Il nome del sacerdote indagato rimane segreto come le vergogne della chiesa cosentina

La procura della Repubblica di Cosenza e la polizia di stato hanno fatto prevalere la linea del riserbo rispetto alla scottante vicenda del sacerdote indagato per molestie su un ragazzino di 12 anni regolarmente denunciato dai genitori.

La Gazzetta del Sud ci fa sapere che siamo davanti a un “pezzo grosso” della diocesi di Cosenza, un prete che probabilmente è già parroco di una parrocchia che conta e che addirittura, grazie all’intercessione di un alto prelato del Vaticano, era stato proposto per la nomina a vescovo di Cosenza.

Ma il nome no, quello no. Deve rimanere segreto, chiuso tra le stanze della chiesa corrotta, della procura sempre più porto delle nebbie e dei giornalisti che si prestano a questo gioco sporco. I “pezzi” dei giornali di regime di oggi sono rivoltanti, fanno schifo nella loro squallida carità pelosa per il ragazzino e i suoi genitori e nella loro vergognosa deferenza verso questo sacerdote pieno di santi in paradiso.

Oggi si prendono tutte le cautele del caso per il “pezzo grosso”, ieri un sacerdote onesto come Padre Fedele è stato buttato in pasto all’opinione pubblica ed è stato assolto con formula piena dopo dieci anni di sofferenze mentre un ladro conclamato come don Alfredo Luberto dice ancora messa nell’Episcopio di Como.

La storia dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello la conoscono tutti. Si tratta della casa di cura balzata agli onori della cronaca per i trattamenti disumani nei confronti degli ospiti, quasi tutti malati di mente. E per le ruberie del prete che lo dirigeva, don Alfredo Luberto, tali da creare un buco di proporzioni gigantesche.

Il ladro conclamato
Il ladro conclamato

A settembre 2005 il Monaco visita per la prima volta il Papa Giovanni ma nel frattempo a Cosenza è arrivato monsignor Salvatore Nunnari. L’atmosfera era a dir poco molto tesa, con i dipendenti fuori dalla casa di cura a srotolare striscioni del tipo “Luberto vattene”, “Luberto sei un ladro” e così via.

Padre Fedele chiede di entrare insieme a una troupe della Rai ma gli viene detto di contattare il ras ossia don Luberto, il quale esplode in un ruffianissimo “E come possiamo dire di no a Padre Fedele?”. Lo “spettacolo” che gli si presenterà davanti agli occhi non lo dimenticherà mai. Riceve una lavata di testa dal suo superiore (la Rai dal canto suo non manderà mai in onda quelle immagini) e subito dopo si precipita a Reggio da Nunnari.

Il neoarcivescovo lo tranquillizza, gli dice che non ci sono problemi ma in cuor suo Padre Fedele realizza che sta succedendo qualcosa ma non per questo si arrende. E così, pochi giorni dopo, scrive una lettera aperta agli ospiti del Papa Giovanni intitolata semplicemente “Il lager della vergogna”.

Il destino del Monaco è segnato. E si compie quando Nunnari, ovviamente avvertito da quel “rattuso” di don Luberto, incontra il Provinciale dei Cappuccini Rocco Timpano e gli preannuncia qualche mese prima l’arresto di Padre Fedele deciso a tavolino e reso possibile dal complotto tra chiesa, politici, magistratura e forze dell’ordine. Una gran porcata che nessuno ha ancora pagato.

E Nunnari risiede ancora a Cosenza ad ammorbarci la vista e, probabilmente, a coprire i “pezzi grossi” che non possono essere toccati. Anche se c’è una denuncia dei genitori di un ragazzino che urla a tutta una città di essere stato molestato.

E’ vero, ci sarebbe anche un arcivescovo “nuovo”, Francescantonio Nolè, insediatosi da poco. Ma figuratevi cosa può comandare uno che è arrivato solo da qualche mese in questa “jungla”. Si adegua alla bisogna e si schiera con i più forti.

Ma prima o poi qualche persona onesta questo maledetto nome lo tirerà fuori e allora saranno guai per tutti.