Acquaformosa, i buchi neri del “Sistema accoglienza”

I costi di gestione giornalieri per l’accoglienza di un profugo, come abbiamo già scritto, si aggirano sui 35 euro di media. Ma anche questa cifra può subire variazioni da regione a regione, secondo il costo della vita del posto e l’affitto delle strutture.

In alcuni casi può arrivare anche a 40 euro giornalieri. Un conto è affittare un appartamento a Cremona, un altro è affittarlo ad Acquaformosa. Questa cifra, versata dallo SPRAR all’ente gestore che a sua volta la gira al soggetto attuatore (associazione, cooperativa), serve principalmente per coprire i costi di gestione dell’accoglienza.

Di questi 35-40 euro, solo tre euro sono destinati al profugo per le spese giornaliere, il cosiddetto pocket money. Il profugo ha anche diritto ad una scheda telefonica internazionale. Il resto serve per pagare gli operatori, vitto, vestiario e servizi. profughi Non appena il profugo viene preso in carico dal progetto SPRAR va fornito di tutto ciò che gli necessita. Bisogna consegnargli gli effetti letterecci, il vestiario e i prodotti per l’igiene personale. Tutte voci specifiche che necessitano di una rendicontazione e che sono, evidentemente, ineludibili.

Ma anche l’alloggio dove risiede il profugo deve essere fornito di tutti gli strumenti utili per una vita dignitosa: tv, cucina, frigo, lavatrice. Anche queste sono voci di spese che tutti i soggetti attuatori includono nei costi del progetto, e che “esulano” dai 35 euro.

Come altre voci di spese quali: inserimento lavorativo, inserimento alloggiativo e i corsi. Anche per queste voci si predispone una spesa specifica annua. E ancora, nel finanziamento, sempre al di fuori dei 35 euro, è prevista una spesa sempre annua, per la manutenzione ordinaria delle strutture che ospitano i profughi.

E non finisce qui. Le associazioni ricevono anche denari per i cosiddetti tirocini formativi. Dunque, oltre ai 35 euro ci sono molti altri denari che vengono elargiti alle associazioni per far si che il percorso del profugo sia completo.riace-immigrati-638x425

Tutto sommato, se le cose funzionassero, le risorse, come vediamo, ci sono. Il problema è che queste voci di spesa vengono sempre “fatturate”, ma a cerar riscontro concreto della loro attuazione nei luoghi di accoglienza, è cosa ardua.

La prima voce di spesa nei progetti SPRAR, sono gli stipendi. Che chiamarli tali è un’offesa alla storia del movimento operaio. Anche questa “voce” varia da progetto a progetto. Non esiste uno standard, ognuno si regola come gli pare.

Ad Acquaformosa, ad esempio, lavorano nel progetto SPRAR una quarantina di persone che percepiscono in media 400 euro mensili. Ora, capisco il bisogno, ma chiamare questo stipendio, mi pare troppo. Capisco pure che è meglio questo che niente, ma costruire un  futuro a queste condizioni, è impossibile.

Anche ad Acquaformosa dove un grappino costa un euro. Costruire illusioni su questo è da vigliacchi. Enfatizzare questa nuova forma di schiavitù è immorale. Ovviamente fanno eccezione i vertici dell’associazione che hanno buste paghe belle corpose. Loro sì che possono programmare il futuro. E poco importa se questa “discriminazione economica”, e l’uso clientelare dei voucher, ha generato in paese una “guerra tra poveri”. Che si scannino tra di loro!

Tanto c’è sempre la fila fuori, di morti di fame, pronti a prendere il posto di qualcuno.

Dunque, parlare di posti di lavoro in questo caso mi pare improprio. Ma andiamo a vedere nel dettaglio come avvengono le truffe da parte dei “gestori” del progetto che non si accontentano del loro già lauto stipendio. Mi riferisco a quelle associazioni, cooperative ed altro che hanno paura di far visionari i bilanci. Perchè, evidentemente, hanno molto da nascondere.protesta

La prima truffa a danno del profugo è la più facile ed è quella sul pocket money. Che avviene in tanti modi.

Ad esempio nelle strutture dove vivono in collettività decine e decine di profughi, i tre euro giornalieri che spettano loro, vengono forniti sotto forma di ticket spendibili solo al “bar della struttura”, o in qualche posto “amico” convenzionato. Mentre la Legge dice che glieli devi dare in contanti, e possono spenderli dove gli pare.

