Reggio, sanità mafiosa. La relazione del prefetto sull’Asp: “Dipendenti vicini a clan ‘ndrangheta”

Reggio Calabria – “Dipendenti con pregiudizi penali e legati da rapporti di parentela con esponenti di primo piano della ‘ndrangheta; situazione generalizzata di grave disordine organizzativo”, “assolutamente fuori controllo”; controlli “zero” sul profilo contabile e della legittimità degli atti amministrativi relativi ai fornitori, bilanci “orali”: sono i motivi che hanno portato allo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria. Il decreto del Presidente della Repubblica è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e vi sono allegate le relazioni del prefetto di Reggio Michele di Bari e del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Nella relazione si cita il caso di due dipendenti condannati per associazione mafiosa con sentenze divenute irrevocabili e licenziati solo dopo mesi. “E’ altresì significativo – scrive Salvini – come, negli anni passati, l’azienda abbia omesso di adottare le prescritte misure disciplinari nei confronti di dipendenti condannati in via definitiva per associazione o per reati aggravati dall’art. 7”.

Dalla relazione del prefetto viene fuori una esposizione debitoria non ancora quantificata esattamente, nonostante la verifica affidata ad una società di consulenza multinazionale, certamente nell’ordine di diverse centinaia di milioni di euro che zavorrano strutturalmente anche il bilancio della Regione. Una relazione aggravata dai numerosi omissis a causa delle numerose inchieste in corso, ma che chiarisce il quadro opaco di interessi in cui non sono soltanto coinvolti mafiosi e parte della burocrazia, ma numerosi professionisti, soprattutto i legali dei fornitori cosiddetti “aventi credito”, che per oltre quindici anni hanno prodotto istanze di recupero dei crediti per i loro assistiti – titolari di aziende non sempre in possesso dei requisiti antimafia – adesso finiti sotto la lente di ingrandimento della Procura distrettuale antimafia diretta da Giovanni Bombardieri.

Un ulteriore passaggio della relazione della prefettura di Reggio analizza i rapporti tra l’Asp e le strutture private accreditate (laboratori di analisi cliniche, radiodiagnostiche, fisioterapiche, farmacie e depositi farmaceutici etc..), “ove si riscontra l’assoluta mancanza di una corretta attività di pianificazione degli acquisti delle prestazioni, nonché il costante superamento dei limiti annuali di spesa fissati dal competente dipartimento dell’amministrazione regionale”. Il decreto di scioglimento dell’Asp, inoltre, evidenzia “il reiterato ricorso al metodo dell’affidamento diretto anche al di fuori dei casi previsti dalla disciplina vigente, un modus operandi da cui hanno tratto vantaggio ditte controindicate” colpite da provvedimenti interdittivi ai fini dell’antimafia. E inoltre: manutenzioni, rimozione dei rifiuti speciali, a Palmi e Locri soprattutto, “affidate a parenti stretti di mafiosi, imprese gravate da provvedimenti ostativi antimafia, così come il servizio di lavaggio e noleggio di biancheria, risultato in affidamento ad una ditta vicina alle consorterie territorialmente dominanti, che ha beneficiato di ripetute proroghe, dal 2006 al 2018”.

L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, arricchita da numerosi lasciti di terreni e fabbricati da antiche famiglie nobiliari della città – come si legge nella relazione prefettizia – non ha “mai censito gli immobili, molti dei quali in stato di abbandono, né mai ha approntato un piano finalizzato alla loro valorizzazione o dismissione, o ha mai intrapreso alcuna iniziativa per ottenere lo sgombero di quelli occupati ‘sine titulo’, tant’è che alcuni soggetti hanno già usucapito la proprietà ed altri hanno in corso giudizi finalizzati ad ottenerne la dichiarazione di usucapione”. Tutto ciò, “compromettendo le legittime aspettative della popolazione ad essere garantita nella fruizione dei servizi relativi a diritti fondamentali, come quello della salute”