Da qualche tempo ormai stiamo cercando di mettere un po’ d’ordine nelle vicende che riguardano le inchieste della DDA di Catanzaro sul Comune di Rende. Non solo quelle recenti, che coinvolgono in prima persona il sindaco Marcello Manna, ma anche quelle più “antiche” che coinvolgono evidentemente Sandro Principe e i suoi sodali.
Ed è su questo che si sta concentrando il blitz, ancora in corso, della DDA di Catanzaro.
Sandro Principe, Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo figurano certamente tra gli arrestati.
La cittadina d’oltre Campagnano ha conquistato la ribalta delle cronache, non solo locali, a novembre 2012 quando sono stati arrestati, tra gli altri, l’ex sindaco di Rende Umberto Bernaudo e l’ex assessore ai Lavori pubblici Pietro Ruffolo. Tutti sanno che sono stati uomini di fiducia, “colonnelli” a tutti gli effetti di Sandro Principe.
Secondo la Dda di Catanzaro avevano finanziato e poi capitalizzato con 8 milioni di euro una cooperativa di servizi per “garantire occupazione e pagamento di uno stipendio mensile a soggetti legati da vincoli di parentela o contiguità a esponenti apicali del clan Lanzino”. In pratica la coop Rende 2000, ribattezzata Rende Servizi dopo essere divenuta a partecipazione comunale grazie ai due politici e a 8 milioni di fondi pubblici, assicurava uno stipendio al luogotenente del clan, Michele Di Puppo, allo stesso boss della ‘ndrangheta Ettore Lanzino e ad altre persone affiliate o vicine all’associazione mafiosa, in cambio dell’appoggio elettorale in occasione delle consultazioni del 2009, vinte appunto dal centrosinistra.
Per il gip Sabatini, che aveva comunque escluso l’aggravante del metodo mafioso (la Dda aveva impugnato il provvedimento), “l’unica funzione economica” della coop era “assicurare una retribuzione” ai dipendenti vicini al clan Lanzino.
Sabatini, dunque, ha smontato metà delle considerazioni e delle accuse dei pm Pierpaolo Bruni e Carlo Villani. Una vera e propria “mazzata”, tra l’altro con motivazioni che l’illustre collega Roberto Galullo de Il Sole 24 Ore ha definito “paradossali”.
Dagli atti risulta che Franco D’Ambrosio, ascoltato come persona informata dei fatti, ha affermato che “la trasformazione della società Rende 2000 da cooperativa a società in house avvenne per volontà diretta di Sandro Principe, allora sindaco”.
Non solo. Ha anche aggiunto che “all’interno della Rende 2000, cooperativa di tipo b ossia volta al reinserimento di soggetti svantaggiati e poi della Rende Servizi srl vi era un gruppo di persone “attivo” politicamente, ragion per cui dedito a sostenere il gruppo politico di Sandro Principe, Bernaudo e Ruffolo”.
I pm Bruni e Villani hanno anche abbondantemente documentato come la Rende Servizi fosse inefficiente e antieconomica.
E che i suoi dipendenti facevano la campagna elettorale per il Pd.
Ancora: tutti gli effettivi sono stati assunti per chiamata nominativa e nelle file del personale risulta addirittura il boss, cioè Ettore Lanzino.
L’ex sindaco Bernaudo dichiara testualmente nel suo interrogatorio.
“Ad ogni buon fine che io li conosca o li abbia conosciuti o meno me li sono ritrovati come dipendenti della cooperativa con la quale altri amministratori pubblici prima di me hanno stipulato il contratto di appalto”.
In sostanza, prendetevela con chi li ha assunti cioè il sindaco che mi ha preceduto ovvero Sandro Principe.
Due profili emergono in maniera certa: il primo concerne la gestione clientelare della cooperativa Rende e poi Rende Servizi, riconducibile all’area politica di Bernaudo, Ruffolo e Principe.
Il secondo riguarda la presenza di dipendenti con precedenti penali, alcuni tra loro contigui alla radicata cosca Lanzino.
Il carattere clientelare della gestione assume rilevanza se esso abbia presentato i requisiti di un vero e proprio concorso esterno al sodalizio mafioso. Ed è qui che il Gip assesta le “mazzate” ai pm.
Né trasformazione né ricapitalizzazione della società con un immobile di ingente valore vengono ritenuti sufficienti a far scattare il metodo mafioso.
Quanto all’assunzione c’erano già da prima e se questo può essere una scusante per Bernaudo e Ruffolo non può esserlo allora per chi era sindaco prima ma il gip Sabatini sembra quasi dimenticarsi di chiarire chi c’era prima. Non ci pensa proprio, impegnato com’è ad arrampicarsi quasi sugli specchi per sostenere che sì, va bene, un Comune dello stato italiano ha assunto direttamente un boss, per quanto in una cooperativa di tipo b che deve avere “soggetti svantaggiati”. Ma, vivaddio, Lanzino non aveva certo bisogno dell’assunzione del Comune di Rende per sprigionare la sua forza criminale. Si arriva al paradosso di un giudice che sembra quasi voler minimizzare la portata dei fatti. Spesso a dispetto di quanto emerge dagli atti.
L’unico aspetto che proprio non può evitare di vedere è l’asservimento della funzione pubblica della Rende Servizi, piegata a interessi non pubblici (e meno male!).
Neanche la circostanza che un dipendente di particolare caratura criminale aveva assunto un ruolo preponderante e significativo all’interno della società (in questo caso Michele Di Puppo, braccio destro del boss) viene riconosciuto da Sabatini come motivo valido per far scattare il metodo mafioso. Niente da fare.
Nonostante la bocciatura, tuttavia, all’epoca dei fatti era opinione diffusa che quello degli arresti di Bernaudo e Ruffolo fosse solo il primo gradino di una scala che i pm avevano prefigurata ben più alta e impervia. E anche in questo caso niente da fare.
Viene da chiedersi, allora, chi sia stato il regista di questo insabbiamento.
Le risposte, come sempre, stanno tutte dentro il Partito Democratico. Specie in quei dirigenti che gestiscono il settore della “giustizia” e nei loro tirapiedi.
Quegli stessi che oggi, a quanto pare, hanno deciso di fare “luce” su Rende. Arrestando Sandro Principe e insieme a lui di nuovo Bernaudo e Ruffolo.