Calabria 2020/21, impazza il totoarresti tra Reggio, Vibo, Catanzaro e Cosenza

“Problemi giudiziari in Regione? Non lo escludo. L’avvicinamento di forze criminali alla politica regionale è forte. In tutta la campagna elettorale non ho mai partecipato a una cena e non sono mai andata a casa di qualcuno, ho fatto solo incontri pubblici”.

Le dichiarazioni della povera Jole Santelli alla trasmissione di Peter Gomez “Sono le Venti” sul Nove del 15 maggio 2020 hanno definitivamente confermato che ci sono indagini aperte sulla campagna elettorale per le Regionali dello scorso anno e non solo da parte della Dda di Catanzaro ma anche della Dda di Reggio Calabria e in particolare dei procuratori Gratteri e Bombardieri.

La Santelli, peraltro, non aveva annunciato certo una novità perché è da tempo che si sussurra a voce sempre più alta di un’operazione mirata a fare “pulizia” all’interno della banda di delinquenti mafiosi che hanno reso possibile la sua elezione prima e quella del fratello furbo del cazzaro successivamente. E gli arresti di Franco Talarico (assessore al Bilancio, da poche ore condannato in primo grado a 5 anni) e di Mimmo Tallini, addirittura presidente del Consiglio regionale, sono state solo le prime conferme perché è del tutto evidente che i “problemi” della Calabria non possono essere soltanto la mafiosità di Talarico e Tallini. 

E allora cerchiamo di fare il punto della situazione, quasi una sorta di “totoarresti” nel campo della borghesia mafiosa del centrodestra. Partiamo dall’ultima operazione della Dda di Reggio, risalente alla fine di febbriaio e denominata Eyphemos costata la galera al neoconsigliere Domenico Creazzo di Fratelli d’Italia e la richiesta di arresto per il senatore Marco Siclari di Forza Italia (successivamente condannato a 5 anni e 4 mesi in primo grado).

Perché soltanto Creazzo e Siclari? Sono in tanti che ancora si pongono questa domanda a Reggio e provincia, perché è davvero singolare come certi soggetti riescano sempre a farla franca e tra questi ormai i soggetti più inidiziati e chiacchierati sono soprattutto Ciccio Cannizzaro, quello che balla la tarantella con la Santelli e Giuseppe Neri. Ma per il momento restiamo su quest’ultimo. 

REGGIO CALABRIA: GIUSEPPE NERI

Cirielli e i suoi “picciotti”

Giuseppe Neri, ex uomo di Oliverio, proprio come Creazzo, aveva pensato bene di salire sul carro del vincitore di turno, portandosi dietro i suoi piccoli e non scomodi scheletri che in questo nuovo partito sembrano più delle medaglie – visto il palmares del suo coordinatore provinciale Cirielli… – che dei demeriti. E non a caso il nome di Giuseppe Neri – naturalmente eletto sia nel 2020 che adesso – era stato in pole position tra quelli che si contendevano addirittura la prestigiosa (e molto ben retribuita, of course) carica di presidente del Consiglio regionale. 

Per chi non lo sapesse, Neri è in assoluto il ras dei voti dei quartieri Catona e Sambatello dove spadroneggiano la cosca Rugolino-Tegano-De Stefano e la cosca Araniti, che con il nostro nuovo uomo della destra reggina sembrerebbe avere diversi legami. Il suo più grande elettore risulterebbe infati quel Manlio Flescaconsigliere comunale dell’era Scopelliti, già condannato per associazione mafiosa esterna con esponenti del quartiere di Catona.

I più sospettosi ritengono che Neri abbia un importante alleato che fungerebbe da “copertura”: si tratterebbe del pm della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino, figlio dell’ex sindaco, originario e residente nel quartiere di Catona, in una villa a due passi da quella di Neri… Noi ci auguriamo vivamente che non sia per queste ragioni che Neri abbia scampato il pericolo ma in molti sono sicuri che prima o poi la scure della giustizia si abbatterà anche sul signor Neri.

A questo punto, magari anche per dare una mano ai magistrati, pubblichiamo volentieri l’analisi del voto delle Regionali del 2020 nel quartiere di Catona, quasi perfettamente sovrapponibili a quella delle Regionali appena celebrate, che hanno riportato alla elezione di Neri, che evidentemente si sente intoccabile.

