Bergamini, 20 anni di omertà. “Il calciatore suicidato” e le convinzioni (sbagliate) di Carlo Petrini

Con Carlo Petrini abbiamo appuntamento al Punto Snai di Lucca. E’ il 9 giugno del 2008. Ha ancora un fisico aitante ma porta un cappello per nascondere i segni della chemioterapia e si vede lontano un miglio che soffre agli occhi e che è tremendamente travagliato. Ci dice che si è meravigliato molto quando gli abbiamo chiesto di intervistarlo perché ricorda che quando venne a Cosenza, parlare di Bergamini era quasi tabù.

Io gli confesso di aver letto molto superficialmente il suo libro “Il calciatore suicidato” ma che comunque ho capito dove vuole andare a parare. Lui mi guarda con un po’ di diffidenza e mi dice che è impossibile che noi cosentini non sappiamo chi è stato ad ammazzare Denis. Diciamo che la prima sensazione è quella di avere davanti uno che ha già deciso da che parte stare: lui pensa che sia stata la malavita cosentina a far fuori Denis e ce lo dice con franchezza. Io gli rispondo che forse ha ragione ma che ancora non ho gli elementi per accodarmi alla sua tesi.

Gli chiedo quali sono, a suo avviso, gli elementi più forti che lo portano a questa conclusione e inizio a capire che la longa manus del depistaggio è arrivata fino a lui facendogli scrivere anche delle cose non solo fantasiose ma sinceramente grottesche. Tipo la storia della fantomatica Damatiana De Santis, falso nome di una presunta studentessa di Matematica a Cosenza che gli manda un plico alla Kaos edizioni. Damatiana rivela che a Bergamini venivano date scatole e scatole di cioccolatini quando il Cosenza andava a giocare al nord, ma all’interno veniva nascosta la droga da spacciare. Per questo è stato ucciso Donato? Perché ha scoperto il trucco e si è rifiutato di continuare?

Resto perplesso perché penso che quella maledetta macchina l’ha comprata appena quattro mesi prima di morire ma non posso dare per scontato che sia una balla, almeno in quel momento.

Carlo Petrini è convinto che domenica 12 novembre 1989, quando passa la notte all’Hotel Hilton di Milano in compagnia di un’amica, Giuliana T., dopo aver giocato la partita di Monza, abbia detto proprio a lei che quella sarebbe stata l’ultima volta, e che per questo sarebbe stato ucciso. L’ultima volta che avrebbe trasportato droga? O l’ultima che avrebbe partecipato a una partita truccata?

Sì, perché Carlo Petrini ci apostrofa pesantemente non solo sul fatto della malavita ma anche sull’altra ipotesi, collegata al Totonero e al coinvolgimento della malavita nelle partite truccate e nelle scommesse clandestine sul Cosenza. Di sicuro, ci fa notare che il boss Franco Pino ha confessato in un processo di aver truccato la partita Cosenza-Avellino 2-1 del campionato precedente alla morte di Denis. Ha tenuto in ostaggio sulle tribune del San Vito la moglie di un giocatore ospite per essere certo che si verificasse il risultato atteso. Ce ne erano state altre? Bergamini l’aveva scoperto? Altre balle spaziali, certo, ma non posso dare tutto per scontato e ho ancora paura che ‘sta maledetta malavita c’entri davvero nell’omicidio e sono costretto a ingoiare il rospo ed a farlo parlare.

E poi si mantiene per ultima la storia di Michele Padovano, compagno di camera di Denis, che al suo funerale disse al padre Domizio: “Se tuo figlio me lo avesse detto, io conoscevo un pezzo da novanta che avrebbe messo tutto a posto”. Ma cosa bisognava mettere a posto?

Me me vado con la testa in fiamme: avrei dovuto fargli io le domande e invece mi sono trovato davanti uno che mi ha quasi aggredito perché riteneva impossibile che non conoscessi la verità. Da quell’incontro non c’è stato più un giorno della mia vita nel quale non ho pensato a Denis Bergamini e a quello che c’è dietro il suo omicidio. Questa storia è come un vortice o una calamita come diceva Oliviero Beha ed è impossibile staccarsene. Dico a Petrini che ci rivedremo presto perché ci sono ancora troppe cose che non mi quadrano.

Vado a rileggermi il libro e stavolta seriamente: due, tre, quattro volte…

Luciano Conte, il marito poliziotto di Isabella Internò

Quando il sostituto procuratore Abbate interroga Isabella, alla domanda se si fosse legata a qualcuno dopo aver interrotto il rapporto con Donato, risponde così:

“… Non mi sono legata a nessun altro. Avevo però il conforto delle mie amiche, e anche del mio amico di famiglia a nome Conte Luciano, che è un poliziotto della digos e presta servizio a Palermo… con il Conte intercorrono rapporti telefonici…”.

Il particolare viene inserito nel libro “Il calciatore suicidato” a pagina 38, ma di Isabella e del poliziotto della digos, purtroppo, non si tornerà più a parlare nelle pagine scritte con grande ardore da Carlo Petrini. Me la lego al dito, gli ritelefono e gli dico che appena salirò per andare a Ferrara mi fermerò da lui per parlarne approfonditamente. Sì, perché nel frattempo abbiamo deciso che andremo a casa Bergamini subito dopo il ventennale della morte di Denis.

E infatti su Cosenza Sport tutto è iniziato il 16 novembre 2009, due giorni prima del ventennale della morte di Denis Bergamini. Abbiamo deciso di dedicare una fortunata copertina al nostro Campione (l’hanno “adottata” praticamente tutti gli organi di informazione, sia sul web che in tv) e abbiamo iniziato da quel giorno una lunga inchiesta.

