Reggio. Mazzette al giudice per scarcerare affiliati al clan Bellocco: ecco perché il gup ha condannato l’avvocato Veneto

Una confessione che l’avvocato Armando Veneto avrebbe rivelato ad un suo collega, Vittorio Pisani, ora collaboratore di giustizia. Una confessione in cui avrebbe dichiarato l'”impegno” con il giudice Giancarlo Giusti per una decisione favorevole al Tribunale del Riesame di Reggio Calabria in favore del suo cliente. Tutto questo spiegherebbe perché Il quadro probatorio non è rimasto immutato rispetto al passato: gli inquirenti di oggi infatti hanno a disposizione le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Vincenzo Albanese e dell’ex avvocato Vittorio Pisani.

Sono le parole che Matteo Ferrante, gup di Catanzaro, utilizza per spiegare le ragioni che lo scorso 25 febbraio hanno determinato la condanna a sei anni di Armando Veneto, classe 1935 (difeso dagli avvocati Clara Veneto e Giuseppe Milicia), accusato di corruzione e concorso esterno in associazione mafiosa per un episodio legato ad un episodio di 12 anni. Secondo l’imputazione, sostenuta durante il processo dalla pm della Dda di Catanzaro Veronica Calcagno, Veneto avrebbe fatto parte della vicenda che ha portato alla corruzione del Giudice del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, Giancarlo Giusti, poi morto suicida. Nello specifico, i sei imputati in concorso avrebbero dato (o comunque fatto dare) 120 mila euro (40mila euro ciascuno) al giudice Giusti. Obiettivo: indurre il magistrato, in qualità di magistrato componente del collegio del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, quale giudice relatore ed estensore, a ribaltare le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria il 10 agosto 2009.

Una storia che già una volta è finita all’attenzione di Procura e giudici, ma che ha portato ad una archiviazione nel 2011: non c’erano prove di un’intromissione del noto avvocato reggino, da sempre  proclamatosi innocente e completamente estraneo alle accuse. Dopo la decisione, il legale ha sostenuto di essere “sdegnato perché – vedrete- si dovrà pescare nell’ampio bacino delle fantasie per motivare una simile sentenza“. La condanna ha fatto saltare dalle sedia anche chi lo ritiene “Il maestro”, dalle camere penali territoriali all’Unione delle Camere penali presiedute da Giandomenico Caiazza.  Mentre i suoi legali hanno subito bollato la sentenza come “inspiegabile”.

Tutte convinzioni che però si scontrano con la sentenza di primo grado del nuovo processo: la lettura del dispositivo dà ragione alla ricostruzione della Procura. A far pendere la bilancia dalla parte della colpevolezza, secondo il gup che ha deciso il processo con il rito abbreviato, il peso delle dichiarazioni di Vittorio Pisani, collaboratore di giustizia  con un patrimonio conoscitivo “maturato nell’ambito della professione di avvocato svolta borderline più che nell’inserimento in contesti criminali mafiosi, rispetto ai quali egli era, comunque, contiguo”, si legge nelle 77 pagine di motivazioni della sentenza che, oltre a Veneto, ha registrato la condanna a 6 anni di Domenico Bellocco classe 1977 (difeso dall’avvocato Gianfranco Giunta); Rosario Marcellino a 4 anni. Per Albanese il gup ha sancito 2 anni; mentre per Vincenzo Albanese, collaboratore di giustizia, classe 1977 (difeso dall’avvocato Antonio Capua), il giudice ha concluso per 2 anni.  Giuseppe Consiglio classe 1970 (difeso dall’avvocato Letterio Rositano), è stato condannato a 6 anni di reclusione.  Già rinviati a giudizio Vincenzo Puntoriero classe 1954 (difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Vincenzo Cicino), Gregorio Puntoriero  classe 1979 (difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Vincenzo Cicino).