Giuseppe Neri Sezioni 78-79-80-81-82-83-84-85-86-87-168-174-199-216 Totale voti solo a Catona: 727

Passando alle due sezioni di Sambatello, il dato è ancora più imbarazzante: nella sezione numero 88, Neri prende 135 voti!!! E nella sezione 89 prende altri 46 voti!!! Per un totale di 160 voti in una frazione piccolissima, come tutti sanno a Reggio Calabria. 

Sarebbe curioso anche capire se il collaboratore di giustizia Mario Chindemi da Catona avrà fatto il nome di Neri sia per le consultazioni regionali del 2014 sia per quelle del 2020 perché sono in molti a ritenere che la ‘ndrangheta al completo lo abbia votato e ormai la voce dilaga non solo a Reggio ma anche sui media. Prima o poi doveva accadere… 

CICCIO CANNIZZARO, IL BUMMINO CHE BALLA LA TARANTELLA

Negli ambienti politici di Reggio Calabria, dunque, si respira aria pesante. Persino lo spavaldo Ciccio Cannizzaro, il “bummino” con la faccia da schiaffi che balla la tarantella con la Santelli eletta alla Regione, vive giorni molto difficili. Sì, perché ormai all’appello mancano solo pochi soggetti e lui è certamente quello più chiacchierato.

Vi diamo qualche dato, giusto per farvi capire di cosa stiamo parlando. Alla convention stile americano con la quale “Ciccio” Cannizzaro ha posto le premesse per diventare deputato della Repubblica nel 2018, ha partecipato tutto l’entourage del suo maestro e “angelo custode” Antonio “Totò” Caridi, che prima di essere arrestato nell’operazione Mammasantissima era riuscito anche a farlo eleggere in consiglio regionale salvo poi il discepolo abbandonare e disconoscere (almeno ufficialmente) il senatore.

La conferma, oltre alle numerosissime foto che circolavano sia ufficialmente che “non”, arrivava dall’ intervista che Lucio Dattola aveva rilasciato alla Gazzetta del Sud. Dattola è il grande capo elettore di Caridi dalla notte dei tempi in virtù di una lunga e sbandierata amicizia tra i due. E così, nel 2018, dopo un lungo periodo di silenzio politico arrivato all’indomani dell’arresto del senatore e dell’inchiesta Gotha (sarà stato per timore?) aveva deciso di rompere il silenzio e ufficializzare il suo ritorno al fianco del giovane Cannizzaro, erede ormai di tutto il gruppo di Totò Caridi.

Dattola quindi dichiarava che insieme a Lamberti Castronuovo, da sempre considerato vicino al capo indiscusso della paranza ovvero Paolo Romeo, sosteneva il “progetto politico” di Cannizzaro come se fosse una novità ma ciò non era, visti i rapporti con Totò Caridi. Insomma, la campagna elettorale era iniziata da tempo e se per Nicolò, Bilardi e De Gaetano anche dai partiti più spregiudicati era arrivato l’alt alla candidatura, per lui, Ciccio Cannizzaro, non era scattato nessun divieto. E ora lo abbiamo addirittura in Parlamento… Fino a quando qualche magistrato serio non lo sputtanerà definitivamente e si spera al più presto. Anche se il soggetto continua ad ostentare spavalderia e per tutta la durata della campagna elettorale non ha mai mollato la Santelli. Altro che solo negli incontri pubblici: i magistrati in questo senso hanno già raccolto molto materiale.

MARCO SICLARI, IL FIGLIOCCIO DI TAJANI

Quanto a Marco Siclari, proprio qualche giorno prima delle ultime elezioni è stato condannato a 5 anni e 4 mesi. La famiglia Siclari a Reggio e dintorni non è una famiglia qualsiasi, specialmente dopo che Marco è stato eletto tra il tripudio generale dei suoi seguaci senatore della Repubblica nell’ambito collegio uninominale di Reggio. Giovanni, il fratello, arrestato il 18 dicembre e quindi appena 4 mesi fa, per corruzione e turbativa d’asta, è stato sindaco forzista di Villa San Giovanni per qualche anno.

