’è stato: «Oggi ci siamo sentite più tranquille perché girava una pattuglia». Senza nessuna accusa verso chi magari se la prende pure con loro: «Quasi tutti hanno capito che non è colpa nostra». E alla fine: «Ci sentiamo più compresi dalla gente che da chi ha mandato quell’sms». Lo confermano le parole della signora Maria, 58 anni, anche lei fra gli ultimi rivalutati “occupabili”: «Gentilissimi gli assistenti sociali che purtroppo non c’azzeccano niente. Devono ancora attivare ‘ste piattaforme».