CROTONE – La cosca di Papanice aveva esteso il proprio controllo sui locali del lungomare di Crotone soffocando la libera concorrenza attraverso metodi mafiosi. È quanto emerge dall’operazione “Cassandra”, condotta dalla Guardia di Finanza di Crotone e coordinata dalla Dda di Catanzaro, che ha fatto luce sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto imprenditoriale della città pitagorica.
Le mani della cosca sulla movida di Crotone: i nomi degli arrestati
Il Gip distrettuale, accogliendo la richiesta della Dda (che è del 20 maggio 2024), ha disposto tre misure cautelari eseguite mercoledì 10 dicembre 2025. La custodia cautelare in carcere è scattata per Gianluca Pennisi (50 anni) e Gaetano Russo (45 anni), ritenuti figure centrali delle attività illecite. Ai domiciliari con braccialetto elettronico è finito Nicola Siniscalchi (51 anni), per il quale è stato escluso il reato associativo pur riconoscendo la gravità delle condotte estorsive. Ad eseguire l’ordinanza sono stati 30 militari delle Fiamme gialle di Crotone, insieme a unità cinofile.
Risultano indagati a piede libero per intestazione fittizia di beni anche Albino Borrelli, 33 anni, amministratore della “Cambusa Srl” e Mariano Romano, titolare dell’attività “Uramare”. Nei loro confronti la Procura antimafia di Catanzaro non ha fatto alcuna richiesta di misura cautelare
I soci occulti che gestivano i locali sul lungomare
Le intercettazioni agli atti restituiscono un quadro impietoso della reale gerarchia: Borrelli, sulla carta amministratore unico, veniva trattato dai veri gestori — individuati in Pennisi, Russo e Siniscalchi — alla stregua di un dipendente subalterno, spesso rimproverato aspramente. Secondo le indagini, Pennisi e Siniscalchi figuravano come soci occulti di Uramare capaci di percepire dividendi in contanti e, successivamente, di farsi liquidare le proprie quote con una somma di 50.000 euro per uscire dall’affare.
L’operazione Cassandra e il controllo del lungomare
L’indagine, una naturale prosecuzione dell’inchiesta “Glicine”, ha svelato una strategia mirata all’acquisizione, diretta o indiretta, di attività nevralgiche nel settore della ristorazione e dell’intrattenimento sul lungomare cittadino. Il sistema, ricostruito dagli inquirenti, si basava sul meccanismo dell’intestazione fittizia di beni: per eludere le misure di prevenzione patrimoniale, i veri dominus delle attività si servivano di “teste di legno”, figure formali trattate come dipendenti subalterni e spesso oggetto di aspre minacce.
Intimidazioni ed estorsioni
Le indagini hanno documentato un clima di intimidazione violenta. Emblematico il caso di un imprenditore “colpevole” di aver aperto un locale vicino a quelli gestiti dalla cosca e di voler servire cocktail in concorrenza diretta. La risposta del clan si è concretizzata in incendi, danneggiamenti e minacce esplicite («Se fa cocktail lo faccio chiudere»), costringendo la vittima a limitare la propria offerta commerciale a “polpette e patatine” e a proporre una percentuale sugli utili pur di lavorare in sicurezza.
Sequestri di società ed immobili
Contestualmente agli arresti, le Fiamme Gialle hanno eseguito un imponente sequestro preventivo di beni del valore di circa un milione di euro. Tra questi la società “La Cambusa Srl”, che comprende note attività della movida crotonese: “Ego Cafè”, “Gin Lab” e lo stabilimento balneare “Lido Makai”.
La Guardia di finanza ha sequestrato anche un immobile nel centro di Crotone, autovetture, motoveicoli e rapporti finanziari. Fonte: Il Crotonese









