Torino, il tesoro sporco della ‘ndrangheta: il sistema di riciclaggio portava a conti svizzeri e monegaschi

Il maxisequestro del patrimonio del cosiddetto commercialista torinese della ‘ndrangheta Pasquale Bafunno (la Dia di Torino ha sequestrato beni per oltre 2 milioni e mezzo di euro) riporta inevitabilmente alla mente quanto accaduto nell’estate del 2015 quando le indagini della Dia avevano ben focalizzato come agiva la criminalità organizzata per ripulire il denaro sporco.

Riciclaggio, interposizione fittizia, bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, trasferimento fraudolento di valori ed emissione di documentazione per operazioni finanziarie inesistenti. Erano questi i reati di cui erano accusati le quattro persone arrestate dalla Dia di Torino  che sei anni e mezzo fa aveva dato esecuzione ad altrettante ordinanze di custodia cautelare nei confronti di un pregiudicato, due imprenditori e un noto professionista torinese.
La Direzione investigativa antimafia aveva sequestrato beni mobili, immobili, aziende e e quote societarie per un valore di circa 5 milioni di euro. Trenta in tutto le perquisizioni tra Piemonte, Lombardia, Liguria, Lazio e Calabria.

Il giro di riciclaggio di denaro della ‘ndrangheta torinese partiva dal nome del boss Francesco Ietto già ai domiciliari a San Colombano al Lambro, nel MIlanese, per associazione a delinquere di stampo mafioso. Era lui, secondo gli investigatori, a gestire, l’attività di riciclaggio dei soldi accumulati fin dagli anni ’80 dalla cosca Ietto-Cua-Pipicella di Natile di Careri, a Reggio Calabria.

Nel suo giro d’affari finivano imprenditori che accettavano, dietro compenso, di emettere fatture false o gonfiate intestate a società di comodo o prestanome insospettabili per “ripulire” il denaro sporco della cosca e immetterlo su circuito legale piemontese, in particolare nel settore dei trasporti.

L’intero sistema, secondo la Dia, era stato inventato proprio da Pasquale Bafunno, un noto commercialista torinese, già coinvolto in altre indagini per aver agevolato organizzazioni criminali di tipo mafioso. Pescando nel bacino dei suoi numerosi clienti, il ragioniere era riuscito a creare un sistema di documentazione contabile intersocietaria fatto di rapporti commerciali e movimentazione finanziaria fittizi: il sistema era talmente intricato che  era difficilissimo ricostruire i flussi di denaro che in parte usciva dall’Italia per essere sistemato sui conti svizzeri e monegaschi dello stesso Bafunno.

Altre sei persone erano state indagate a piede libero. Tra queste anche Domenico Luca Trimboli, 29 anni,  nipote del Domenico Trimboli, narcotrafficante, arrestato in Colombia dopo una lunga latitanza e considerato il più importante referente italiano dei cartelli colombiani della droga. Il giovane Trimboli è accusato di aver rivestito il ruolo di factotum di Ietto, costretto ai domiciliari. In particolare, secondo gli investigatori, sarebbe stato il trait d’union tra Ietto e Bafunno. Era lui l’amministratore di alcune società, di fatto gestite dal boss e create ad hoc per l’attività di riciclaggio.

Da quell’operazione era poi scaturito un processo nel corso del quale Bafunno è stato condannato in primo grado a 6 anni di carcere. Adesso, con l’ultimo maxisequestro, la Dia di Torino ha focalizzato ancora meglio l’attività di riciclaggio della ‘ndrangheta a Torino, meccanismi che potrebbero essere di grande interesse anche per i magistrati calabresi che combattono la ‘ndrangheta e i suoi colletti bianchi.