Poi, il 25 febbraio 2020, nel blitz di Sant’Eufemia d’Aspromonte è toccato proprio a Marco incappare nella Dda di Reggio, che ha chiesto al Senato l’autorizzazione per procedere contro di lui. Anche lui è impelagato fino al collo nell’operazione della Procura distrettuale diretta da Giovanni Bombardieri contro la cosca “Alvaro” di Sinopoli.
Il reato punito in primo grado con la condanna di 5 anni e 4 mesi è scambio elettorale politico-mafioso. A mettere in contatto il parlamentare con Domenico Laurendi, esponente della cosca, sarebbe stato Giuseppe Galletta Antonio, medico ed ex consigliere provinciale di FI a Reggio Calabria. 

Certo, non siamo al livello degli Occhiuto’s Brothers ma hanno tanto peso e carisma anche i fratelli Siclari, al punto che pure Marco, naturalmente, fa parte delle “megafotografie” che i fratelli Occhiuto e l’ormai ex badante Jole Santelli si “sparavano” con la Carfagna quando veniva in Calabria. Qui in particolare, Siclari – sorridente come un mammalucco, il primo a sinistra – viene addirittura abbracciato dal minore dei fratelli Occhiuto…

Il “rivale” di Siclari a Reggio, tanto per essere chiari, è sempre quel faccione da schiaffi di Ciccio Cannizzaro, eletto deputato nel collegio di Gioia Tauro, che finora deve avere avuto “protezioni” più importanti… Probabilmente proprio quelle della Santelli, che invece adesso lo ha clamorosamente scaricato.

E se Cannizzaro risponde a Caridi, tutti sanno che il prode Siclari è addirittura l’uomo forte di Antonio Tajani in Calabria e il soggetto non ha bisogno di molte presentazioni, facendo parte della schiera ristretta del cerchio magico di Berlusconi in persona. Ma anche Marco Siclari a Reggio è chiacchierato, certo non ai livelli di Cannizzaro e del suo faccione da schiaffi, ma se ne dicono parecchie in giro anche di lui.

C’è chi dice, in particolare, che Marco Siclari altro non è che un parente di Giuseppe Eraclini, ex presidente di circoscrizione, ex consigliere comunale, conosciuto nella relazione d’accesso antimafia che portò allo scioglimento del comune di Reggio Calabria perché solito frequentare elementi pregiudicati della città nonché per essere uno dei soggetti più fidati di Alberto Sarra, il sottosegretario regionale accusato di essere uno degli uomini della cupola massonica che ha governato insieme a Paolo Romeo, Giorgio De Stefano e Totò Caridi la città negli ultimi anni.

VIBO VALENTIA: VITO PITARO

Nel gruppo si notano anche Vito Pitaro e Brunello Censore

E non è finita qui. Ora ci spostiamo a Vibo Valentia. Nella lista “Santelli Presidente” un nome “degno” di nota è quello di Vito Pitaro, oggi folgorato sulla via del centrodestra ma in passato consigliere comunale di Rifondazione Comunista, assessore socialista e dirigente del Pd. A 3800 euro al mese, inoltre, per cinque anni Pitaro è stato capostruttura del consigliere regionale del Partito Democratico Michelangelo Mirabello che, però, è rimasto fedele al centrosinistra ed è candidato nella lista “Democratici progressisti”. Ma Pitaro, nel vibonese, è noto soprattutto per essere un fedelissimo dell’ex parlamentare del Pd Brunello Censore la cui candidatura è stata bloccata dall’imprenditore Pippo Callipo.

Insieme, Pitaro e Censore compaiono nelle carte dell’inchiesta “Rinascita” che, il 19 dicembre, ha portato all’arresto di 334 persone considerate affiliate o contigue alla famiglia mafiosa Mancuso di Limbadi. Nella richiesta di arresto, i pm riportano alcune frasi dell’ex consigliere regionale Pietro Giamborino, finito ai domiciliari. Il politico locale è stato intercettato mentre parlava di Bruno Censore. Il deputato del Pd, “secondo le considerazioni di Giamborino – scrivono i pm – avrebbe condotto la campagna elettorale (le politiche del 2018, ndr) con il supporto di Pitaro Vito ed entrambi si sarebbero avvalsi dell’appoggio di persone ‘ad alto rischio’, esponenti della criminalità locale, per garantirsi il bacino di voti”. E poiché questa gente è stata cosìì spavalda da ricandidarsi, c’è da pensare che non abbia fatto altro che confermare tutto l’impianto accusatorio dell’inchiesta “Rinascita”.

