Antonio Marra, l’avvocato braccio destro di Paolo Romeo, è accusato di essere uno dei vertici della cupola segreta di Reggio. E’ stato condannato a 17 anni in primo grado nel processo Gotha e dall’esame delle sue frequentazioni e dei suoi contatti emergono situazioni imbarazzanti anche per uomini dello stato. Marra aveva contatti con il maresciallo Anastasio Fichera, all’epoca dei fatti in servizio ai Ros di Reggio Calabria e successivamente trasferito alla Scuola Allievi Carabinieri di Reggio (https://www.iacchite.blog/reggio-gotha-toto-marra-il-gancio-di-romeo-nelle-forze-dellordine-nei-servizi-e-in-certa-magistratura/).
Ma il maresciallo Fichera non è certo il suo unico contatto. Un’altra figura che si interfacciava con l’avvocato Marra, notoriamente braccio destro di Paolo Romeo, è il maresciallo Francesco Pati, nato a Lecce il 19-10-1968, comandante della Stazione Carabinieri di Gallico.
Anche il maresciallo Pati, come il maresciallo Fichera – da quanto emerso sia dalle indagini sia dall’interrogatorio dei due militari che verranno comunque indagati nell’ambito del procedimento “Meta” – si serviva dell’avvocato Marra per avere delle informazioni che potevano essere utili all’ufficio. La circostanza che Pati fosse indagato nel procedimento “Meta” e che fosse stato interrogato dal pm nel corso di quel procedimento, emergeva nel corso dell’attività tecnica, in quanto il Pati ne faceva menzione in un colloqui con il Marra, al quale specificava di avere riferito che i loro rapporti non erano strettamente amicali ma di reciproca fiducia, in quanto lui spesso utilizzava anche l’avvocato Marra per potere avere informazioni che potessero essere utili al suo ufficio, anche se in un brano della conversazione dirà che tali risposte gli erano state suggerite.
Marra riceveva molte informazioni dai marescialli Fichera e Pati e in una circostanza, quando un carabiniere va a notificargli un avviso di garanzia, l’avvocato sa che è uno di quelli che gli hanno messo le microspie nell’ufficio e glielo rinfaccia (“Che bella faccia di puttana che hai…”; “Fuori dal mio ufficio, sei un pezzo di merda…”) dimostrando di essere a conoscenza di notizie evidentemente molto riservate.
Della sua condizione di indagato e intercettato, in quanto lo si credeva vicino a Pasquale Condello, il Marra ne faceva menzione anche al figlio di Paolo Romeo, Sebastian, e nell’andare indietro con la memoria a questo evento, faceva presente che tutto era nato da un contatto che lui aveva stabilito con un rappresentante della famiglia Greco di Calanna, il quale avrebbe potuto dare indicazioni utili ai carabinieri per quanto riguarda la cattura di Pasquale Condello. Il Greco, però, non rivelò nulla.
Il Marra si dilungava sulle ragioni del perché non era stato tratto in arresto nell’ambito del procedimento Meta, ammettendo pertanto implicitamente che le intercettazioni che lo avevano riguardato erano certamente compromettenti per lui, ma che non erano state utilizzate in quanto il contenuto avrebbe finito per disvelare un sistema a cui prendevano parte anche le forze dell’ordine.
Nel corso della stessa conversazione il Marra dichiarava che ciò che aveva motivato all’origine la sua sottoposizione all’attività tecnica era stato un evento, in particolare il fatto che Giuseppe Greco dell’omonima famiglia mafiosa di Calanna, nel corso di una conversazione con militari presso la sede dell’Emmepi non avesse voluto rendere informazioni da confidente utili alla cattura di Pasquale Condello e che lui in quella circostanza aveva dato ragione al Greco.
Il Marra pertanto commentava con Sebastian Romeo che le conversazioni captate all’interno della sua azienda erano rimaste secretate in quanto troppo compromettenti per le forze dell’ordine che vi avevano preso parte e che da lui avevano attinto le informazioni utili alle indagini. Le dichiarazioni che il Marra faceva al Romeo non erano certamente millantatorie, come dimostra il contenuto delle conversazioni del procedimento Meta, che viene sottolineato con notevole risalto nelle motivazioni della sentenza del processo Gotha.
L’8 maggio del 2008 parlano Marra e il generale dei carabinieri Pellegrini. Il Marra chiedeva al generale se conosceva il colonnello Giardina, che era ai Ros di Reggio Calabria. Il Pellegrini rispondeva: “Così, insomma… perché?” e il Marra spiegava che i Ros gli avevano fatto fare “una figura di merda in questo periodo perché – continuava – era venuto il maresciallo Anastasio Fichera per il fatto di San Luca, l’ho messo in contatto con don Pino Strangio, si doveva fare tutto e abbiamo preso gli accordi: stavano per arrestare due latitanti…”.
