Uomini e no (di Marco Travaglio)

UOMINI E NO
(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)

La cosa peggiore della morte di Gino Strada è il pensiero che non ci metterà più in crisi con le sue invettive intransigenti e spiazzanti. Ora tutti, i pro e gli anti, lo dipingono come un santino del buonismo: chi l’ha conosciuto sa che era un uomo buono, ma quanto di più lontano dal buonismo. Personaggio difficile, ruvido, spigoloso, capace di grandi slanci e altrettanto grandi sfuriate. Come tutte le persone di carattere, ne aveva uno pessimo. Parlando chiaro e rifiutando i compromessi si era fatto molti più nemici che amici. A destra, ma anche a sinistra. In un Paese che etichetta tutti con le bandierine dei partiti, pochi capivano che era anzitutto un chirurgo. Quando gli portavano un corpo squartato da una bomba, una scheggia, una mina, una pallottola vagante, non pensava a nazionalità, bandiera, fede politica o religiosa, né riusciva a derubricarlo a “effetto collaterale” di missioni o strategie superiori: lo curava e basta. Perciò era contro tutte le guerre e i traffici di armi: perché ne vedeva gli effetti sulla carne viva degli uomini. Non era un politico, anche se faceva politica da cittadino. Non avrebbe potuto fare il ministro degli Esteri, perché se ne fregava delle alleanze e delle convenienze. Ma sarebbe stato un ottimo ministro della Salute, perché avrebbe levato fino all’ultimo centesimo pubblico alla sanità privata. Gli insulti da ogni parte politica (gli ultimi quando Conte lo chiamò a dare una mano in Calabria) erano per lui il migliore complimento. Non era temuto tanto per quel che diceva, quanto per la credibilità con cui lo diceva: la gente vedeva in lui un uomo vero e lo stava a sentire. Perciò non apparteneva a nessuno: perché era di tutti.