VIBO VALENTIA: MANGIALAVORI E LA FERRO

Pietro Giamborino da Vibo Valentia è uno degli uomini-chiave del processo Rinascita Scott. Forse non come Pittelli ma certamente ci siamo vicini. Ex consigliere, assessore e presidente del consiglio provinciale di Vibo Valentia, ex consigliere regionale e comunale, è stato un volto di primo piano nello scenario politico vibonese e calabrese. I pentiti Andrea Mantella e Raffaele Moscato lo accusano apertamente di essere uno ‘ndranghetista. Affiliato alla locale di Piscopio ma sostanzialmente intraneo al clan Mancuso. Pesano, sulla sua figura, parentele ingombranti, iniziando da quel cugino, Giovanni Giamborino, che gli investigatori indicano come il faccendiere di Luigi Mancuso, il “capo dei capi” della ’ndrangheta vibonese.

Oggi Giamborino è ridotto peggio dell’uomo nero. Lo scansano tutti, persino chi fino a qualche mese prima del suo arresto “garantiva” per lui e adesso lo identifica come il male assoluto. Funziona così nel fantastico mondo dei colletti bianchi, specie se sei un imprenditore funzionale alla massomafia e hai un sacco di attività che devono “camminare” grazie agli amici degli amici. Cercano di renderlo inattendibile in tutti i modi perché sanno bene che non è solo indagato ma anche testimone e per il momento sono uscite fuori solo le cose più grossolane e pacchiane o quelle che convengono ai manovratori. In particolare, quelle sulle elezioni politiche del 2018 che ci raccontano una realtà squallida del mondo politico calabrese.

Pietro Giamborino

È il 23 febbraio 2018, Pietro Giamborino è in auto con un amico. È un dialogo lungo e articolato. Si parla delle ambizioni di Giuseppe Mangialavori, Forza Italia, che sarà eletto senatore nel collegio plurinominale Calabria e che punta ad un exploit di consensi Mangialavori, strategicamente, avrebbe appoggiato – come emerge dalle intercettazioni – la candidatura di Wanda Ferro, first lady di Fratelli d’Italia, poi eletta deputata nel collegio uninominale 6.

Un quadretto viscido che descrive in pieno i contatti tra la ‘ndrangheta e la politica e dovrebbe far arrossire parlamentari come Giuseppe Mangialavori e Wanda Ferro, che nonostante quanto emerge sul loro conto stanno ancora dentro la Commissione Antimafia (!) protetti dal loro complice Nicola Morra e vanno ciarlando ancora di legalità insieme al loro sodale corrotto candidato a presidente della Regione, il parassita sociale legato anche lui a doppio filo alla massomafia, Robertino Occhiuto. 

Ma ecco cosa emerge dalla informativa dei Ros all’interno dell’ordinanza del processo Rinascita Scott. La preoccupazione di Mangialavori è, ovviamente, per il sostegno in vista delle Politiche 2018. Il progetto è quello di riportare il faccendiere del clan Anello di Filadelfia nonché architetto e consigliere comunale di Vibo Francescantonio Tedesco nell’alveo di Forza Italia. I due, secondo le sintesi delle conversazioni intercettate, «parlavano di organizzare un incontro per pianificare il riavvicinamento a Mangialavori del gruppo (Vibo Unica), di cui faceva parte Tedesco, per un appoggio elettorale a scapito di Bruno Censore (esponente e candidato del Partito Democratico). Tedesco suggeriva le mosse che Mangialavori avrebbe dovuto fare: fingere di ignorare Tedesco il quale, da parte sua, avrebbe attuato una finta resistenza al riavvicinamento salvo cedere per non “impiccarsi ad una questione di principio”». “House of Cards” alla vibonese con vista sul Parlamento.

La vista, però, si apre a incontri scomodi e relazioni pericolose. L’architetto, infatti, «ipotizzava di organizzare un incontro tra il boss Rocco Anello e Giuseppe Mangialavori nel corso del quale a quest’ultimo avrebbero entrambi chiesto, ironicamente, delle spiegazioni» rispetto a una presunta «mancanza» della quale il futuro parlamentare si sarebbe reso responsabile nei confronti della moglie di Tedesco. Il riavvicinamento si concretizza e, quando le elezioni si avvicinano, il sostegno per Mangialavori è assodato.

