Via Popilia, ritorno al passato: dalle Calabro-Lucane alla metro dei papponi

Più tempo passa e più la gente a Cosenza si sta rendendo conto del disastro che si abbatterà sulla città con questa metropolitana leggera che – come hanno capito anche i bambini – è funzionale solo alla bramosia di soldi e di potere dei papponi della politica.

Ma il quartiere che più danni subirà da questa nuova disgrazia sarà certamente quello di via Popilia, che – contrariamente a quanto affermano gli scagnozzi di Occhiuto – sta per tornare all’isolamento degli anni bui. L’idea di approfondire il tema ce l’ha data un lettore vulcanico, che si è procurato una bellissima fotografia degli anni Ottanta, di quando a via Popilia, sul famoso rilevato ferroviario, passavano le Ferrovie Calabro-Lucane e tutt’intorno c’erano solo sterpaglie, con l’appendice dei “ponticelli” (che la collegavano a via XXIV Maggio), che rappresentavano anche fisicamente la barriera tra via Popilia e il resto della città.

Oggi, con l’avvento della metropolitana, ritorneremo esattamente al passato con la differenza che prima passavano le Calabro-Lucane e adesso passerà la metro dei papponi.

LA STORIA

“… Via Popilia a Cosenza – a dispetto del nome – scriveva Oreste Parise – è un quartiere di edilizia popolare costruito negli anni ’70 dall’IACP (Istituto Autonomo Case Popolari), oggi ATERP. È sorto quasi contemporaneamente ai quartieri di San Vito e Serra Spiga, lontano sia dal vecchio che dal nuovo centro cittadino. La nuova città che si va formando a partire dagli anni trenta del secolo scorso, gravita attorno a Corso Mazzini, che assurge alla funzione di un agorà bislungo, anticipatore della città nastro che si estende verso nord lungo il corso del Crati.

Rispetto ai suoi omologhi San Vito e Serra Spiga, Via Popilia aggiungeva un estraniamento dalla realtà urbana, dalla quale era divisa dal rilevato ferroviario che impediva un agevole collegamento. Fin dalla sua origine è stato un corpo estraneo, un lazzaretto sociale dove sono confinate le classi marginali a basso reddito. Idealmente per le caratteristiche socio-economiche si collega al centro storico, svuotatosi lentamente dalla borghesia e diventato il luogo di residenza della malavita, il centro di spaccio della droga e della prostituzione (una volta!) in una condizione di degrado e di abbandono. Via Popilia rispondeva al concetto di junkspace – lo spazio-spazzatura – secondo la definizione dell’architetto olandese Rem Koolhaas: un insieme di enormi scatoloni in cemento armato dove sono stipate migliaia di persone, senza identità, senza una struttura sociale, un insieme di persone non legate da vincoli parentali né da una storia comune…”.

IL RECUPERO DI FACCIATA DI GIACOMO MANCINI

Giacomo Mancini disegna la nuova Cosenza all’alba degli anni Novanta. L’obiettivo è quello di riaffermare il ruolo centrale del capoluogo con la localizzazione di attività e servizi culturali e sociali di livello nazionale e capaci di fare la differenza.

Il concetto, purtroppo, è vecchio come il cucco: attraverso l’affannosa ricerca della vocazione del territorio si giustificano speculazioni edilizie più o meno consistenti.

Mancini approva la variante al piano regolatore Vittorini, entrato in vigore nel 1972, ventidue anni dopo, nel 1994. La variante era stata il pomo della discordia per intere generazioni di politici cosentini e aveva determinato la caduta di almeno quattro giunte negli anni Ottanta. All’inizio, il sindaco si impegna ad abbattere le barriere che isolano il centro storico e via Popilia dal resto della città: il fiume Crati e il rilevato ferroviario. L’occasione giusta arriva con i fondi del Programma di iniziativa comunitaria Urban nel periodo 1994-1999. La programmazione dei fondi strutturali stava muovendo i suoi primi passi e Urban nasceva per riqualificare le aree urbane degradate ed eliminare l’emarginazione sociale attraverso la cooperazione tra pubblico e privato. Sembrava fatto apposta per Cosenza, che entra nel novero delle 16 città italiane e delle 118 europee che si divisero 900 milioni di euro.

Il centro storico doveva avere nuove attività economiche, sociali e culturali; via Popilia doveva essere riqualificata con il tanto auspicato abbattimento del rilevato ferroviario e la realizzazione di un nuovo asse viario, il viale Parco.
Il nuovo viale Parco incappa in una serie quasi infinita di intoppi e problemi giudiziari. Costruito decisamente male, finisce in mezzo a una faida politica per il controllo della cabina di regia. Al posto dei binari, viene realizzato un grande asse viario pensato sia per le automobili che per i pedoni. Superati tutti i problemi, diventa subito evidente che sarà proprio quella la zona (ma anche quella complessiva di via Popilia) a diventare il teatro di una consistente speculazione edilizia tuttora in corso.

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Gli obiettivi di Giacomo Mancini, alla fine, non sono stati raggiunti. Il giudizio finale è semplice quanto spietato: solo operazioni di facciata. Destinate al successo nella fase iniziale ma al fallimento nel lungo periodo. Dopo l’entusiasmo iniziale, il centro storico è piombato di nuovo nel degrado a causa della mancanza di adeguate politiche di gestione dell’ordinario, che sarebbero state necessarie per rendere strutturale il cambiamento. Le botteghe chiusero, i luoghi di ritrovo si spostarono altrove e quella politica di recupero dell’esistente si arenò.

Viale Parco ha aumentato la permeabilità del tessuto urbano ma è stato cementificato in maniera eccessiva e imbarazzante. Oltre i palazzi, rimangono le condizioni di povertà e disagio sociale e l’auspicata normalizzazione non è avvenuta. La sensazione è che quel confine prima attestato lungo il rilevato ferroviario si sia spostato di qualche decina di metri, senza generare alcun sano effetto di rigenerazione urbana.

Non si può non sottolineare però come l’intera operazione fosse inficiata a monte dall’idea che gli spazi della residenza e quelli delle attività commerciali e produttive dovessero essere separati tra loro. Da un lato viale Parco e la residenza, dall’altro il centro storico e le attività commerciali e produttive. Anche se forse non era nelle intenzioni iniziali, questo dualismo ha alterato l’equilibrio complessivo impedendo di fatto un ripopolamento strutturale del centro storico e una rivitalizzazione dell’area di via Popilia.

In aggiunta, sono state forse sottovalutate quelle dinamiche di progressiva dispersione della residenza e del commercio che caratterizzavano in quegli anni l’area urbana. Il caso di viale Parco, in particolare, dimostra quanto sia labile il confine tra riqualificazione e valorizzazione immobiliare.

Bene, se adesso la situazione è questa, ben presto ritornerà quella del passato e la provocazione del nostro lettore vulcanico a trovare le differenze tra le Calabro-Lucane e la metro è drammaticamente reale. Purtroppo.