Vibo 2024. L’addio della Limardo mette a nudo la lotta di potere nel centrodestra ma Romeo non è la Todde

Quasi esattamente un mese fa lo tsunami Alessandra Todde affondava anche Maria Limardo. Lo spaventuni Sardegna aveva preso tutti i massimi “capezzoni” di Forza Italia a Vibo e in Calabria e anche quelli dei partiti alleati a partire da Fratelli d’Italia. Questa è l’unica spiegazione logica all’improvviso passo indietro di Maria Limardo dopo mesi e mesi di difesa strenua del suo operato e della sua ricandidatura.

Sembrava di essere davanti ad una novella Virginia Raggi a cui furono imputati tutti i mali di Roma che in realtà derivavano da decenni e decenni di malgoverno a partire dai cosiddetti favolosi anni di Rutelli e Veltroni. Anche a Vibo si è imputato di tutto e di più alla  sindacatura di Maria Limardo. Di certo lei, come la Raggi, ci ha messo del suo, ha fatto errori e orrori, ma quello che maggiormente le è stato addebitato è avere limitato lo strapotere di personaggi e personaggetti alla Vito Pitaro. La differenza fondamentale è che mentre la Raggi ha combattuto fino alla fine contro quel sistema di potere arrivando a ricandidarsi sfidando Pd e centrodestra artefici del  sistema di potere romano, Maria Limardo, invece, depone le armi e fa dichiarazione di fedeltà ai padri padroni del sistema di potere vibonese. Cade così anche la maschera di una presunta battaglia per il risanamento da lei intrapreso ed esce fuori la lotta di potere intestina tra le varie anime del centrodestra.

La Limardo vince le elezioni amministrative nel 2019 a mani basse contro un centrosinistra diviso e lacerato dopo le elezioni politiche del 2018 in cui esponenti di primo piano come De Nisi e Soriano fanno votare Wanda Ferro e non il candidato Pd Brunello Censore. Nel 2019 inizia la transumanza di pezzi da novanta dal Pd verso i lidi più rassicuranti del centrodestra. Vito Pitaro e la sua squadra cambiano schieramento e formano la seconda gamba del nuovo potere che si basa sull’alleanza di ferro con il dominus, il padre padrone del centrodestra vibonese, Giuseppe Mangialavori. 

L’inchiesta Rinascita Scott lacera questa camicia di forza in cui si era tentato di  imprigionare Vibo e il vibonese. Il sistema di potere vacilla, presenta crepe, perde pezzi. Qui potete leggere la storia di Vibo Valentia ai tempi di Rinascita Scott. 

All’epoca si prevedevano sviluppi clamorosi che poi non arrivarono. Si parlava di scioglimento del consiglio comunale da un momento all’altro. Il presidente del consiglio comunale dell’epoca si dimise invitando la Limardo a fare lo stesso. Non successe nulla, il sistema di potere arginó quelle falle, mise delle toppe provvisorie, ma gli squarci provocati allora e le indagini seguenti hanno fatto perdere il mito dell’invincibilità a Giuseppe Mangialavori, Vito Pitaro, e tutto il sistema di potere messo in piedi nei decenni. È vero che nessuno dei soggetti politici in questione, così come anche tanti altri nomi di primo piano da Francesco De Nisi, a Ottavio Bruni, a Brunello Censore, a Daffinà sono mai stati indagati. L’unico politico vibonese di primo piano indagato e rinviato a giudizio è stato Pietro Giamborino. La sentenza di primo grado ha accolto solo in parte le richiesta dei pm, prosciogliendolo dai reati più gravi di associazione mafiosa. Ma come dopo un terremoto forte, il sistema di potere vibonese ha subito lesioni, squarci e danni.
E qui subentra l’effetto Alessandra Todde. La batosta presa in Sardegna ha fatto venire la fifa al centrodestra in tutta Italia, dall’Abruzzo, alla Basilicata arrivando a Vibo Valentia. Se prima la supponenza  e la sicumera di Mangialavori e Comito avevano portato a puntare su Maria Limardo, lo tsunami sardo ha portato a sacrificare la ricandidatura della stessa. Può il sistema di potere di Roberto Occhiuto permettersi questa nuova sconfitta nell’ultimo capoluogo rimasto al centrodestra? Sarebbe un colpo terribile alla sua immagine e al suo potere.
La speranza era quella di poter ricucire con Vito Pitaro, con la Lega e con Francesco De Nisi per ricompattare il fronte di centrodestra su un nominativo che abbia l’apparenza del rinnovamento e della novità. Ma a un mese di distanza, dopo l’incoronazione a candidato sindaco del centrodestra del dirigente della Regione Roberto Cosentino, subito sbertucciato dalla stessa Limardo e dopo la patetica scesa in campo del candidato pitariano Muzzopappa, il solo ancora “recuperabile” – a parte lo sputtanatissimo Luciano – sembra De Nisi, che farebbe parte della stessa “cricca” di Luciano nascosta sotto il mantello di “Azione” ma quando c’è Calenda di mezzo tutto può accadere. Da destra a sinistra e da sinistra a destra, senza limiti…
In ogni caso, il sistema di potere non può crollare, i nominativi passano, il sistema resta e va avanti. Deve autorigenerarsi. D’altronde è questa la storia di Vibo. Se si esclude l’amministrazione Sammarco di centrosinistra nel 2005, è sempre stato un succedersi di sindaci di centrodestra eletti e subito dopo fatti fuori e sostituiti con altri nominativi per dare la parvenza del cambiamento. D’Agostino padre, Costa, D’Agostino figlio, di nuovo Costa, Maria Limardo. Il sistema si tutela, si autoprotegge e divora i suoi stessi padri e figli.
Un dato è certo, un sistema di potere che sembrava infrangibile è in crisi. L’effetto Todde arriverà anche a Vibo? Lo sapremo a giugno prossimo e dipenderà fondamentalmente in che tasso di cambiamento i cittadini percepiranno la candidatura di Enzo Romeo. La Todde ha vinto in Sardegna per la sua credibilità e per la speranza di nuovo e di cambiamento che ha suscitato nei sardi. Enzo Romeo non è la Todde, persona perbene, ma di certo non è una novità. Imposto dal Pd con la forza e accettato controvoglia dal M5S, ha perso il sostegno del primario Domenico Consoli, persona stimata tra i vibonesi, e preso a pesci in faccia dal segretario cittadino del Pd, anche se il dottore è scappato pure dal terzo polo. In ogni caso se Enzo Romeo saprà suscitare nei cittadini di Vibo Valentia lo stesso sentimento di novità della Todde, potrà vincere, altrimenti sarà l’ennesima occasione persa e di cui il Pd ne porterà le responsabilità.
La campagna elettorale è partita con l’arrivo della Elly Schlein, ma anche qui nulla di nuovo. Ancora una volta il Pd non riesce a mettere al centro della campagna elettorale i temi della lotta alla ‘ndrangheta, alla cattiva politica, alla massoneria deviata. Se non fa questo l’esito sarà nefasto. Sarà come aver sbagliato un rigore a porta vuota. E non sarebbe neanche la prima volta…