PIROMALLI E AMMINISTRATORI DI GIOIA TAURO, ANALISI DI UNA INEDITA FARSA MEDIATICA E DELLA MAGISTRATUROCRAZIA CHE L’HA CENSURATA PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA: NON E’ STUPIDAGGINE, E’ SOLO CHE GLI HANNO FATTO CREDERE CHE LE PAROLE NON SI PAGANO.
SE CLUB SERVICES E ASSOCIAZIONI RIMANGONO IN SILENZIO, I MAFIOSI E IL PALAZZO (“PRUDENTE”) HANNO VINTO
dalla pagina FB di Agostino Pantano
1) Ma quanto sono fessi i mafiosi (Piromalli) di Gioia Tauro.
Questo saremmo tentati di credere leggendo gli articoli di stampa sull’operazione del 23 settembre, esattamente un mese fa. Ma siccome i criminali a quei livelli non sono mai scemi – e quasi mai sono sprovveduti – ecco che dobbiamo spiegarci in altri modi la “superficialità” con cui, nell’anno del signore 2025, si delinque e lo si dice al telefono, e perché un ottuagenario dopo essere uscito da una lunga carcerazione si senta di essere ancora capo di un casato di ndrangheta – ricordato per aver preso “il caffè con Andreotti” negli anni 70 – e come può essere che lo stesso non capisca che non una ma una ventina di telecamere con microfono hanno reso la propria casa più spiata di quella del grande fratello.
Se non sono fessi, quindi, questi sono criminali obbligati – in un mondo ‘ndranghetistico che corre a nascondere i grandi capitali nei paradisi fiscali o a investirli nella droga – a chiedere il pizzo anche di 100 euro, imporre in una città cresciuta nel settore commerciale e industriale assunzioni (per sapere anche come funzionano le cose in quella fabbrica), pressare perfino il preside per risolvere il problema della mamma che vuole una classe anziché un’altra per i pargoli.
Obbligati e costretti, sì, i Piromalli: dallo Stato, dal carcere, e dall’ascesa di altre cosche cittadine, ad essere ancora più vomitevoli.
Hanno raschiato il fondo del barile, pur di far ricordare chi sono stati: non fessi, quindi, ma pretestuosamente impuniti al punto da pensare di godere di antiche omertà, pensando erroneamente che la paura della società civile, la complicità delle vittime, equivalesse anche ad uno sconto di Stato (come ai vecchi tempi).
2) Solo se si fa questa premessa si può capire fino in fondo la portata dell’inedito “duello” delle dichiarazioni stampa tra il Pm* che ha condotto le indagini e l’amministrazione comunale di Gioia Tauro, scontro andato in scena prima del rito della conferenza stampa di metà mattinata, poche ore dopo i fatidici arresti “alle prime luci del giorno”.
Mai nella storia della magistraturocrazia calabrese** si era vista una Procura costretta a contraddire così a caldo un potere non giudiziario che vuole guastargli la festa e proprio col circo mediatico convocato davanti; mai prima d’ora un Pm ha sentito di dover replicare a strettissimo giro dopo aver letto le parole (senza nomi e firme) diramate – dall’autoproclamato ufficio stampa del Comune di Gioia Tauro *** – nei minuti precedenti al primo “goal” mediatico (che come si sa da che mondo è mondo tocca fare a chi indaga): certamente si può immaginare la sorpresa che ha dovuto provare il magistrato, mentre doveva prepararsi a superare gli ostacoli comunicativi che le varie riforme hanno disseminato nelle conferenze stampa di questo tipo, leggendo l’analisi striminzita che arrivava dal municipio di Gioia Tauro, e che lui stesso nel corso dell’incontro con i giornalisti ha poi definito «anonimo e prudente, speriamo che ne facciano un altro»…
L’accusa di irresponsabilità che il rappresentante della Procura rivolge agli amministratori è precisa: anonimo in italiano significa mancante della firma, del nome di chi si intesta quelle parole che ipocritamente nel testo erano addebitate alla «amministrazione comunale di Gioia Tauro».
Come però istintivamente fessi non sono i Piromalli, allo stesso modo siamo portati a credere che tanto sciocchi non siano gli amministratori. E se i primi vanno fatti rientrare nella categoria dei costretti/obbligati ad agire in quel modo dal cattivo senso dell’onore, per i secondi va eventualmente indagata un’altra origine della propria farsesca reazione agli arresti.
3) Ebbene, tra gli indagati della mattinata vi è un cognato del sindaco – un affermato imprenditore che è contemporaneamente cugino del marito del primo cittadino – e alle 10.21, quando cioè il Comune fa mandare il comunicato stampa che al magistrato non è piaciuto, è difficile pensare che chi ha fatto scrivere quelle poche righe che sono sembrate “una difesa” degli indagati non sapesse che c’era anche quell’indagato eccellente e che, addirittura, per lui la Procura aveva chiesto l’arresto (negato dal gip).