E nel progetto rientra – lo si evince da una chiamata tra Giovanni Anello e Maurizio De Nisi (ex presidente della Provincia di Vibo del quale tratteremo in seguito) – l’appoggio a Wanda Ferro («Noi a chi appoggiamo?», chiede Anello. E De Nisi risponde: «Wanda»).
Questo il passaggio nel decreto di fermo: «L’appoggio a Wanda Ferro, per la Camera, rientrava nell’appoggio politico a Mangialavori». L’idea, al solito, è quella di organizzare una cena «alla quale avrebbe dovuto partecipare Mangialavori e sarebbe stato invitato anche Rocco Anello». «Noh… E no, lo devi conoscere?[…] Guarda, se è solo senza il suo entourage è una persona … Se ti dico…», assicura Tedesco.

Un paragrafo viene intitolato “La campagna elettorale di Censore Bruno: il ruolo di Pitaro Vito”Bruno Censore per gli amici Brunello, di Serra San Bruno, è il deputato uscente del Partito democratico che, malgrado la messe di voti acquisita, candidato nel collegio uninominale di Vibo Valentia, sarà battuto da Wanda Ferro (Fratelli d’Italia) e Dalila Nesci (M5S)Vito Pitaro, invece, è un dirigente del Partito democratico, grande elettore di Censore, che alle successive amministrative stringerà un patto con il senatore Mangialavori sostenendo il centrodestra e la candidatura di Maria Limardo come sindaco di Vibo Valentia. Più avanti, siamo nel gennaio 2020, verrà ripagato dalla candidatura nella lista della governatrice della Regione Jole Santelli e con l’elezione, nei ranghi del centrodestra, in consiglio regionale. E ancora vorrebbe essere ricandidato, magari con i buoni uffici di Morra, Mangialavori e della Ferro. E poi dicono che la Commissione Antimafia è credibile. Sì, certo, come un locale di ‘ndrangheta…

È il 4 febbraio del 2018, intercettazione telefonica. È la prima di una lunga serie di captazioni nelle quali emerge chiaramente l’avversione di Pietro Giamborino verso il deputato uscente del Pd: «Non si vota Censore nell’opinione pubblica… Poi i voti che sono aggiustati… Ma quelli… ne hanno tutti… mi segui?». E ancora: «Nessuno ha il coraggio di caricarsi con la mafia… Quelli con la mafia si prendono tutto…».

L’ex consigliere regionale Pietro Giamborino non è in pista direttamente, deve scegliere chi votare ed è corteggiato da mesi da diversi aspiranti parlamentari, affinché dia il suo supporto alle elezioni politiche. Il Ros aveva già registrato, infatti, colloqui con le personalità più disparate, tutte speranzose nel suo appoggio: dall’imprenditore che scalpitava per un posto in Parlamento con il Partito democratico, alla professionista dell’informazione che attendeva il via libera dal Movimento 5 Stelle. Velleità poi tramontate. Così, quel giorno, Pietro Giamborino spiega chi avrebbe votato alla Camera: il centrodestra. E dice anche perché: «Io lo voto perché è uno strumento per abbattere Censore, punto e basta».

Questo è il quadro generale dentro il quale si sono svolte le elezioni politiche di appena tre anni fa in Calabria e non è ancora finita. Ma prima di andare avanti, è opportuno tornare alla situazione altrettanto grave della Commissione Antimafia, all’interno della quale si trovano ancora due soggetti come Giuseppe Mangialavori e Wanda Ferro, che sono stati eletti dai clan. Il M5s, del quale fa parte ancora il presidente Morra, attraverso una nota ufficiale, ha denunciato l’assurdità della posizione di Mangialavori ma non ha tratto nessuna conclusione se non quella di… chiedere l’intervento della presidente del Senato Casellati ovvero di una compagna di partito di Mangialavori…

CATANZARO: LE DIMISSIONI DEL VESCOVO

Ma il fronte più caldo sotto il profilo giudiziario è la città di Catanzaro. Non sono certo passate inosservate le dimissioni del vescovo Bertolone, ad appena un mese dal suo pensionamento, che sarebbe arrivato il 17 novembre. Il motivo reale delle dimissioni ma anche della “fretta” relativa alla mancata attesa della sua messa a riposo è il vero cuore del problema.

