Scalea, l’Asp vuole chiudere il poliambulatorio

di Saverio Di Giorno

Periodicamente il territorio dell’alto cosentino vede strapparsi un pezzettino di territorio, di servizi, di sanità. Di dignità. Come un cancro che con il passare del tempo si allarga. Tocca al poliambulatorio di Scalea. Il ‘gigante buono’, la cattedrale nel deserto, ad aprile rischia la chiusura. La responsabilità pare essere ancora una volta di quel bubbone che è l’Asp di Cosenza. E la dignità è quella che vogliono proteggere le madri e i padri dei bambini del reparto di neuropsichiatria infantile “non elemosine o pietà”. Ma perché chiudere? Non è una domanda di disperazione, ma di richiesta di chiarimenti perché di dubbi sulla vicenda ce ne sono molti.

In questi giorni si sono susseguiti tavoli, incontri, si è chiamato in causa il neo commissario La Regina che ha dato massima fiducia e disponibilità.  Gli intenti ci sono, la volontà dell’amministrazione c’è tutta e non solo di quella di Scalea. Il bacino di utenza che si appoggia al reparto è vastissimo, va da Tortora a Cetraro. Decine e decine di bambini e genitori. I genitori avvertono l’impegno, ma sono anche spaventati. “Troppe parole e il tempo stringe. Noi vogliamo credere che la questione troverà una svolta, abbiamo bisogno di crederci, ma viviamo in questo territorio da troppo tempo per illuderci”.

Veniamo ai fatti: il 14 dicembre 2020 una relazione dell’Asp a firma dell’ingegnere Gianfranco Abate (uno dei membri di una delle nove commissioni riguardanti la scandalosa vicenda dell’RSA di San Nicola Arcella), dice che per mettere a posto lo stabile con i dovuti adeguamenti strutturali sono necessari 4 milioni e 900 mila euro. Il 17 luglio 2020 un controllo dei vigili del fuoco aveva rilevato la necessità di questi interventi. “Ma si svegliano solo ora?” La domanda emerge potente e le risposte potrebbero far male a qualcuno. E poi: sono necessari seriamente 5 milioni di euro? Quella che è necessaria è sicuramente una controperizia anche perché di cifre gonfiate ne abbiamo viste a decine negli anni e anche ultimamente su reparti e terapie intensive. Questa cifra ha per ora solo l’effetto di permettere all’Asp di mettere le mani avanti: troppi soldi. L’Asp non vuole spendere perché ha valutato che occorrono troppi soldi e il comune non può perché è sull’orlo del dissesto.

Ma ripetiamolo ancora: perché solo ora si svegliano? “Io frequento il centro da anni e non ci ho mai visto nessun intervento di manutenzione” dice qualcuno. C’è di più: l’Asp finora ha richiesto solo interventi sismici, ma avrebbe potuto chiedere interventi anche al di fuori degli equilibri di bilancio. Perché non è stato fatto? Esiste anche una perizia che risale al 2013 nella quale si richiedevano interventi. Ma in quel caso non erano stati dati 6 mesi di ultimatum. I 6 mesi scadono ad aprile. Cosa è cambiato dal 2013? Tante cose, sicuramente si è reso più grave il danno, sono cambiati commissari, ma anche procuratori e amministratori.

È troppo facile immaginare un disegno dietro che risolva questi dubbi. È troppo facile per chi vive su questi territori. Lo si è già visto no? Picconare la struttura di Praia a Mare ha avuto l’effetto di favorire le cliniche private del territorio. Non è nemmeno una novità la commistione tra sanità e politica, Asp e politica. Non è una novità che spesso i servizi siano elargiti come elemosina in cambio di fedeltà oppure al contrario si ottengano grazie alle entrature personali. In questo caso le cose stanno in questo modo? Difficile dirlo. Se ora una madre o un padre deve dividersi tra scuola, terapia per il proprio figlio a Scalea e magari lavoro percorrendo quei trenta chilometri da un comune all’altro poi dovrà fare un paio d’ore di auto verso Cosenza o verso la Basilicata con spese aggiuntive, ore di lavoro o di scuola in meno e magari anche specialisti privati.

Quello che chiedono i genitori sono soluzioni serie e non quella pietà politica che ci ha ridotto sudditi. “Noi genitori dobbiamo pensare al dopo dei nostri figli, quando non ci saremo più”. Un politico dovrebbe pensare al dopo del suo territorio, quando non ci sarà più lui, ma i nostri invece non ci pensano perché ci sono sempre. Ad aprile oltra alla proroga ci saranno anche le elezioni regionali e si sono schierati tutti per il Poliambulatorio, da Aieta, a Di Caprio e Di Natale. Avranno pensato al dopo o solo ad aprile? Lo sapremo nei prossimi mesi.

Non è una struttura perfetta, ma andrebbe potenziata non smantellata. Non è mai stata perfetta, ma è un rifugio per centinaia di famiglie. “Io quando mia figlia si lamenta dello stato di qualcosa le rispondo: e sapessi le condizioni all’epoca mia o dei nonni. Poi mi accorgo dell’errore di questo ragionamento”. È sbagliato giocare al ribasso: si rischia di abituarsi a tutto questo, a pensare che sia normale mettersi in strada e percorrere centinaia di chilometri per poter vivere normalmente. Ma se la vita normale è a centinaia di chilometri, qui non rimane che lo sgomento. Il metro per giudicare accettabile una società non può ridursi a “beh però se qualcuno ci riesce allora si può fare”, ma deve basarsi sui tanti che non ci riescono, sui più deboli. L’unica perizia accettabile è questa perché i pochi riescono proprio a scapito dei molti. E le strade del dissenso le uniche percorribili per recuperare quella dignità persa sulla strada verso una clinica privata o verso un’altra regione.