Cosoleto-Sinopoli-Roma, il duo Carzo-Alvaro e l’espansione della ‘ndrina: “C’è pastina per tutti”

«C’è pastina per tutti», cioè a Roma c’è spazio per ogni tipo di affare. Possibilità enormi, e anche per i giri illeciti: lo sanno bene Vincenzo Alvaro – figlio di Nicola che negli anni Novanta ricopriva il ruolo di capo di Cosoleto – e Antonio Carzo, che a sua volta avrebbe incassato dalla “casa madre” l’autorizzazione a costituire una locale di ’ndrangheta a Roma. È questo lo scenario in cui si sviluppava la maxinchiesta “Propaggine”, che su disposizione della Dda di Roma aveva portato nel maggio scorso all’arresto di 43 persone tra Lazio e Calabria e al sequestro di 12 società, incrociata con il fascicolo della Procura antimafia reggina sfociato contemporaneamente in altri 34 arresti. Stamattina la Dda di Roma ha dato seguito a quell’operazione con altri 26 arresti e con altri sequestri di società.

Amici con tutti

«Adesso lui fa le veci del padre! Hai capito? Perché il padre è anziano. Quando c’è un problema tra famiglie… chiamano lui», dice un indagato di Vincenzo Alvaro. Che a sua volta, figlio di uno storico boss, a Roma sarebbe stato capace di costruire un impero. Fiuto per gli affari e spirito imprenditoriale, nella presunta diarchia con Antonio Carzo avrebbe curato gli interessi economici del gruppo. Aveva creato «un vero e proprio sistema occulto di accaparramento e gestione di attività economiche nella città di Roma», scrive di lui il gip capitolino Gaspare Sturzo secondo il quale Alvaro, detto “zio”, «partecipa personalmente alle affiliazioni e al conferimento di nuove doti di ’ndrangheta, mantiene i contatti con personaggi di vertice di altre cosche, di cui si serve anche per riscuotere crediti delle attività commerciali fittiziamente intestate o per ottenere vantaggi illeciti nel settore ittico o in quello del ritiro delle pelli e degli olii». E che ci fosse da guadagnare per tutti ne era convinto uno dei sodali, Giuseppe Penna, che il 20 ottobre 2016 si esprime in questi termini: «Non è che io devo comandare qua a Roma… a Roma io lo so, questi della Magliana sono tutti amici nostri, tutti questi dei Castelli sono… questi dentro Roma, tutto l’Eur che sta tutto con noi… mano mozza… li conosciamo tutti… a Torvajanica… al Circeo… sono amico di tutti e mi rispetto con tutti».

Ad ognuno il suo

Gli inquirenti riconoscono ad Antonio Carzo la capacità di aggregare i numerosi ’ndranghetisti sparsi per Roma. Vincenzo Alvaro sarebbe stato “complementare” con il talento naturale per gli investimenti, utilissimo nella Capitale per fare business, lecito o illecito. Quasi inevitabile che i due, cugini, si trovassero a Roma: «Io pare che non gliel’ho detto a mio cugino? Si là è una vita che conosce tutti questi», dice Carzo.

Il trucchetto dello straniero

Nel 2017 è la viva voce di Alvaro ad illustrare al cugino “quanto fosse conveniente fare ricorso allo strumento dell’intestazione fittizia”. Un reato per il quale “è difficile essere arrestati” e che successivamente si sarebbe con ogni probabilità prescritto”. Consigli e strategie, ecco una sorta di decalogo: “Bisogna trovare un polacco, un rumeno, uno zongaro a cui regalare 500/1000 euro e a cui intestare sia le quote sociali e le cose e le mura della società… Poi tutte queste cose che dicono e ti attaccano sono tutte minchiate… Io ho fatto un fallimento da un miliardo e mezzo e ho la bancarotta fraudolenta… Mi hanno dato tipo l’articolo 7 e poi mi hanno arrestato… e ancora devo fare l’appello… Vedi tu… è andato in prescrizione… le prescrizioni vanno al doppio delle cose”. Il gruppo sarebbe stato capace di infiltrarsi in numerose attività commerciali, tutte – attestano gli inquirenti – intestate a compiacenti prestanome, atteso che il nome di Alvaro non era “spendibile”. I settori? Quello del pesce, la panificazione, la pasticceria ma anche il ritiro delle pelli e degli olii esausti. Tutto per riciclare anche il denaro sporco. “Io non ho messo chiacchiere… ho messo soldi là sopra…” dice il capo – intercettato – in una conversazione su un affare in itinere.

Il “direttorio” a Cosoleto

Dagli affari romani alla “base” in Calabria, quest’aspetto viene approfondito nel filone di competenza della Dda di Reggio. La cosca di Sinopoli, chiarisce il gip, è una delle più potenti e pericolose attualmente esistenti nel territorio calabrese. Con i vertici ormai in età avanzata, a fornire nuova linfa sarebbero giovani leve allettate dalla prospettiva di “progressioni di carriera”. A Sinopoli sotto i riflettori degli inquirenti i fratelli Giuseppe, Antonino e Carmine Penna: anche Carmelo detto “Bin Laden” sarebbe considerato figura di rilievo. La locale di Cosoleto avrebbe invece un “direttorio” formato dai membri più anziani: i fratelli Nicola e Antonio Alvaro con Domenico Carzo. A loro, in età ormai avanzata, si sarebbe affiancato Francesco Alvaro, detto “Ciccio testazza”, figlio di Antonio.