E allora da questo si parte. Il 14 febbraio scorso Pisani dice che Veneto “mi ha detto che aveva avuto modo di parlare con Giusti, che peraltro negli anni passati aveva fatto pratica nel suo studio, al fine di garantire nel senso – fra virgolette – quella che cioè l’esito positivo del Riesame che riguardava peraltro Rocco Gaetano Gallo, che Veneto difendeva all’epoca, cioè parlammo anche di questo, mi riferì anche che lui difendeva Gallo Rocco Gaetano e che aveva avuto modo di parlare con Giusti, ha detto: e cose sono andate bene, io mi sono esposto con il magistrato e mi sono ritrovato poi nelle intercettazioni, perché queste persone sono chiacchierone”.

Frasi che per la Procura di Catanzaro rendono Pisani un pentito attendibile e credibile. Dello stesso avviso anche il gup Ferrante: il narrato “è risultato spontaneo, coerente e costante nel corso delle plurime escussioni, né sono emerse ragioni di rancore, risentimento o astio che possano aver indotto il dichiarante ad elevare accuse di simile gravità in danno dell’imputato”. Dunque, secondo il giudice, tutto torna: la partecipazione di Veneto alla corruzione di Giusti, le parole di Pisani che non poteva conoscere alcuni elementi se non raccontati dall’imputato, il tempo ed il modo di acquisizione delle informazioni. In numeri: sei anni di reclusione.

La difesa di Armando Veneto. Ma i processi sono fatti di accusa e difesa. Gli avvocati di Veneto durante le udienza e in particolare al momento delle conclusioni dopo la richiesta di condanna a 8 anni della Procura, hanno ricostruito la loro verità, la loro versione alternativa di tutta la vicenda.

Argomentazioni che, dopo il deposito delle motivazioni, potranno essere riproposte ai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro per un nuovo giudizio, per rimettere in discussione la condanna ad uno dei più noti ed importanti della tradizione del diritto, difensore dei diritti e dello Stato di diritto. Gli avvocati Clara Veneto e Giuseppe Milicia sottolineano infatti che  “Giusti aveva svolto un breve periodo di affiancamento nel suo studio quando era già avvocato, in attesa di prendere servizio in magistratura, ma era stato affidato ad un collaboratore di studio; la sua presenza era stata, dunque, breve e non significativa, tant’è che i due non avevano mai stabilito alcun rapporto; Armando Veneto aveva assunto la difesa di Gallo Rocco su richiesta di alcuni comuni conoscenti, non avendo avuto in precedenza contatti con il suo assistito.

E sempre rimanendo nel perimetro del Riesame tanto discusso,  dopo il buon esito dell’istanza, Armando Veneto avrebbe maturato il convincimento che l’annullamento dell’ordinanza cautelare fosse dipeso dalla bontà delle sue tesi difensive; in quest’ottica, andrebbe letto quanto riferito da Rocco Gallo nel corso del colloquio del 30 ottobre 2009:  “Veneto ha detto a Rocco Gallo che il merito è suo se sono usciti pure gli altri, quindi è convintissimo … infatti Rocco ha detto che si sono svenati a soldi… pure per gli altri è merito suo” . Uno svenamento che, per la difesa, si riferisce agli erari richieste per l’attività professionale e non per corruttive.  Ancora:  dopo aver compreso che dietro alle scarcerazioni dei Bellocco potevano esserci risvolti illeciti, l’avvocato Veneto si sarebbe completamente disinteressato della difesa di Gallo, pur non avendo mai formalmente rinunciato al mandato difensivo. .

E poi l’affondo sul testimone chiave del processo: il rapporto con Vittorio Pisani, suo collega, di cui aveva difeso i genitori negli anni ’90,  caratterizzato per una sostanziale diffidenza anche in virtù di “alcuni dissapori avuto con quest’utimo, motivo per il quale mai avrebbe potuto fare al Pisani una confessione di tale portata e gravità, peraltro effettuata in un frangente (nel corso dell’anno 2011) in cui egli stava smentendo pubblicamente il suo coinvolgimento”. Fonte: La Nuova Calabria