Questi “bar” si riforniscono di brioche, snack, patatine e cazzate simili presso i discount, dove tutti sappiamo che una confezioni di 6 brioche costa meno di un euro, così come tutto il resto di cibo spazzatura che acquistano, per poi rivenderlo ai profughi un euro al pezzo. spendi un euro e ne incassi 6.

Facciamo due conti: se una struttura ospita 50 profughi, a 3 euro al giorno ciascuno fanno 150 euro. Un incasso sicuro per chi gestisce il “bar” che per “soddisfare” le esigenze degli ospiti, avrà speso poco più di 30 euro.

Questo succede nelle strutture collettive.

Per quelle che invece ospitano nuclei familiari, ragazze madri, minori, e singoli individui in appartamenti la truffa avviene così: lo SPRAR non versa mai di getto tutto il finanziamento all’ente, ma lo scagliona nell’arco dell’anno, saldando tutto a periodo (progetto) chiuso e rendicontazione presentata. Infatti in questi progetti spesso e volentieri, specie quando si inizia, bisogna anticipare il denaro, o trovare fornitori disposti ad essere pagati a distanza di un anno.

Così come capita sempre che gli operatori vengano pagati anche a distanza di 5/6 mesi. In questo quadro capita che arrivi un profugo con famiglia. Moglie e 4 figli. Generalmente per ottenere un permesso umanitario, oggi, bisogna attendere dai 6 agli 8 mesi. Ma c’è chi arriva anche ad attendere un anno.

Mettiamo che la famiglia è di etnia pashtun (Afghanistan, ne ho conosciute diverse) e quindi non parla che il suo “dialetto”. Comunicare con loro è difficilissimo, pochi sono gli interpreti in Italia. L’unica cosa che pensa questa famiglia, così come tutti gli altri, è prendere i documenti e raggiungere conoscenti e familiari sparsi in Europa.

Nessuno di loro pensa di restare ad Acquaformosa, Camigliatello, Riace, Cosenza, Aprigliano, Rogliano. Infatti da questi progetti sono passati migliaia di profughi e nessuno è rimasto. Più che integrazione per questi progetti si dovrebbe parlare di piattaforme logistiche di smistamento umano.

Invece c’è chi continua ad enfatizzare una “integrazione” che è solo, al contrario di quello che vogliono far apparire, di tipo economico. Integrazione di denari che finiscono nelle loro tasche. Questa è una verità che nessuno può negare.

In economie fragili come le nostre non trova spazio l’autoctono, figuriamoci il profugo. Che viene solo sfruttato per manovalanza alla bisogna.famiglia-profughi

Ma ritorniamo alla famiglia. Dopo aver trascorso quasi un anno, come “ospite del progetto”, ed ottenuti i documenti, di colpo diventa premura dell’associazione metterla su un treno, o incentivarla a fare questo, senza avergli mai spiegato che ha diritto a ricevere questi 3 euro giornalieri, moltiplicati per tutto il periodo di permanenza nel progetto.Un modo di fare che pare, tra le righe, voler dire: prima ce ne sbarazziamo meglio è. Situazione che ovviamente la famiglia asseconda. Perchè se ne vuole scappare da Riace, Acquaformosa, Cosenza. E non sta certo lì a “cavillare”, e poi perchè se nessuno glielo ha detto, vuol dire che non lo sa. E dunque non ha nulla da chiedere.

E se qualcuno lo sa, perché altri glielo hanno spiegato, e li chiede, si può sempre dire che i soldi non sono arrivati. Tanto, una volta sbarcati in Svezia, Germania, chi li rivede più. Né tantomeno gli stessi penseranno più a questo.

Così, mettendo una sigletta su un foglio, l’associazione può intascare in contanti la somma destinata alla famiglia. E voglio vedere chi contesta la firma di un profugo pashtun analfabeta.

Facciamo due conti anche qui: una famiglia di sei persone deve ricevere dal progetto 3 euro al giorno X 6 persone. Che fanno 18 euro giornalieri. Per un totale di 558 euro mensili che bisogna moltiplicare per i mesi di permanenza nel progetto, diciamo 12 mesi, fanno 6.696 euro.

Metti a segno questo giochetto su tre o quattro famiglie all’anno e si arriva alla signora cifra di 26.784 euro. Ecco perché nessun amministratore di progetto SPRAR ti farà mai vedere i fogli dei pocket money.