Gli accordi avevano ad oggetto uno scambio: don Strangio si metteva a disposizione per dare delle notizie sicure sulla cattura dei due latitanti ma nel contempo il famoso Antonio Romeo detto Cento capelli, che si trovava detenuto a Parma, doveva essere spostato da qualche altra parte in quanto probabilmente i familiari avevano difficoltà a raggiungerlo così lontano ogni volta che c’erano i colloqui. Quindi il do ut des con don Strangio era proprio questo: avvicinare o comunque spostare Cento capelli in una sede più gradita al detenuto. Nonostante gli accordi fossero stati presi e la cattura dei latitanti fosse stata pianificata, però, è saltato tutto.
Marra lamentava che però lui aveva preso impegni con gli ‘ndranghetisti, talché era rimasto esposto. Il Pellegrini a quel punto riprendeva il Marra dicendo: “Ma voi che pensate? Di lavorare tutti come quando c’ero io?” evocando pertanto un’attività pregressa che aveva visto il Marra, insieme ad altri soggetti, collaborare in un’attività che il Pellegrini definiva “lavoro”. Il Pellegrini rimproverava il Marra dicendo: “Aiutare chi? Ma voi dovete aiutare a me, non ad altri, io almeno non vi ho mai esposto” ribadendo pertanto che con lui i soggetti coinvolti nell’attività sarebbero stati protetti, evidentemente perché le trattative erano sempre andate a buon fine senza esposizioni nei confronti dei soggetti ‘ndranghetisti per non aver mantenuto fede agli impegni presi. Il Pellegrini concludeva con una battuta – che forse non lo era – riferendosi ai militari che ipotizzava stessero intercettando la conversazione e che presto avrebbero convocato il Marra per interrogarlo.
Si rammenta che nel periodo precedente il generale Pellegrini era stato a capo della Dia centro di Reggio Calabria.
Sempre nell’ambito dell’operazione Meta, il 21 aprile del 2008 c’è uno scambio di sms tra il Pati e il Marra dal seguente contenuto: “Oggi vado a Polsi con Anastasio Fichera. Se vuoi essere dei nostri organizzati per le dieci e mezza”. Dopo una mezzora circa il Marra contattava il maresciallo Pati per incontrarlo. La conferma che Marra sia andato con Pati a Polsi si ha con la telefonata intercettata il 22 aprile del 2008 allorquando si ha contezza che il maresciallo Pati aveva lasciato la propria autovettura nell’azienda del Marra per proseguire con l’auto di quest’ultimo e il Marra si offriva di andare a prendere il Pati per riaccompagnarlo alla sede dell’azienda per recuperare il mezzo, i due si davano appuntamento vicino alla caserma di Gallico.
Un ulteriore riscontro che il maresciallo Pati era insieme al Marra ed era andato anche lui a San Luca si ha con la conversazione intercettata il 7 maggio 2008 tra l’avvocato Marra e Francesco Dell’Aglio. Questi era un militare dell’Arma dei carabinieri appartenente ai servizi segreti. Nel corso della conversazione, il Marra diceva: “Mi ha chiamato e con la mia macchina, la Seat, siamo andati a Polsi”. Per cui si ha la conferma che il Pati aveva lasciato la macchina presso la sede dell’azienda di Marra ove la ritirava solo due giorni dopo, al punto che Marra scherzosamente gli chiedeva il pagamento del parcheggio…
Sempre nell’ambito dell’operazione Meta, il Pati cercava di avere dal Marra qualche informazione in merito a soggetti che erano sotto usura nel comprensorio di Gallico. Il Pati aveva già individuato colui che perpetrava l’usura cioè Francesco Rodà, classe ’56, all’epoca dei fatti detenuto insieme a tale Ciccio della Lampara. Da alcune conversazioni si evince come il Rodà, nel perpetrare l’usura, veniva in qualche modo protetto da alcuni rappresentanti delle istituzioni e praticamente da personaggi del Ros e della Dia. Questa circostanza viene comunque esplicitata anche in una nota del Ros dei carabinieri datata 23 luglio 2008. La stessa nota indicava, quali militari possibili conniventi del Rodà, il capitano Gerardo Lardieri, effettivo al Ros, nato a Caposele (Avellino) il 13 aprile 1964, e il capitano dei carabinieri Spadaro Tracuzzi Saverio, già in servizio presso il Nucleo operativo del Comando provinciale dei carabinieri, e successivamente presso la Dia, il quale aveva diretto tutte le attività connesse alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Iannò, del quale Rodà era parente…
Vi sono delle intercettazioni, sempre nell’ambito dell’operazione Meta, in data 8-2-2008 tra Marra e Pati. nelle quali Marra dice al maresciallo di avere assunto le informazioni che gli chiedeva e riferiva che nel paese tutti avevano paura del Rodà perché si diceva che fosse protetto nel suo agire criminale dal Ros e dalla Dia.
Tra Pati e Marra, per come è emerso nell’ambito delle indagini, vi erano anche rapporti di frequentazione e di natura amicale. Spesso c’erano dei contatti e anche degli incontri e il maresciallo Pati è stato invitato dall’avvocato Marra anche a soggiornare nella sua casa di Vulcano, dove il Pati usufruirà della residenza estiva del Marra per trascorrere le vacanze con tutta la sua famiglia e una coppia di amici…