Per capirlo bisognerà andare a ritroso nella storia della curia di Catanzaro, noi lo abbiamo fatto per molto tempo, e forse si troveranno le cause e le malefatte del vescovo Bertolone, che oggi lascia gettando la spugna. La notizia delle suo abbandono passa quasi inosservata, la città di Catanzaro non lo ama ormai da tempo, da quando si è materializzato nei fatti e nelle attività sospette della sua curia il suo vero carisma, quello del massomafioso. Non è una novità, la conferma arriva quasi puntualmente dalle diverse inchieste prodotte dalla procura di Nicola Gratteri, che hanno sempre pescato nel suo entourage più ristretto fatto di prelati dai facili costumi etici e normalmente in affari con il mondo di mezzo, quello della massomafia e dell’affarismo sfrenato. Ce l’ha confermato, ma non serviva, anche l’inchiesta Basso Profilo dove i diretti collaboratori del vescovo Bertolone sono stati ascoltati dalla Guardia di Finanza in atteggiamenti ed in attività che sono estranei all’essere pastori di anime.

In nome del Padre, del Figlio e della Chiesa massone… si sintetizza così l’eredità che lascia Bertolone nel decennio di guida della curia di Catanzaro. E’ la caduta delle maschere, dei rapporti di complicità e di connivenza prima con la politica massomafiosa e dopo con contiguità con ambienti affaristici spregiudicati, quelli che sono stati la vera essenza dell’epoca Bertolone nella chiesa calabrese.

Molte sono le variabili possibili delle dimissioni di Bertolone, la notizia in verità circolava nei Sacri Palazzi Vaticani da almeno due mesi, e molti a volere essere buoni la ascrivono come l’ultimo anatema lanciato dalla fondatrice del Movimento Apostolico, Maria Marino proprio contro chi, il vescovo massomafioso Vincenzo Bertolone, aveva prima usato e poi abbandonato, cercando di rubare il bottino che restava disponibile sul piatto. Ma c’è di più…

La risposta potrebbe venire – sempre secondo voci che filtrano dalla Santa Sede – sulla mancata porpora cardinalizia, promessa dai suoi complici a monsignor Vincenzo Bertolone quale cardinale di Palermo. Vero o non vero resta il fatto, scandaloso delle sue dimissioni, che si ripetono a stretto giro di posta come quelle di monsignor Luigi Renzo vescovo di Mileto e che ci consegnano l’opacità della guida cosiddetta spirituale di due diocesi calabresi non certo credibili in termini di moralità e di trasparenza. Le concomitanze sono simili, fatte di lotte intestine fra prelati, di vessazioni striscianti contro altre realtà come la Fondazione Natuzza ed il Movimento Apostolico, ma soprattutto di resistenti incrostazioni di ‘ndrangheta almeno nei comportamenti spiccioli dei tanti collaboratori ristretti dei vescovi, abituati ad usare la minaccia e la delazione come metodo di preghiera.

Le dimissioni di Vincenzo Bertolone chiudono una storia, ma ne aprono un’altra che dovrà essere riletta e che metterà a nudo l’attività dei tanti preti palazzinari o dei delitti sanitari consumati in nome di Santa Romana Chiesa, proprio quella sanità disastrata che i vescovi calabresi mettono in evidenza come un mantra, senza mai interrogarsi fra di loro, delle singole malefatte e della distruzione di realtà consolidate come Fondazione Betania proprio a Catanzaro, caduta sotto la scure di Bertolone in alleanza con la massoneria.

C’è in ultima analisi un’altra variabile, quella più pericolosa ed esplosiva che parte, così molti sussurrano, proprio dalla procura di Nicola Gratteri e che potrebbe investire la curia di Catanzaro, abitualmente coinvolta in traffici strani di dazioni e denaro ed i tanti collaboratori mafiosi del vescovo Vincenzo Bertolone, salvo che a restare nelle maglie della rete non ci sia anche lui…

Il Vangelo è sempre lo stesso. Quello scritto dagli Apostoli infedeli della curia cittadina in complicità organica con le vicende di Farmabusiness, di Basso Profilo e di tutte le altre pagine che la procura di Nicola Gratteri ha strappato e lanciato al vento, ma che ancora non tornano definitivamente ad un risultato tangibile: la derattizzazione di una città. Già, solo perché si segue una derivazione che non deve essere politica, giusto per non incriminare sempre la magistratura di essere ad orologeria, mentre a Catanzaro, la città della massomafia, l’orologio resta sempre puntato sull’ora di una riscossa, possibile e non realizzata, dalla criminalità organizzata, politica, massonica e clericale che non è un fatto di costume e di cultura, come qualcuno vorrebbe analizzare.

