Strage Borsellino, polemiche dopo le rivelazioni dell’ex pentito Avola a Michele Santoro

di Salvo Palazzolo

Fonte: Repubblica

Ieri sera, durante lo speciale mafia di Enrico Mentana andato in onda su “La 7”, Fiammetta Borsellino aveva subito espresso le sue riserve sul racconto dell’ex boss catanese Maurizio Avola, che nel libro intervista di Michele Santoro (“Nient’altro che la verità”) sostiene di aver partecipato alla strage di via d’Amelio, il 19 luglio 1992: “Di depistaggio ne abbiamo già subito uno”. Lapidarie le parole della figlia del giudice Paolo. Ora, arriva un comunicato della procura di Caltanissetta per smentire senza mezzi termini le parole di Avola, che nel 1994 aveva iniziato a collaborare con la giustizia, confessando 80 omicidi, fra cui quello del giornalista Pippo Fava, qualche anno dopo venne espulso dal programma di protezione perché sorpreso a fare rapine in banca con altri due pentiti. Di recente, l’ex killer del clan Santapaola è tornato a fare dichiarazioni, parlando delle stragi del 1992, del delitto del sostituto procuratore generale della Cassazione Scopelliti e del superlatitante Messina Denaro.

La procura di Caltanisetta conferma che l’anno scorso Avola, sentito in un interrogatorio, ha riferito della sua presenza in via D’Amelio, “a distanza di oltre 25 anni dall’inizio della collaborazione con l’autorità giudiziaria”. Il pool coordinato dal procuratore aggiunto Gabriele Paci ha subito iniziato l’indagine assieme alla Dia di Caltanissetta, alla ricerca di riscontri: “I conseguenti accertamenti – scrive oggi la procura nissena – finalizzati a vagliare l’attendibilità delle dichiarazioni rese, riguardanti una vicenda ancora oggi contrassegnata da misteri e zone grigie, non hanno trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità. Sono per contro emersi – precisano i pm – rilevanti elementi di segno opposto, che inducono a dubitare fortemente tanto della spontaneità quanto della veridicità del suo racconto”.

La procura cita un riscontro negativo, “fra tanti”: “L’accertata presenza di Avola a Catania, addirittura con un braccio ingessato, nella mattina precedente il giorno della strage, là dove, secondo il racconto dell’ex collaboratore, egli, giunto a Palermo nel pomeriggio di venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all’interno di un’abitazione sita nei pressi del garage di via Villasevaglios, pronto su ordine di Giuseppe Graviano a imbottire di esplosivo la Fiat 126”.

Aggiunge la procura: “Colpisce, peraltro, che Avola, anziché mantenere il doveroso riserbo su quanto rivelato a questo ufficio, abbia preferito far trapelare il suo asserito protagonismo nella strage di via D’Amelio, oltrechè quello di Messina Denaro, Graviano e altri, attraverso interviste e la pubblicazione di un libro. E lascia altresì perplessi – prosegue il comunicato – che egli abbia imposto autonomamente una sorta di discovery, compromettendo così l’esito delle future indagini, dopo che l’ufficio aveva provveduto a contestargli le numerose contraddizioni del suo racconto e gli elementi probatori che inducevano a dubitare della veridicità di tale sua ennesima progressione dichiarativa”.

Le “future indagini” sono quelle su Avola, i magistrati vogliono capire cosa c’è dietro le sue nuove dichiarazioni. Solo il desiderio di un ex pentito di rietrare nel programma di protezione o un disegno ancora tutto da scoprire per minare i processi già conclusi sulle stragi? Fra le dichiarazioni di Avola, ci sono pure parole pesati su Gaspare Spatuzza, l’ex fedelissimo dei Graviano che nel 2008 ha svelato la grande impostura del falso pentito Vincenzo Scarantino. Avola sostiene che Spatuzza non era uomo d’onore e che non poteva conoscere i segreti di Giuseppe Graviano, l’organizzatore della strage di via D’Amelio. Dichiarazioni smentite da tanti collaboratori di giustizia, che hanno raccontato come Spatuzza sia stato al vertice del clan di Brancaccio alla metà degli anni Novanta, dopo l’arresto dei Graviano.

La questione la pone Claudio Fava, presidente della commissione regionale antimafia, che è durissimo con Santoro: “Avola mente, un rapido e onesto lavoro giornalistico avrebbe permesso di rendersene conto”. Dice: “Chi manda Avola ad avvelenare i pozzi? Chi si vuole servire della sua sgangherata ricostruzione per fabbricare un altro depistaggio su via D’Amelio? Chi continua ad avere paura, trent’anni dopo, di chiunque si avvicini alla verità su quegli anni e su quei fatti?”.

Replica Michele Santoro: “Come si è detto ieri nello speciale mafia è stato Guido Ruotolo a convincere Maurizio Avola a riferire all’autorità giudiziaria quanto era a sua conoscenza sulla strage di Via D’Amelio. Noi abbiamo raccolto il suo racconto e spetta ai magistrati verificarne l’attendibilità o trarne le dovute conseguenze. Comunque sia, il fatto che alle dieci del mattino Avola sia stato fermato per un controllo di polizia a Catania nel giorno precedente alla strage non smentisce di certo che a ora di pranzo potesse trovarsi a Palermo in compagnia di Aldo Ercolano”. Ma sul caso è ormai polemica.

Interviene anche il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, che dice: “Avola è un inquinatore di pozzi e mi meraviglia che un giornalista come Santoro, con il suo libro, si sia prestato a dare fiato a un personaggio del genere. Già in passato, con le sue dichiarazioni, Avola ha delineato la strategia dei falsi pentiti di mafia: mischiare verità e bugie per minare la credibilità dei veri pentiti”. Polemica anche Maria Falcone dice: “Alla luce delle precisazioni fatte dalla procura di Caltanissetta, fermo restando l’assoluto rispetto per il diritto di cronaca, sarebbe stato utile ascoltare i magistrati che per anni hanno indagato sulle stragi del ’92 consentendo di smascherare il clamoroso depistaggio delle indagini sull’attentato di via D’Amelio. Sentire la ricostruzione degli inquirenti avrebbe consentito di avere un quadro dei fatti basato su accertamenti e riscontri e non solo su dichiarazioni di personaggi che ritrovano la memoria dopo decenni. Sulle stragi mafiose continuano a essere troppi i lati oscuri e, dopo anni di falsi pentiti ritenuti credibili e tentativi di inquinamenti, i cittadini hanno diritto a informazioni complete”.

Dice ancora Maria Falcone: “Rivedendo e rivivendo con dolore gli attacchi rivolti a mio fratello da Leoluca Orlando e Alfredo Aalasso – aggiunge – voglio solo ricordare che la storia ha stabilito dove la stava la ragione e dove il torto. A chi accusava Falcone di eccessiva vicinanza ai palazzi del potere ricordo solo che la legislazione antimafia, ancora attuale e fonte di ispirazione per tanti paesi, nasce proprio dal lavoro che mio fratello fece al ministero della giustizia negli ultimi periodi della sua vita. Mi riferisco alla creazione della procura antimafia, alla legge sui pentiti e alla nascita della dia. Lavoro per cui fu criticato, isolato e di cui quasi dovette giustificarsi”.