Scalea, storie ordinarie di sfruttamento sul lavoro (di Saverio Di Giorno)

di Saverio Di Giorno

Oramai lo sappiamo: le estati saranno sempre più calde, ci sarà sempre meno acqua nei nostri fiumi e i lavoratori saranno sempre più sfruttati. Da qualche tempo a questa parte le cicale hanno perso il primato e qualcun altro ripete più ossessivamente di loro sempre le solite litanie. “I giovani non hanno voglia di lavorare”, “Il lavoro c’è, basta darsi da fare” … Le chiacchiere stanno però a zero. Lo dimostra il fatto che, anche se ancora troppo poche, ogni tanto qualcuno decide di raccontare (e a volte anche denunciare) le proprie esperienze.

Il racconto proviene da Scalea, da una delle più note e delle più storiche strutture alberghiere: l’hotel Talao. Lei si chiama Chiara (nome di fantasia) e quello che racconta lo si può immaginare già prima che inizi a parlare. “Ho iniziato a lavorare con un contratto part-time poi solo il 15 agosto divenne full-time”, naturalmente part-time e full-time sono solo etichette dietro le quali ci sono un mucchio di ore lavorative effettive mai veramente conteggiate (e quindi mai veramente pagate). “Io mi dividevo tra varie mansioni, ma non è solo questo: è il fatto che è richiesta una disponibilità praticamente h 24, che sia per sostituzioni, emergenze, o anche favori personali” con tutto quel che ne consegue in termini di problemi assicurativi, o semplicemente di tranquillità personale. Quello che spinge Chiara a parlare però, non è forse nemmeno questo ma il fatto che tale disponibilità non è poi contraccambiata. Molto viene chiesto e molto poco viene dato.

“Non so dire precisamente quanti eravamo in questa situazione, ognuno era un caso a sé, ma di certo non ero l’unica anche perché poi qualcuno si lamentava tra i colleghi, sta di fatto che io, per aver richiesto il rispetto dei miei diritti, quest’anno non sono stata richiamata nonostante cercassero personale proprio nella mia mansione. Ovviamente le sorprese non erano finite. Alla fine della scorsa stagione, quando sono andata a presentare la domanda per la disoccupazione, mi sono ritrovata che risultavano contributi fino al 30 settembre, nonostante mi avessero presentato il rinnovo fino a metà ottobre”.

La cosa strana o ironica se si vuole, è che se ad inizio stagione ci si faceva una passeggiata sulla costa o si apriva la home di Facebook molte di queste strutture (compresa questa) avevano annunci di lavoro. Cercasi personale. Ma allora viene da chiedersi che personale si vuole?

Ci ha messo del tempo a parlare e le ragioni sono varie e ovvie: i rapporti che si creano, il bisogno di avere un’alternativa ma anche -e questa è la più dura- il fatto che questo non è uno dei casi più gravi: “Dove vai altrimenti? Non c’è molta scelta e soprattutto non cambia molto, anzi … Qui la cifra c’è”, specifica Chiara: “ottieni quanto pattuisci, magari non subito, ti viene dato a tranche o temporeggiando, ma in realtà il vero problema è che tale cifra non ripaga poi le ore effettive che ti trovi a lavorare o impegnate”. Il temporeggiare non le ha però impedito di raccogliere e conservare documenti, messaggi, carte che le sono servite non solo a farsi credere ma soprattutto a rileggerle, a riflettere, a capire che non è sempre tutto normale. E non bisogna dimenticarlo perché se ci si guarda intorno spesso si è indotti a crederlo e addirittura a ringraziare se la propria situazione è migliore di altre.

Che questo sia il meno peggio (e basta controllare cosa invece succede sui cantieri edili, nelle terre, o agli extracomunitari) dovrebbe indurre a riflettere su quanto si stia rilanciando al ribasso le aspettative di questo territorio.