Reggio 2020/21. Cosa rimane di Cannizzaro: schiaffi, chiacchiere e distintivo

Il più impresentabile dei politici reggini ovvero Ciccio Cannizzaro, corrotto fino al buco del culo, va ciarlando di “voti” che lui e i suoi compari gestirebbero. Ma se fosse così, come mai alle Comunali di Reggio sono stati clamorosamente sconfitti? Forse ha perso la memoria? Beh, con qualche scappellotto ben piantato nella sua faccia da schiaffi come questo, forse la recupera. 

di Nicola Martino

Fonte: Il Meridio (https://ilmeridio.it/chiacchiere-e-distintivo/)

Spesso dietro una spavalderia leonina ostentata dopo una tremenda sconfitta si nasconde solo la necessità di apparire, comunque, dominanti. Tentativi patetici che riescono in un unico caso: la stupidità degli interlocutori a cui si vuole lanciare il messaggio di molle potenza. Il deputato di Forza Italia, Francesco Cannizzaro, anche nel commento al voto di Reggio Calabria che ha preso a schiaffi il centrodestra, non è venuto meno a questa regola aurea. Gonfiando il petto per far vedere un coraggio posticcio, ha in realtà fatto emergere, per l’ennesima volta, una verità incontrovertibile: in riva allo Stretto la coalizione è un’entità invisibile, presente solo nelle millanterie di qualche spregiudicato menzognero.

Un leader che si presenta da solo davanti alla stampa non trasmette personalità, ma una volontà di primeggiare che, purtroppo per lui, si è rivelata fine a se stessa. La motivazione è semplice: egli spicca, esclusivamente per il ruolo istituzionale al momento occupato, in uno spazio vuoto, all’interno del quale non c’è nessuno che possa fargli ombra. Il ragionamento, d’altra parte, è di una logica stringente: se il centrodestra esistesse beneficerebbe di teste pensanti in grado di porre un argine alla dittatura locale di un personaggio modesto, subito messo in riga dai livelli superiori non appena ha provato a giochicchiare facendo credere di contare qualcosa al di fuori dei confini provinciali.

In quei caldi giorni estivi, in preda alla disperazione dopo essere stato informato che nella scelta del candidato a sindaco avrebbe contato poco meno di zero, non è bastato muovere qualche ventriloquo, tra deputate elette a Varese ed ex consiglieri comunali. Ha dovuto piegare il capo e rientrare nei ranghi, non per lealtà nei confronti della coalizione, ma, molto più banalmente, perché dalla città di Reggio Calabria non era riuscito ad ottenere alcunché.

Il “nostro” simula anche di non sapere che il buon Antonino Minicuci è approdato, ignaro, nella tenzone, non già perché i capataz del tavolo nazionale del centrodestra hanno dato rilievo alla scelta che riguardava la città e “non un piccolo paese di montagna”, ma per l’insignificante dettaglio che niente di niente era venuto fuori dai cervelli indigeni. Tanto è vero che le decisioni in merito alle diverse Regioni non sono state altro se non una omologazione delle soluzioni individuate in loco.

Le parole pronunciate nel corso dell’incontro con i giornalisti, inoltre, sono la riprova del suo velleitarismo: simulando di metterci la faccia, ha, nella sostanza dei fatti, condannato Fratelli d’Italia, Lega e UDC, inchiodando i primi due al nettissimo calo dei consensi registrato rispetto alle Regionali e ad un mancato impegno nella composizione delle liste, i terzi ad una assenza ingiustificata dalla competizione. Dovrebbe, però, spiegare il parlamentare aspromontano che fine abbia fatto la Casa delle Libertà e, a tal proposito, non vale come giustificazione quel che, pure, ha argomentato sostenendo di essere talmente forte da aver riempito altri due “contenitori” (così li ha definiti).

Il riferimento esplicito era a ReAttiva, una lista elettorale ispirata da Giuseppe Sergi e che nell’Aula “Pietro Battaglia” porterà Nicola Malaspina, la seconda AmaReggio, un Movimento civico costola diretta di Stanza 101. Anche in questa circostanza, pur di proteggere se stesso, non ha esitato, anche al di là del suo effettivo intendimento, a minimizzare la rilevanza di gruppi alleati urlando ai quattro venti che, non fosse stato per lui, sarebbero stati addirittura incapaci di mettere su l’elenco minimo da offrire agli elettori.

Nel consueto delirio egocentrico che lo porta, da anni, a raggiungere, sul piano personale, importanti risultati elettorali, ma buchi nell’acqua ogni qual volta si tratta di mettere mattoni su mattoni per costruire una primazia, mai ottenuta, sul centrodestra, ha poi pensato bene di lanciare strali all’indirizzo di colleghi-rivali e, arrivare alla vetta estrema del vaniloquio, mettendo nel mirino la coerenza di Angela Marcianò.

La candidata a sindaco, che in rigorosa sintonia con il fil rouge della sua campagna elettorale, ha deciso di rimanere a distanza di sicurezza da questo centrodestra e da questo centrosinistra, secondo la logica perversa evidentemente maestra di vita del “mastro di ballo” di Santo Stefano in Aspromonte, avrebbe dovuto abiurare ad uno dei principi cardine della sua battaglia politica per favorire una delle due parti in causa. Un comportamento opportunistico da cui avrebbe, come noto, tratto ampi benefici personali: il signorotto venuto giù dai monti, criticando la disciplina etica della docente universitaria, senza volerlo, ha reso ulteriore merito al suo successo e, altrettanto involontariamente, ammesso che lui, in una situazione del genere si sarebbe determinato in tutt’altra maniera. Non troverà nessuno nella città di Reggio Calabria che coltivi, in tal senso, il minimo dubbio. Ci pensi, e poi ci ripensi ancora, torni indietro nel tempo, scorra con la memoria tutte le sciocchezze commesse, passi in rassegna gli errori commessi, metta in fila le parole pronunciate e, chissà, magari capirà anche lui che la frase: “Evidentemente la voglia di contrastare la sinistra di Falcomatà non era così forte” potrebbe pronunciarla ogni mattina, ma davanti allo specchio.