Sabino Cassese: “Le dichiarazioni di Di Maio come quelle di un vecchio notabile della Dc”

(DI TOMMASO RODANO – Il Fatto Quotidiano) – Lo chiamavano bibitaro, ne decantavano il curriculum tra risatine e colpi di gomito, tenevano la contabilità dei congiuntivi sbagliati, delle pronunce goffe e delle sortite in balcone. Non più: Luigi Di Maio è diventato uno statista. La stampa e l’opinione pubblica liberal sono finalmente persuase dalle qualità del ragazzo. Che nel frattempo si è fatto uomo: fino all’altroieri era “Giggino”, ora ha “lo standing” del ministro.

Leggete com’è rotonda e flautata l’analisi di Repubblica, che ieri lo confrontava con Giuseppe Conte, “l’azzimato Avvocato del Popolo con la pochette a quattro punte”, la cui “parabola discendente incrocia quella di Di Maio, che ora punta di nuovo verso l’alto”. Una rivoluzione: “Il rampante ‘capo politico’ che dopo la rottura con Salvini non voleva l’accordo con i vecchi nemici del Pd, l’arrogante candidato premier che invocava l’impeachment di Mattarella, lo spregiudicato capopopolo che andava in macchina a Parigi con il subcomandante Dibba per solidarizzare con i gilet gialli contro il feroce Macron è come se fosse stato inghiottito da un buco nero”. Tutto d’un botto. “Al suo posto c’è un altro Di Maio, che parla il linguaggio felpato dei dorotei, però ha dimostrato la lealtà di un ministro moroteo, ma anche l’astuzia di un luogotenente andreottiano”. Com’è accaduto? “Saranno stati i due anni di tirocinio alla Farnesina, sarà stata la sua spettacolare capacità di adattamento”, o la spettacolare capacità di adattamento di chi scrive sui giornali. D’altra parte, sostiene il direttore Maurizio Molinari, Di Maio è uno degli araldi dello “schieramento arcobaleno anti-sovranista in grado di privare Salvini, Conte e Meloni dei voti necessari per imporsi”, dunque uno dei più grandi elettori di Sergio Mattarella e un garante della stabilità dell’intero sistema politico. Repubblica è il giornale che più di tutti lo ha detestato e ora più forte batte le mani: “Tempismo e nervi saldi, ha imparato la vera politica”, si legge nel pagellone post-Colle: “È stato sostenitore dello spostamento di Draghi al Quirinale, in un’ottica di stabilizzazione del sistema e di rassicurazione delle inquietudini che si sono affacciate all’orizzonte internazionale; ha tenuto testa alla destra, senza strepiti; e si è reso indipendente anche dalle scelte di Conte.”

Addirittura Linkiesta di Christian Rocca, bastione digitale della destra Pd, sempre caustico nei confronti di chi aveva sconfitto la povertà a mani nude, lo promuove con un sette e mezzo: “Piccoli leader crescono”, il titolo. “Vita facile” però: “Bastava dichiarare il contrario esatto di ciò che aveva appena dichiarato Conte”. Come si voleva dimostrare. Il Giornale di casa Berlusconi già il 15 gennaio anticipava il “piccolo miracolo politico” di Di Maio con parole dense di ammirazione: “Il ministro degli Esteri ha appena 35 anni e non ha più intenzione di fare altri passi indietro”. Mentre il Corriere della Sera ne celebrava “il basso profilo di chi è andato a lezione dalla vecchia politica”.

Alla fine di questo straordinario e repentino percorso di redenzione, si assiste a fenomeni paranormali. I “dimaiani” sono a tutti gli effetti una categoria politica. Il povero senatore Sergio Battelli era chiamato “peone” fino a tre giorni fa dagli stessi siti che ora mettono le sue dichiarazioni in home page (ieri su Repubblica tuonava: “No al MinCulPop interno”!). Come in un’allucinazione, arrivano i messaggi di solidarietà di Renato Brunetta (Forza Italia), Andrea Marcucci (Pd) e Maria Elena Boschi (Iv) contro il “tweet bombing” di cui è vittima sui social (da profili di troll intercontinentali, pare). Proprio Meb, la più fiera ex nemica, gli fa da scudo contro la macchina del fango: “Cambiano i destinatari, ma non i metodi”.

La palma della debibitarizzazione è del giurista Sabino Cassese. Lui che avvertiva della minaccia democratica rappresentata dai grillini, si è felicemente ravveduto ieri sera su La7: “Le dichiarazioni di Di Maio possono essere quelle di un vecchio notabile della Dc di settant’anni”. Inteso come complimento. Che Paese meraviglioso, dove “bibitaro” è un insulto e “democristiano” una patente di maturità.