Il costume è diventato radicato malcostume nella curia di Catanzaro e la cultura si è trasformata in coppola, sostituendo la lupara con le consacrazioni eucaristiche drogate dove si distribuiscono sempre ostie avvelenate: quel fai da te per le necessità di famiglia, quella massone e laica, ma anche quella ecclesiastica allargata. Nicola Gratteri resta l’unica luce nel buio del malaffare catanzarese a trazione vescovile, quella candela che molti vorrebbero spegnere oppure ingraziarsi per evitare problemi prossimi venturi, quelli che si addensano all’orizzonte delle dimissioni di Vincenzo Bertolone.

COSENZA: PINO GENTILE DELLA FAMIGLIA DEI CINGHIALI E LA LOGGIA COPERTA

Passando alla realtà cosentina, non c’è dubbio che il numero uno, anche per una questione anagrafica, è Pino Gentile della famiglia dei Cinghiali di Cosenza, classe 1944, da 50 anni ininterrottamente sulla scena eppure ancora insaziabile. Neanche l’ultima ordinanza del blitz di Gratteri nella quale il suo nome figura tra quelli che il pentito Virgiglio – massone anche lui – compongono la “loggia coperta” con Pittelli e Chiaravalloti ha fermato la Santelli. Niente da fare.

L’unica variante rispetto alle previsioni è stata quella della sua collocazione “politica”: Pino Gentile non ha capeggiato la lista della Lega nella circoscrizione di Cosenza ma una lista civica chiamata Casa della Libertà, e ci vuole davvero un bel coraggio… Ma questo “cambio” gli è costato l’elezione perché la lista civica a Cosenza e provincia non ha preso i voti necessari per far scattare il seggio e il Cinghiale è rimasto “intrappolato” o meglio “trombato”… Ma non c’è dubbio che i suoi 8mila voti valgono anche più di quelli di un”normale” consigliere.

Compa’ Pinuzzu, tra i leader indiscussi del cosiddetto “superclan dei calabresi” che ha rastrellato tutti i finanziamenti possibili per i suoi porci comodi, ha comunque ancora fame e sete di potere e infatti ha candidato ed eletto la figlia Katya, provetta cinghialessa. Esperto nella categoria “mattone”, ha fatto razzia di fondi per l’edilizia sociale distribuendo decine e decine di milioni ai suoi amici palazzinari ed è stato anche rinviato a giudizio dalla procura di Catanzaro dopo averla passata liscia con una sentenza farlocca e assurda dallo scandalo delle case popolari di Cosenza che ha coinvolto anche i clan mafiosi.

COSENZA, MARIO OCCHIUTO
Da sinistra: Cannizzaro, il questore Anzalone, Occhiuto e Potestio
A questo punto manca soltanto l’ultimo tassello o meglio “aspirante” alle manette e non c’è dubbio alcuno che sia il sindaco cazzaro uscente di Cosenza Mario Occhiuto, sul quale la Dda di Catanzaro prima con il pm Bruni, poi con il pm Falvo e adesso con l’ultimo “applicato” ha indagato e sta indagando ormai dalle elezioni comunali del 2011 ma senza successo proprio per le coperture ormai svanite della Santelli, che puntava tutto sui suoi rapporti di complicità con il re dei magistrati corrotti di Calabria, l’orripilante Vincenzo Luberto. Sensazione confermata dall’ultimo decreto di sequestro per Piazza Fera, che è tornata così nell’alveo più consono ovvero quello della criminalità organizzata.

E’ da tempo che il nome di Carmine Potestio, l’uomo di fiducia di Mario Occhiuto, oggi spregiudicato uomo d’affari nella sanità privata, speculando sfacciatamente sulla sigla ANMIC (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili), gira nelle inchieste della magistratura.

