Referendum sulla giustizia, nessuna solidarietà a questa magistratura ma neanche a questo governo

Le toghe tremano. Non per un’inchiesta — che tanto, per loro, la legge non vale — ma per un voto popolare. Per la prima volta saranno i cittadini a giudicare i magistrati. Dopo l’approvazione da parte del governo della riforma della giustizia, la parola passa al popolo: il referendum costituzionale confermativo — senza quorum — deciderà se confermare o bocciare la legge sulla separazione delle carriere. Un passaggio obbligato, previsto dall’articolo 138 della Costituzione, perché la riforma non ha raggiunto in Parlamento la maggioranza dei due terzi. Ed è per questo che, in primavera, saranno i cittadini a dire l’ultima parola. Il referendum che si avvicina rischia di spogliare la magistratura del suo abito più caro: l’autonomia. Ma non quella garantita dalla Costituzione: quella che i magistrati hanno sempre usato come arma di ricatto nella perenne faida con il potere politico, in una lotta di egemonia e di controllo.

Quella che si sta consumando tra potere politico e potere giudiziario — e che continuerà a consumarsi nei prossimi mesi — non è una battaglia tra il bene e il male, ma tra due mali che si contendono lo stesso bottino: il potere. E stavolta il campo di battaglia non è un’aula di tribunale, ma l’urna elettorale. E su questo terreno la politica parte avvantaggiata: perché di voti e campagne elettorali è pratica ed esperta, mentre le toghe no.
Ed è per questo che oggi i magistrati hanno bisogno dei cittadini, di portarli dalla loro parte: si presentano come vittime di un presunto attacco del “male politico”, che vorrebbe mettere a tacere la voce libera e autonoma della magistratura — quella che si autoproclama guardiana della democrazia e della legge “uguale per tutti”, nella speranza di convincere i cittadini a votare no al referendum.

Raccontano ai cittadini che la politica vuole mettere il guinzaglio alla giustizia per poter fare il proprio comodo senza pagare dazio. Come se fino a oggi la politica non avesse fatto ciò che voleva — e anche di più — con le dovute coperture della magistratura. Ma chi ha avuto a che fare con questa giustizia sa bene come funziona: negli uffici giudiziari c’è più corruzione che in qualunque altro settore della pubblica amministrazione. Perché senza il consenso delle toghe, i politici non potrebbero intrallazzare come fanno impunemente da decenni. È negli uffici dei pm e dei giudici che si annida la complicità più pericolosa: quella che regge l’intero sistema di potere italiano. Sta tutto qui lo scontro: la separazione delle carriere non c’entra nulla, come vogliono far credere agli ingenui. In gioco non c’è la giustizia, ma i privilegi, e il potere contrattuale dei magistrati nei confronti della politica.
È questo equilibrio di forza tra i due poteri che il referendum dovrà ridisegnare.
E tutto questo, con la giustizia — quella vera, quella che serve ai cittadini — non ha nulla a che vedere.

E allora perché i cittadini dovrebbero sostenere i magistrati? Una casta che più che amministrare giustizia in nome del popolo italiano, la amministra in nome proprio. Che da decenni predica indipendenza ma pratica l’autoconservazione. Che si indigna se qualcuno osa toccarle il potere, ma chiude gli occhi — e spesso anche i fascicoli — davanti ai propri scandali. Che ha barattato la giustizia nei corridoi del potere, trasformandola in merce di scambio. Perché i cittadini dovrebbero difendere chi, dietro la toga, ha costruito carriere e protezioni, ha regolato conti, affossato indagini, insabbiato verità? Ma forse, stavolta, non lo faranno. Perché i cittadini non sono più disposti a farsi ingannare da chi predica moralità e pratica complicità. Si ricorderanno di tutto questo. Si ricorderanno di tutte le volte che hanno chiesto giustizia e non l’hanno ottenuta. Si ricorderanno di tutti i potenti assolti, delle prescrizioni concesse agli amici degli amici, delle vittime lasciate sole e dimenticate.
E se davvero faranno memoria di tutto questo, non ci sarà spazio per nessuna solidarietà.
Perché un popolo che ricorda non può più schierarsi dalla parte di una magistratura che ha tradito la propria missione, che ha barattato la giustizia per il potere e la verità per convenienza. Nessuna solidarietà a questa magistratura, ma neanche a questo governo.