Salvini come uno sfollagente e l’effetto boomerang: ora è antipatico come Renzi

ARTICOLO RISALENTE AL 24 NOVEMBRE 2023 MA ANCORA MOLTO ATTUALE… 

IL MINISTRO SALVINI – Sfollagente. Fino al 2019 faceva il doppio ruolo di lotta e di governo, ora pare non imbroccarne più una e non lo reggono più né i suoi né gli alleati: la Meloni cerca di boicottarlo e lui cerca sfogo dichiarando guerra ai sindacati

(DI PINO CORRIAS – ilfattoquotidiano.it) – Nel catalogo dei destini a Matteo Salvini tocca quello del vecchio fiasco di vino. Riempie tutti i bicchieri sulla tavola della politica, ma si è voltato in aceto e assaggiarlo dà alla testa. “Oggi – dice una sua parlamentare, ex ammiratrice – sta diventando antipatico a tutti come capitò a Renzi. E spesso ridicolo anche al colpo d’occhio: i calzerotti a righe quando sale al Quirinale, la pancia, la barba che sembra un arabo, le mani che gesticolano in aria, imitando Crozza”.

In anni di fermentazione politica, Salvini, attuale ministro dei Trasporti, ci ha provato di dritto e di rovescio. Cominciò sventolando la bandiera dei comunisti padani, poi quella della Secessione longobarda. Continuò con “Napoli merda, Napoli colera”. Per poi rivoltare la frittata in: viva la Terronia, viva la Nazione. Girò a quel punto la contraerea di supplì ideologici contro i barconi degli invasori, i negri immigrati da sequestrare in mare e da tormentare appena scesi a terra, tagliando i fondi ai centri di accoglienza.

Ci ha provato di nuovo sventolando prima il rosario in piazza, sfiorando la blasfemia, se mai sapesse di cosa si tratta. Poi patria, famiglia e padre Pio, in sequenze da comizio, dopo avere perso il senno con le pupe in tanga e il mojito in erezione estiva. Ha continuato inneggiando a tutti i banditi della democrazia: oggi il tinto biondo Geert Wilders, ultradestra olandese. Ieri: Donald Trump, Jair Bolsonaro, Viktor Orbán. Compreso il loro profeta in terra armata: lo zar Vladimir, che Matteo omaggiò persino sulla piazza Rossa: “Cedo due Mattarella per mezzo Putin”. Per poi correre a nascondersi sotto la coda dei corazzieri, promettere anche ai polacchi di non dirlo mai più (lo volevano menare lassù, al confine con l’Ucraina), scampare all’ira del suo socio Luca Zaia, il presidente del Veneto, che ogni tanto minaccia di prenderlo a legnate.

Da quando ha varato la “Lega per Salvini premier”, anno 2019, Matteo ha funzionato come uno sfollagente.

Senza mai diventare premier, è scivolato dai piani alti della nomenklatura, verso quello delle truppe di complemento, come il suo compagno di sventura Antonio Tajani, detto “Il Grigio”. Lo stesso effetto lo ha avuto sul partito, visto che nell’ultimo anno il tesseramento è calato del 32 per cento. I superstiti fanno finta di nulla. Avrebbero diritto a un congresso ogni tre anni, ma da cinque, dentro la Lega ortodossa, non vola una mosca. Né una critica al Capitano che quest’anno è riuscito a peggiorare i debiti della Lega di altri 3,9 milioni di euro.

L’ultima volta che ha deciso di riempire una piazza a Milano, ha combinato un disastro che i tg hanno provato a nascondere. Era il 4 novembre scorso, mattatoio israeliano-palestinese, parola d’ordine “Pace & libertà” buona anche per le concorrenti di Miss Padania.

Aveva mobilitato i funzionari di partito e i pullman per riempire largo Cairoli con almeno 3 mila padani. Ne sono arrivati a stento 300, più o meno quanti erano i poliziotti schierati con manganelli e caschi, transenne e ricetrasmittenti, a difesa del suo comizio, intitolato comicamente “Senza paura”.

Giorgia Meloni, che non lo ha mai amato, lo fa secco ogni mattina. S’è inventata la baggianata dei campi profughi delocalizzati in Albania per mimare una soluzione agli sbarchi che riesca a reggere almeno fino alle elezioni europee e fregare Salvini sul suo terreno. Non contenta, dall’altro giorno, fa gli occhi dolci al socialista tedesco Scholz, bestia nera di Salvini, e si prepara a piegarsi al Mes.

Lui le fa i dispetti quando può. Questa estate, Giorgia si è portata Ursula von der Leyen a Lampedusa per dire alle telecamere: condividiamo con l’Europa il fardello degli sbarchi. Matteo per ripicca ha issato Marine Le Pen sul palco di Pontida, la giaguara che ruggisce a Bruxelles.

La sua ultima trovata – oltre a minacciare emendamenti alla Finanziaria e poi ritirarli – è molestare il sindacato in generale e Maurizio Landini in particolare, accusandolo di organizzare “scioperi da long weekend”. Landini, dal palco della Cgil, gli ha detto: “Al suo posto non parlerei di weekend, visto che non ha mai lavorato un giorno in vita sua”.

Landini esagera. Da ragazzo, Matteo ha scarpinato un paio di settimane estive per Speedy Pizza. Il trauma lo sfiancò al punto da entrare, l’anno dopo, nel Consiglio comunale di Milano per rimanerci inchiodato 19 anni filati, con la ruspa sulla felpa e nel cuore, parola d’ordine: “Spianare i campi Rom”. Con le medesime macerie ideologiche si è conquistato tre legislature filate a Bruxelles, dove, stipendio dopo stipendio, è diventato euroscettico.

Come molti furbacchioni di destra ama talmente la famiglia da averne tre. Le prime due con moglie e figli. La terza con Francesca Verdini, figlia d’arte, che con il suo solo talento si è buttata nelle produzioni cinetelevisive scodellando due documentari di stretta attualità, uno su Franco Zeffirelli, il regista dei belli, l’altro su Gustavo Adolfo Rol, il mago che piegava le forchette col pensiero.

Lui, col pensiero, vorrebbe costruire il famoso Ponte sullo Stretto. Non ci sono i soldi, i progetti non stanno in piedi, i rischi sono maggiori dei vantaggi, le priorità sono altre, per esempio il treno di terraferma Palermo-Catania che impiega sei ore a fare 210 chilometri. Ma lui niente. Si è incapricciato della grande opera e Giorgia lo lascia giocare con il plastico, mandandolo a fare la figura del fesso con Bruno Vespa.

Sovrastato dagli avvenimenti e da compiti più grandi di lui, dicono gli manchi Berlusconi, il suo secondo padre, che gli pagava l’accesso al Milan e pure alla politica. Ha provato a sostituirlo con Antonio Angelucci, quello delle cliniche, il parlamentare più assenteista di sempre, che doveva garantirgli un po’ di visibilità sugli inchiostri di famiglia, LiberoIl Giornale, il Tempo, che in realtà navigano verso il porto sicuro della premier Meloni. Come pure sta facendo il celebrato generale Vannacci, che in piena estate Matteo ha provato ad annettersi: due campioni dell’horror vacui, buoni per il prossimo Dario Argento o per un redivivo Luca Morisi, la Bestia.