Perché guardando le “firme” ci si accorge subito dell’imbroglio. Una truffa schifosa fatta sulla pelle di uomini e donne che hanno già tanto patito di loro. Per verificare questo basta poco: mi sono messo in contatto con una di queste famiglie, curda in questo caso, ed ho chiesto se avesse mai ricevuto questi soldi e tutti i membri mi hanno risposto di no. Ho consigliato loro di nominare un avvocato che presto presenterà un esposto in procura.

Poi c’è la cresta sulla spesa: ci sono progetti che per il vitto si rivolgono a strutture commerciali che forniscono già preparato il pranzo e la cena ai profughi. Altre hanno figure come lo “spesino”, che si reca negli appartamenti, fa la lista della spesa e poi li rifornisce del necessario. Altri ancora che dotano i profughi di bonus da spendere presso un supermercato convenzionato con l’associazione.pasti buttati

In tutti e tre i casi si lucra. In genere una associazione che ospita una settantina di profughi, produce, per il solo vitto, un volume di fatture esagerato quando l’acquisto è gestito direttamente dall’associazione.

In un anno possono essere, l’ho visto con i miei occhi, anche mille fatture di supermercati vari. In questo mare magnum di fatture, chi vuoi che vada a verificare se tutto corrisponde alla realtà dei fatti?

Cioè a dire: tutto quello che si è acquistato è finito nelle case e nei frigoriferi dei profughi? Se potessimo vedere i bilanci ci accorgeremmo che i conti non tornano. Perché se in mezzo a mille fatture di supermercati ce ne infili una cinquantina della spesa di casa tua, chi vuoi che se ne accorga? Nessuno. E così sovente succede.

Quando invece si è convenzionati con un solo supermercato, u sguabbu avviene allo stesso modo del “bar” nei centri di accoglienza collettiva: si vendono prodotti scadenti a prezzi altissimi. Una Ben Cola (e similari) ad un profugo viene venduta ad un euro e poco più, mentre al discount costa 35 centesimi. Più facile diventa sgobbare, quando l’associazione stipula una convezione con un ristorante o simili. Ci si mette d’accordo dall’inizio sul costo del pranzo da fatturare e il costo reale, e la differenza si divide.

Poi c’è l’ultimo capitolo, quello della false fatture, che meriterebbe un libro, ma che sintetizzo con due esempi.

Ogni anno le associazioni chiedono denaro allo SPRAR da spendere in suppellettili, elettrodomestici e materiale vario per organizzare le case di residenza. Bene, non esiste un passaggio dove si dica: siccome ho acquistato 3 televisori l’anno scorso, e si sono rotti, quest’anno me ne servono altri tre per rimpiazzarli.

Giusto per spiegare il nuovo acquisto. Che dovrebbe essere accompagnato da un certificato di dismissione del bene, essendo di proprietà della stato. Ebbene, molti progetti, continuano a comprare televisori, lavatrici, frigoriferi, senza dare nessuna giustificazione.

Se risultano acquistati 3 televisori, da qualche parte devono pur essere, altrimenti è chiaro che sono false fatture.  Basterebbe confrontare gli acquisti fatturati, con il reale, e la truffa è subito sgamata.

Un altro metodo è quello dei lavori di manutenzione degli appartamenti che spesso cambiano. Ogni anno bisogna imbiancarli, aggiustare guasti, ed altro. E qui la fantasia vola. Ognuno può immaginare cosa succede in questi casi. Una fattura per queste cose si trova sempre. Anche per quel che riguarda i denari per l’inserimento lavorativo e alloggiativo, che come sappiamo non esiste, c’è la possibilità di fare la cresta.

Perché tutto ciò che non spendi deve essere rispedito indietro. E non ho conosciuto mai nessuno che abbia rispedito al mittente un “esubero” di denaro.

Insomma, potrei continuare ancora per molto, dettagliando tutte le criticità di questi progetti, che diventano oscuri proprio perché si rifiutano di rispondere a queste domande. Si rifiutano di essere trasparenti, trincerandosi dietro l’ideologia. Ma in realtà questo mondo, se scoperto, è peggiore di quel che appare. Ecco perché nessuno ti farà mai vedere un bilancio. E con questo ho detto tutto, o quasi.

GdD

3 – Fine