Ente vittima della propria farsa sfottente perché dopo aver sentito la bordata del magistrato, l’ufficio stampa di cui sopra intorno alle 13.00 manda un secondo comunicato diciamo più articolato – che commenta il commento del Pm (non ridete, è successo sul serio) – aggiungendo una seconda postilla che a noi è sembrata nuovamente maligna: a parlare anche questa volta non sono persone fisiche ma «l’amministrazione comunale dispiaciuta che qualche testata giornalistica abbia strumentalizzato le dichiarazioni del procuratore… (si mette il cognome, ndr) che in comunicazione telefonica con il sindaco di Gioia Tauro ha autorizzato lo stesso a chiarire che il riferimento alla mollezza del tessuto sociale era riferito ad alcuni strati della società cittadina e mai all’amministrazione comunale».
4) Così come i Piromalli non sono fessi, gli amministratori di Gioia Tauro non sono sciocchi: tocca però capire perché questi ultimi –
“nella pezza peggio del buco” di due comunicati, uno “prudente” e l’altro propagandistico (sindaco e magistrato parlano al telefono, sembra un messaggio per riabilitare il primo cittadino – diano vita a questa bruttissima pagina nei rapporti mafia/media/Stato, su cui tutti possono farsi la propria opinione, circolando in rete il video con le bacchettate (pardon l’auspicio di una correzione di tiro) esplicitate dal giudice. Ebbene, sembra di essere davanti al classico caso di supponenza comunicativa, ovvero di chi è convinto che le parole – in questo mondo virtuale e di plastica che per certi versi è diventata l’informazione – possano sempre essere usate senza pagare dazio, perché i giornalisti non ti fanno domande (e se te le fanno gli fai perdere il lavoro) – e dunque parole in libertà anche quando la “prudenza” consiglierebbe l’assunzione di una posizione netta o il silenzio in attesa degli eventi.
E’ il sintomo di una patologia psichiatrica che assomiglia al delirio, quello per cui in politica – avendo negato il contradditorio e il controllo – puoi pensare di poter dire tutto quello che vuoi come in un perenne profilo social: la Procura, forse per la prima volta in Italia, ha spiegato alla politica che così non può essere, che la politica deve responsabilizzarsi e non banalizzare mai la comunicazione.
5) Potremmo finire qua la nostra analisi, sulla pretesa onnipotenza d’onore dei Piromalli e sulla pretesa onnipotenza mediatica degli amministratori di Gioia Tauro: dicendo ai primi di rassegnarsi che lo Stato è più forte, consigliando ai secondi di pensare al mondo come a qualcosa che sta fuori dai canali tv, siti, dei servi di un padrone che accarezza il cane anche quando si esprime contraendo i glutei… per segnare un territorio che è Comune.
Ma le parole (dette dal magistrato) e non dette (dal municipio) ci impongono – ne sentiamo il dovere come cittadini e non come giornalisti che si dedicano ad una analisi – un’ultima riflessione sulla mattinata storica vissuta grazie all’operazione Res-Tauro. E’ vero, nei paesi e nelle città piccole è più difficile essere contro, perché i legami parentali e/o amicali sono più stretti, a volte protettivi; si ha come l’impressione che un “no” detto possa creare un vicolo cieco – fatto di solitudine e violenza – e che tanto vale obbedire, in silenzio, non guastarsela.
Eppure, noi che crediamo che i Piromalli non siano tutti uguali – che come altre volte ha detto lo stesso magistrato bisogna aiutare chi di loro realmente vuole staccarsi dall’onta del crimine – non possiamo accodarci al silenzio (nemmeno alla prudenza) dei club services e delle associazioni culturali che in queste ore al fiume di parole hanno preferito l’eco dell’ignavia. Che c’entra: è sicuro che l’indagato è un cittadino senza colpa (penale) fino al terzo grado di giudizio, ma, diamine, la magistraturocrazia ci ha fatto vedere di nuovo quanto rabbia dobbiamo provare per gli accattoni, i vagabondi, che approfittano della nostra paura o del nostro quieto vivere.
A che serve fare convegni, mostre, presentare libri, postare sui social la poesia più bella quando poi non siamo liberi di condannare chi fa fare al nome della nostra città, al luogo che abbiamo scelto per amore, il giro del mondo perché associato a crimini mafiosi ****?
*Non riportiamo il nome del magistrato perché convinti che la Giustizia non sia mai il terreno di una personalizzazione.
** Per magistraturocrazia come sempre intendiamo il potere, che la debolezza della politica calabrese e della società fa assumere alla “indagine penale”, tale da arrivare a cambiare anche il corso della storia della regione e dei paesi, indipendentemente dall’esito finale nelle aule giudiziarie.
*** Visto il pasticcio politico fatto esentiamo i colleghi da queste precise colpe
**** Questo commento è stato realizzato senza il supporto dell’intelligenza artificiale e senza venire meno ad una impostazione culturale garantista di chi scrive, che non ha voluto giudicare reati che ancora devono essere provati ma il costume pubblico dei protagonisti siano essi con lo Stato, siano essi con l’antistato.









