Molè-Mancuso, affari e sangue tra Gioia e Vibo

Affari e sangue, legami di convenienza e di parentela. Tra i Molè di Gioia Tauro e i Mancuso di Limbadi ci sono rapporti stretti, insieme ai Piromalli erano alleati: lo racconta la storia criminale e lo conferma l’inchiesta “Nuova Narcos Europea”. Rocco Molè è il rampollo della storica famiglia gioiese. A 26 anni è a tutti gli effetti un boss, ha rinunciato al percorso di affrancamento disegnato dal programma “Liberi si scegliere” e, secondo gli inquirenti, tiene in mano giri milionari tra coca ed estorsioni. «Afferma il controllo egemonico sul territorio, realizzato attraverso accordi ed alleanze con altre storiche organizzazioni ’ndranghetiste tra le quali i Pesce di Rosarno e i Mancuso di Limbadi», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. E tra le oltre 700 pagine del provvedimento c’è spazio per la ricostruzione del tentato omicidio di Domenico Signoretta, ritenuto l’armiere del boss Pantaleone Mancuso, alias “l’ingegnere”. Ebbene, secondo la Dda di Reggio Rocco Molè avrebbe fornito «sostegno incondizionato» ad Antonio Campisi («soggetto organico alla potente cosca Mancuso di Limbadi» e imparentato per linea materna con esponenti del clan) partecipando alle fasi di preparazione del tentato omicidio di Signoretta, «organizzato da Campisi quale vendetta per l’omicidio del padre Domenico», che era anche legato da un rapporto di comparato con Girolamo Molè cl. ’61, padre di Rocco. Clamoroso fu il delitto di giugno 2011 a Nicotera, altrettanto la presunta risposta fallita a maggio del 2019, entrambi a tutt’oggi impuniti.

Secondo il racconto del pentito di Gioia Tauro Lino Furfaro (ex affiliato al clan Molè). che ha diviso con Signoretta un appartamento a Roma, avrebbero messo a segno il raid contro Campisi proprio Signoretta e Giuseppe Mancuso, figlio di Pantaleone. A sua volta Antonio Campisi avrebbe reagito con l’agguato a Signoretta, miracolosamente scampato ad una “tempesta” di almeno 30 colpi di arma da fuoco.

Il sostegno fornito da Rocco Molé a Campisi “costituisce – annota la Procura antimafia reggina – un indice inequivoco della persistente autorevolezza che ha mantenuto nel tempo la cosca Molé nonostante gli arresti, le condanne, e gli omicidi subiti, al punto da essere coinvolta in un’azione omicidiaria da soggetti legati alla potente cosca Mancuso”. In concreto il giovane boss della Piana avrebbe effettuato un sopralluogo propedeutico al tentato omicidio.

Il 16 maggio 2019, secondo gli inquirenti, Molè partiva da Gioia insieme a Campisi alla volta di Nao di Ionadi… Sul posto Rocco fa considerazioni operative sull’attuazione del bersaglio… Il giorno del tentato omicidio, Molè avrebbe messo in scena un depistaggiom telefono spento a casa. E prima di uscire, messaggio alla fidanzata: “Dormo, vita!”. Invece si sarebbe recato alla fattoria del nonno, a Sovereto, secondo gli inquirenti, per incontrare altre persone coinvolte nel progetto.

Anche dopo il colpo fallito, Molè avrebbe aiutato il compare Campisi cercandogli un rifugio sicuro a Gioia Tauro. Scartata subito l’idea iniziale di Rosarno, la scelta sarebbe caduta su una casa in un vicolo di via Torino a Gioia Tauro. E a fine giugno 2019, dopo solo alcuni giorni, Campisi si sarebbe allontanato anche da Gioia. Fonte: Gazzetta del Sud