Cosenza città dell’apparenza

Cosenza fa rima con tante parole: appartenenza, chiarenza, vilienza, presenza, consulenza, eccellenza, dipendenza, eminenza, astinenza, provvidenza, convenienza, compiacenza, insistenza, confidenza, onnipotenza, imprudenza, incoscienza, discendenza, riverenza, impertinenza… ma soprattutto Cosenza fa rima con apparenza. E per consonanza anche con “paranza” che fa rima (baciata) con panza, e dove c’è panza si sa, c’è crianza. E se c’è crianza c’è sempre qualcuno che danza… anche chi sta in latitanza, come recita Daniele Silvestri nella sua celebre canzone. Basta farlo con eleganza.

Apparenza e paranza, le due facce (nascoste) della stessa città. Il dritto e il retro della medaglia appuntato sul petto dell’atteggio che si fa cultura: dietro ogni apparenza c’è sempre una paranza. L’apparenza sta alla paranza come la fodera al mantello, che ogni buon cosentino sa come indossare. Il giusto orpello con cui coprirsi – e sotto il quale nascondere ciò che non si vuol far vedere agli altri – dalla pioggia di eccezioni che superano, in un mutato clima sociale, il bel tempo delle regole.

Apparire per scomparire. L’apparenza è ciò che vela e nasconde la realtà, ma anche il punto di partenza per la ricerca della verità. Senza mai fidarsi troppo dell’apparenza che come si sa spesso inganna. Ma solo chi non sa guardare oltre. Chi si ferma all’apparenza. Chi pensa alla forma e non alla sostanza (che fa rima con paranza). Chi sa vendersi per quello che non è. Che è l’unico commercio che a Cosenza non conosce crisi. Ma l’apparenza non è solo un vezzo imposto dalla retorica sociale, o uno scontro dialettico tra “maschera e autenticità”, è anche e soprattutto un elemento insostituibile nelle relazioni sociali, specie nell’era dei social network dove tutto si basa sulla costruzione della propria immagine. E’ la frenesia contemporanea dell’esibirsi costantemente che rende l’apparenza ancora più effimera e meschina di quanto già non lo fosse in tutte le sue accezioni: etimologiche, e letterarie.

L’apparenza è il vestito di chi non sa indossare se stesso. L’abito che a Cosenza fa il monaco. La moneta con cui acquistare interi pacchetti di interazione sociale. Un pagherò accettato da tutti. Una grande lavatrice morale in grado di pulire l’intera coscienza sociale della città. L’apparenza come il tappeto sotto il quale nascondere la polvere del malaffare prodotta da chi ha tanto da occultare. Meglio apparire come loro che essere contro di loro. L’apparenza che fa rima con sopravvivenza. Potenza Cosenza carne morta in partenza, cantava Frankie hi-nrg mc. Apparire conviene più dell’essere. L’apparenza è l’alibi perfetto dell’assassino della realtà. La complice fidata del latitante. La bandiera del vigliacco che non si schiera. Il paravento di chi è abituato a reinventarsi ogni volta pur di sfuggire alle proprie responsabilità sociali. Che a Cosenza implicano disturbare la paranza che si cela dietro l’apparenza. E con la paranza è sempre meglio usare la buona creanza. Senza perciò mai prendere la distanza.

Apparire per non morire. Di sicuro non di noia. Apparenza che fa rima con indifferenza. E quando c’è l’indifferenza prevale sempre la prepotenza. Cosenza città dell’apparenza che fa rima con l’appartenenza. Di cui nessuno a Cosenza può far senza. Anche se hai una coscienza che nascondi con decenza. Nonostante la maldicenza di chi vuole sconvolgere la bella convinvenza… e affanculo a coerenza… a Cosenza, nessuno è disposto a pagare a penitenza. L’apparenza è come un segno del destino, ad ognuno il suo. Spetta a noi imparare a decifrare tutto questo, è vitale sape distinguere la realtà dalla finzione. Purtroppo decifrare il destino non è certo impresa facile, noi ci abbiamo provato convinti di non riuscire, perchè si sa: il segno si può decifrare, l’apparenza assolutamente no.