La Guardia di Finanza vuole vederci chiaro da una vita. L’archiviazione della procura di Cosenza per l’inchiesta su Piazza Fera/Bilotti le Fiamme Gialle (questo ormai non è più un mistero) non l’hanno presa per niente bene. E hanno trasmesso alla Dda di Catanzaro, che indaga da tempo sulla Tangentopoli cosentina, tutto il materiale raccolto. Si parla di un anno e mezzo di informative con consulenze tecniche e perizie. Un lavoro capillare che non poteva essere buttato al vento per i soliti accordi sottobanco tra potere politico e giudiziario. E che non a caso ha portato al lungo sequestro (in parte ancora in corso) della piazza e a 13 avvisi di garanzia – tra i quali anche quello di Mario Occhiuto alias il cazzaro – che finalmente sfoceranno in un processo coordinato dalla Dda di Catanzaro.

La procura di Cosenza è la regina indiscussa dei tanti porti delle nebbie dei quali si riempie il Belpaese. La Guardia di Finanza ha consegnato alla Dda anche intercettazioni ambientali di estrema gravità. In una di queste il capo di gabinetto del sindaco Occhiuto, Carmine Potestio, il suo uomo più fidato, spiega a un esponente del clan Rango-zingari che il gruppo Barbieri, vincitore dell’appalto, è gradito all’amministrazione ma soprattutto al clan Lanzino-Patitucci. Il messaggio che arriva è di distensione proprio perché il clan è specializzato in estorsioni per favorire la latitanza di Ettore, all’epoca ancora “uccel di bosco” a… Rende con la complicità del famigerato carabiniere amico di Occhiuto.

Perché Potestio può garantire per il clan? La risposta è semplice. Il fratello di Carmine Potestio, al secolo Mario, è un faccendiere del sottobosco politico. A novembre 2013 finisce addirittura in manette nell’ambito dell’operazione Vulpes, condotta dai carabinieri di Cosenza e dal Ros. Mario Potestio è accusato di aver favorito la latitanza di Ettore Lanzino.

Erano i soldi estorti agli imprenditori cosentini a finanziare la latitanza del boss e quindi le attività della sua cosca. Potestio viene arrestato insieme ad altri quattro esponenti del clan Lanzino. Che sono accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento seguito da incendio, detenzione e porto illegale di armi, favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena.

La posizione di Potestio viene considerata diversa da quella degli altri e dopo tre giorni viene scarcerato. Attenzione, però. Gli inquirenti avevano documentato, in almeno un`occasione, due giorni prima della cattura del boss, una visita di Mario Potestio al nascondiglio del capoclan fuggitivo, a Rende.

L’accusa è che il capo di gabinetto del sindaco di Cosenza, tramite il fratello, fosse una sorta di trait d’union tra Lanzino e il mondo esterno, anche e forse soprattutto quello politico. Il giudice dice di no ma le informative della Guardia di Finanza rivelano che è proprio Carmine Potestio a tranquillizzare il clan Rango-zingari. Quasi a voler dire che ci sono i “nostri” e che non è il caso di andare a chiedere tangenti. Consiglio che viene accettato.

Un particolare ha accelerato però i processi di collegamento dell’inchiesta di piazza Fera/Bilotti a quella sulla Tangentopoli cosentina. L’operazione Vulpes è stata coordinata dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Pierpaolo Bruni. Che è stato il deus ex machina di Cosenza corrotta. E aveva già da tempo legato i vari riscontri. Bruni adesso è procuratore a Paola ma il suo lavoro è servito eccome ai suoi colleghi. In primis per l’arresto di Giorgio Barbieri, che è stato un po’ come la quadratura del cerchio, anche se hanno fatto di tutto per “salvarlo”, ma che alla fine s’è beccato il rinvio a giudizio insieme al suo amico Occhiuto.

Non bastano i pentiti? La DDA ha sentito anche Barbieri… E non c’è dubbio che l’ultimo sequestro di beni del 2019 nei confronti del reggente del clan Lanzino ovvero Francesco Patitucci e poi – a due anni di distanza – il suo arresto dopo una condanna all’ergastolo per il delitto di 35 anni fa di Luca Bruni, siano state altre tappe importanti nella marcia di avvicinamento alla verità sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Comune di Cosenza. Che prima o poi, Gratteri o non Gratteri, dovranno venire fuori.