Tutto diventa possibile se si rompe il patto di fiducia tra noi e chi deve difenderci (di Roberto Saviano)

“… Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Franco Mastrogiovanni, Giuseppe Uva sono morti in una Italia ormai polarizzata, in cui chi manifesta e torna a casa sano e salvo è buono, e chi invece manifesta e prende manganellate è cattivo. Il cattivo che, in fondo, quelle manganellate le ha in qualche modo meritate, o quanto meno se le è andate a cercare…” (Roberto Saviano)

di Roberto Saviano

Fonte: Corriere della Sera

Vi chiedo scusa. Perdonatemi per aver scelto una foto che non vi farà piacere vedere. Ho scelto di mostrarvi i volti tumefatti di uomini morti per mano di persone appartenenti alle forze dell’ordine, uccisi da chi avrebbe dovuto proteggerli. Mi sono chiesto da dove tutto questo sia partito… dove possa condurre, la storia ce lo può insegnare. Soprattutto può insegnarci che le vie della paura non sono infinite, ma portano in una sola direzione, quella del silenzio. Abbassare la voce, abbassare la testa, imparare a tacere, a non denunciare. Mi sono chiesto dove sia accaduto che le forze dell’ordine abbiamo usato una violenza tale da lasciare chiunque si trovasse nei paraggi, ma anche a distanza di sicurezza, interdetto, senza parole, senza forze per reagire. Mi sono chiesto quando, esattamente, la violenza brutale e lo scontro tra forze dell’ordine e manifestanti abbiano iniziato a essere considerati non solo possibili, ma addirittura “normali”.

I vent’anni trascorsi dal G8 di Genova ci portano a fare delle considerazioni forse troppo dolorose perché possano essere accettate senza sentirsi traditi, ingabbiati; perché si possa guardare al presente e al futuro con serenità. I vent’anni di Genova ci portano a tracciare una linea che da Piazza Alimonda passa per la Diaz, per Bolzaneto, fino ad arrivare ai fermi e agli arresti che diventano omicidi, omicidi che indignano solo quando i familiari delle vittime sono disposti a mostrare i corpi martoriati (« Don’t clean up this blood» ). Solo quando sono disposti a sacrificare i propri ricordi privati, a barattarli con il sangue versato che, reso pubblico, diventa indelebile. Indelebile per tutti, per noi e per chi quei corpi li ha amati da vivi.

Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Franco Mastrogiovanni, Giuseppe Uva sono morti in una Italia ormai polarizzata, in cui chi manifesta e torna a casa sano e salvo è buono, e chi invece manifesta e prende manganellate è cattivo. Il cattivo che, in fondo, quelle manganellate le ha in qualche modo meritate, o quanto meno se le è andate a cercare. E così accade che il ragazzo che torni a casa dopo una sera passata con gli amici, la persona per cui vengano predisposti trattamenti sanitari obbligatori, chi fermato in strada dalle forze dell’ordine si alteri e opponga resistenza, sia possibile farli passare per i “cattivi” contro cui non si poteva che usare violenza; gli outcast di cui – si cerca di convincere l’opinione pubblica – la comunità tutto sommato non sentirà la mancanza.

Leggermente fuori fuoco è il nome di questa rubrica e, per restare fedele al mio scopo, la foto che ho scelto non è una zoomata, ma piuttosto un racconto sfocato, il racconto di una ferita che non si è rimarginata e che anzi, con gli anni, è divenuta una frattura insanabile: la rottura del patto di fiducia tra noi e chi è armato e addestrato per difendere e i cittadini, divisi per comodità in «buoni» e «cattivi», «violenti» e «pacifici». E così Stefano Cucchi è stato raccontato per anni come il tossico arrestato; Federico Aldrovandi come il ragazzo alticcio dalla forza sovrumana; Riccardo Magherini come il paranoico che è andato incontro alla morte accompagnato dai suoi demoni. Continuano a rimanere un mistero le fratture, le lacerazioni, le tumefazioni che con arresti cardiaci e cadute accidentali non sembrano avere nulla a che fare. Quando prassi del tutto anomale entrano nella vita delle persone, si inizia a pensare che farsi sbirro, sbirro nel senso deteriore del termine, sia normale.

È allora normale che questa volta siano i manifestanti ad aggredire il giornalista Saverio Tommasi mentre, a Firenze, riprende i cori di chi crede che il rispetto della Costituzione risieda nel non vaccinarsi, di chi si fa ronda e censore al grido di «libertà». E così diventa normale che un assessore giri armato e con il colpo in canna e uccida chi ritiene minacci la sua città. « Don’t clean up this blood », non pulite il sangue versato, che resti a futura memoria. « Don’t hate the media, become the media », non odiare l’informazione, diventa informazione: il motto di Indymedia, la rete nata per sostenere il movimento no-global. Dei miei vent’anni mi restano queste due esortazioni: a non dimenticare e a non delegare. Memoria e azione sono l’unica possibilità che abbiamo per essere cittadini consapevoli. Cittadini che non hanno paura.