Dalle prime ore di questa mattina, nelle province di Catanzaro, Vibo Valentia e Cosenza, i Carabinieri del Comando Tutela Ambientale e Sicurezza Energetica e del Comando per la Tutela Forestale e dei Parchi, stanno dando esecuzione a numerosi provvedimenti cautelari personali e reali (17 gli arresti, 4 in carcere e 13 ai domiciliari; un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; 6 le società sequestrate), nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catanzaro, su un rilevante inquinamento ambientale determinato dall’illecita gestione di molteplici impianti di depurazione al servizio dei comuni calabresi. L’operazione vede attualmente impegnati 150 carabinieri. Ulteriori dettagli dell’operazione saranno forniti nel corso della conferenza stampa che si terrà nella giornata odierna, alle ore 10.30 presso la Procura della Repubblica di Catanzaro.
Sono numerosi i reati contestati ai 21 indagati finiti al centro dell’inchiesta della Dda di Catanzaro e che, all’alba di oggi, ha portato all’ordinanza del gip del Tribunale di Catanzaro per 18 persine. Tra le accuse più gravi, quelle legate all’inquinamento e alla frode nelle pubbliche forniture, e associazione a delinquere. Quattro le persone finite in carcere ovvero i titolari delle società e il loro referente principale; in 13 ai domiciliari e un obbligo presentazione alla pg. Sono 5 i pubblici amministratori indagati.
Capomolla: “La maladepurazione è soprattutto la gestione illegale”
Gli inquirenti, nel corso delle indagini durate due anni tra il 2021 e il 2022, hanno ricostruito una serie di condotte illecite “legate al trattamento acque e dei rifiuti e – ha spiegato in conferenza stampa il procuratore di Catanzaro facente funzioni Vincenzo Capomolla – per questo è stato necessario l’intervento dei Carabinieri del nucleo ambientale e forestale”. Indagini possibili “grazie alle competenze specifiche perché si è andati ben oltre il semplice malfunzionamento di depuratori e impianti”. Al centro dell’inchiesta ci sarebbe una “società che gestiva i depuratori in tutte le province calabresi e si era accaparrata il servizio al massimo ribasso, con risparmi enormi in danno però all’ambiente, attraverso sversamenti illeciti e la mancata manutenzione e condotta fraudolenta nella gestione dell’appalto”. “L’operazione – ha detto Capomolla – dà il senso che la maladepurazione è soprattutto legata ad una gestione illegale”.
Si tratta di un’attività partita dagli accertamenti di Arpacal, poi approfonditi dai Carabinieri. Sono in tutto 34 i depuratori interessati nelle cinque province per 40 Comuni, ma la società gestiva anche altri impianti. “In un caso c’è stato il ribasso del 54% rispetto all’importo della gara e questo ha costretto a risparmiare sui costi e quindi sul controllo e la manutenzione, con il conseguente sversamento, anche in mare e illecito, dei fanghi cheinvece di esse conferiti negli ambienti ad hoc, attraverso la falsificazione dei documenti venivano smaltiti illecitamente”.
I NOMI DEGLI INDAGATI (https://www.iacchite.blog/maladepurazione-in-calabria-i-nomi-degli-indagati/)
L’entità dell’inquinamento ambientale “emerge dai rilievi di Legambiente effettuati alla foce del fiume Beltrame che poi sfocia nel golfo Squillace, con valori dei prelievi di forte inquinamento, più del doppio del previsto con un danno ambientale permanente notevolissimo”. L’indagine ha riguardato anche il reato di frode nelle pubbliche forniture e ciò può avvenire per un difetto di vigilanza della pubblica amministrazione.
“Ci sono avvisi di garanzia ad amministratori pubblici, comunque non colpiti da misura. In altre occasioni, però, è stato accertato il controllo ferreo da parte degli amministratori comunali”. Tra i casi simbolo citati dal procuratore c’è l’impianto di Caraffa di Catanzaro, esempio di inquinamento ambientale più irregolarità gestionali.