IL PRIMO EDITORIALE – 16 NOVEMBRE 2009 – 

Vent’anni fa Cosenza venne messa a dura prova dall’omicidio di Denis Bergamini. Che fare davanti ad un evento così traumatico per migliaia e migliaia di tifoso o magari semplici sportivi?

Accettare l’assurda tesi del suicidio o cercare la verità?

Nessuno di noi cosentini avrebbe potuto smuovere le montagne dei poteri forti. Sì, perché non c’era dubbio che quell’omicidio fosse stato reso possibile da chi guida le sorti della nostra città.

La malavita, le forze dell’ordine, la magistratura, la società del Cosenza Calcio, gli stessi compagni di squadra di Bergamini, i giornalisti. Tutti, nessuno escluso, conoscevamo la genesi di quel “pasticciaccio”. Abbiamo deciso tutti di tacere.

“Sulla sua morte – scrive Carlo Petrini nella prefazione de “Il calciatore suicidato” – è stata fatta un’inchiesta superficiale, piena di buchi e di errori, che ha dovuto fare i conti con un muro di omertà costruito all’interno della squadra (e della città, aggiungeremmo noi, ndr). La magistratura prima ha dato credito alla tesi che si fosse trattato di un suicidio, poi ha cambiato idea e il suicidio è diventato omicidio colposo ma alla fine del processo l’imputato – un camionista di Rosarno – è stato assolto. Per la pubblica accusa il giocatore non era un suicida, per i giudici non era stato ucciso. Così si potrebbe concludere che Donato Bergamini è stato suicidato…”.

Il calcio ci ha messo subito una pietra sopra, il giornalismo altrettanto.

Carlo Petrini ha fatto “quello che nessuno dei giornalisti sportivi ha mai fatto: loro sono troppo impegnati a leccare il culo del potere pallonaro e dei suoi divi per occuparsi di un giocatore di serie B ammazzato come un cane…”.

Bergamini è stato ucciso dall’ambiente, purtroppo il nostro ambiente, in cui “era finito – accusa Petrini – e nel quale è rimasto cinque anni senza rendersene conto o senza avere la forza per scapparsene. Un errore o una debolezza che gli è stata fatale”.

Noi cosentini, pertanto, dovremmo riflettere a lungo sulla città nella quale abitiamo e lavoriamo. Una città che non è quasi per niente cambiata dal 1989, nonostante il decennio manciniano, servito soltanto a buttare un po’ di fumo negli occhi a tutti.

CARLO PETRINI CAMBIA IDEA

Qualche giorno dopo salgo a Ferrara e mi fermo a Lucca e pongo a Carlo Petrini la domanda che avrei dovuto fargli subito: ma non lo sapevi che Isabella si era maritata proprio con quel poliziotto lì? Mi giura e spergiura che non lo sapeva e stavolta ad incalzarlo sono io: vedi che la malavita non c’entra niente e che, semmai, è stato lo stato deviato a far fuori Denis perché aveva “osato” non sposarsi con quella lì! Petrini annuisce e mi promette che mi darà soddisfazione. Manterrà la sua parola.

Diretta Radio Sport, la storica trasmissione di Radio Libera Bisignano (prima che finisse nelle grinfie del mercenario della pubblicità e della politica corrotta), ha rotto gli indugi ed è scesa in campo con decisione per cercare la verità sul caso Bergamini. Eliseno Sposato, Piero Bria e Daniele Mari hanno dato una grande dimostrazione di coraggio.

Federico Bria ha ricordato la figura di Denis con commozione e incisività. Poi è toccato a me, che ho fatto il punto sulle ultime novità scaturite dalle inchieste giornalistiche. In particolare, ho anticipato che “Chi l’ha visto?” ha finalmente rintracciato Isabella Internò e il marito-poliziotto. «Il poliziotto – gli rivelai perché ero stato io ad indicare al giornalista Emilio Fuccillo la casa di Isabella – ha apostrofato in malo modo il giornalista di “Chi l’ha visto?”. Minacciandolo quasi in stile mafioso… A questo punto, o il poliziotto ha la coda di paglia oppure sa qualcosa e non collabora alla ricerca della verità».

Subito dopo è intervenuto Carlo Petrini.

I giornalisti di Rlb l’hanno informato dei fatti nuovi e l’ex calciatore ha affermato testualmente: «Seguire la pista che porta al marito di Isabella Internò non solo è giusto ma potrebbe portare a grosse sorprese». Un’affermazione che apriva realmente nuovi scenari per interpretare il “giallo” e che dimostrava come Carlo avesse cambiato idea. Petrini ha ribadito con forza che Bergamini è stato ucciso, ricordando tutte le incredibili incongruenze delle indagini e l’omertà dei dirigenti e dei calciatori del Cosenza dell’epoca.

E per me è stato un grande onore ricevere la denuncia dei coniugi diabolici e vedere che oltre a me tra i querelati c’era anche Carlo Petrini. Un modo come un altro per dirmi che avevo ragione da vendere. 

Carlo Petrini aveva concluso la sua intervista ai colleghi di Rlb auspicando la riapertura del caso e annunciando il suo arrivo in Calabria. Purtroppo la sua malattia non glielo ha consentito ma quando arriveremo alla verità, non c’è dubbio che un grande riconoscimento pubblico andrà fatto soprattutto a lui. Ciao Carlo, dovunque ti trovi adesso so che stai tifando per noi. 

Gabriele Carchidi