Reggio, Gotha. Mollace e le intercettazioni con Spanò in esclusiva su “Calabria Ora”: tutti i retroscena

Antonio Marra, l’avvocato braccio destro di Paolo Romeo, è accusato di essere uno dei vertici della cupola segreta di Reggio. E’ stato condannato a 17 anni in primo grado nel processo Gotha e dall’esame delle sue frequentazioni e dei suoi contatti emergono situazioni imbarazzanti anche per uomini dello stato. Marra aveva contatti con il maresciallo Anastasio Fichera, all’epoca dei fatti in servizio ai Ros di Reggio Calabria e successivamente trasferito alla Scuola Allievi Carabinieri di Reggio (https://www.iacchite.blog/reggio-gotha-toto-marra-il-gancio-di-romeo-nelle-forze-dellordine-nei-servizi-e-in-certa-magistratura/).

Ma il maresciallo Fichera non è certo il suo unico contatto. Un’altra figura che si interfacciava con l’avvocato Marra, notoriamente braccio destro di Paolo Romeo, è il maresciallo Francesco Pati, nato a Lecce il 19-10-1968, comandante della Stazione Carabinieri di Gallico. E anche qui escono fuori un sacco di magagne e tanti pezzi dello stato che non stanno dove dovrebbero stare (https://www.iacchite.blog/reggio-processo-gotha-lavvocato-marra-il-maresciallo-pati-e-le-protezioni-di-ros-e-dia-allusuraio-roda/).

Ad un certo punto Marra e Pati ipotizzano la causale dell’omicidio di Domenico Chirico avvenuto a Gallico nel 2010. Il Pati diceva di aver notato Giuseppe Canale, assassinato poi a Gallico il 12 agosto 2011, un anno dopo Domenico Chirico. Quest’ultimo, ucciso il 20 settembre del 2010 a Gallico, era indicato dagli investigatori come elemento di spicco del clan Condello.

L’omicidio di Chirico si era consumato sul lungomare e Marra e Pati ipotizzavano che il fautore dell’omicidio di Chirico fosse stato appunto Giuseppe Canale, anche in forza di un particolare, tra tutti gli indizi che erano stati presi in esame, e che risultava molto evidente. Quello di una Smart gialla, che era stata vista sul luogo del delitto, e che effettivamente in quella giornata era stata poi fermata con a bordo il Canale medesimo, dai carabinieri di Campo Calabro. La causale, secondo Marra e Pati, sarebbe stata da ricercare negli appetiti per la realizzazione dei lavori del lungomare a cui avrebbe voluto partecipare il Chirico. I lavori erano stati affidati alla ditta di Vito Lo Cicero. Il Chirico e il Lo Cicero avevano trovato poi un’intesa in quanto, secondo il racconto che facevano Marra e Pati, il Lo Cicero aveva dato in subappalto una parte dei lavori a Carmelo Giuseppe Cartisano. Avendo avuto questo subappalto, il Chirico era soddisfatto in quanto il Cartisano era suo nipote.

La ditta del Cartisano risultava essere a nome di Isabella Pellicanò. moglie del Cartisano, e proprietaria unitamente a una cognata – Domenica Emanuela Bilardi – dell’impresa “Edil Bicape Srl”. L’imprenditore che invece avrebbe brigato per escludere gli interessi del Chirico – secondo la ricostruzione di Marra e Pati – era Paolo Linguardo.

Tra gli argomenti di cui ancora discutevano Marra e Pati c’è anche quello della pubblicazione della conversazione intercettata tra il magistrato dott. Francesco Mollace e Nino Spanò sul giornale “Calabria Ora” e delle cautele che impiegava il magistrato in caso di loro incontri. Nino Spanò, per la cronaca, era imputato per intestazione fittizia nel processo alla cosca Lo Giudice e poi assolto in grado di appello.

Marra: E non è intercettato Nino, mai c’è stato un decreto, in nessuna carta esiste un decreto di intercettazione di Nino Spanò…

Pati: Puttana Mollace

Marra: Perché Mollace cos’ha, due punti? Hanno intercettato a me, perché non dovrebbero intercettare a lui? Per cacargli il cazzo. E quando se n’è accorto mi ha detto: “Se vieni a casa, lascia il telefono in macchina”… Gli ho detto: “Io non vengo, così non devo lasciare niente… Se hai bisogno, vengo alla Procura… gli ho detto… Qua, che mi seguono, dottore…” gli ho detto… Figurati se non mi seguono a me per questo motivo, no?

Pati: Quando è venuto l’ultima volta qua? Certo, perché se tu entri col telefono, ti arriva la telefonata, c’è la cella… Se intercettano a te, però…

Marra: Ma se io apro il telefono e il mio è intercettato, loro sentono anche se io non parlo…

Pati: Eh, certo. Però voglio dire… Si spaventa pure lui…

Tra le altre cose il Marra chiedeva al Pati notizie sulla latitanza di Domenico Condello, inteso Micu u pacciu, che secondo quanto gli riferiva il Pati, violando un segreto investigativo, stava per essere arrestato in quanto il cerchio si stava stringendo sui favoreggiatori, identificati in persone di Gallico, e il Pati indicava tra essi Bruno Tegano, che descriveva come una persona che parlava con vovce nasale, e che il Marra individuava nel cognato del latitante.

Dopo aver parlato anche della figura del capitano Spadaro Tracuzzi, dei favori economici che lo stesso aveva ricevuto dalla cosca Lo Giudice, e del timore del Pati che una sua conversazione, in cui associava lo Spadaro alla posizione di Francesco Rodà quale cognato del pentito Iannò, gestito proprio dallo Spadaro, potesse comportare per lui una chiamata a testimoniare nel processo contro lo Spadaro, il Pati ritornava sulla sua deposizione che aveva fatto al pm sul tipo di rapporto che lo legava al Marra stesso e diceva che aveva risposto alle domande per come gli era stato suggerito di dir, cioè sull’esistenza tra loro due di un rapporto non tanto confidenziale ma di reciproca stima.

Tra l’altro, il maresciallo Pati ancora una volta si soffermava su questo tipo di rapporto e dava ulteriori informazioni al Marra, benché l’interrogatorio avrebbe dovuto rimanere segreto, in merito all’interesse investigativo degli inquirenti ed al suo collegamento con la cosca Serraino, e diceva di non essere riuscito a spiegare bene quale fosse stato l’incarico del Marra rispetto alla figura di Nino Serraino, dicendo che era stato amministratore piuttosto che procuratore speciale, così come lo correggeva il Marra… Il Pati pertanto rassicurava il Marra di non avere svelato la natura del rapporto con l’avvocato Marra, che era quello di appartenente alle forze dell’ordine e confidente…