Anche Reggio a “Lobby & Logge”: Agostino Cordova e quell’inchiesta sulle logge massoniche

Dopo il libro “Il Sistema”, con le clamorose e scottanti riflessioni dell’ex magistrato Luca Palamara, “Faccia di tonno” (così ribattezzato da Cossiga in una mitica intervista) raddoppia in un secondo testo – sempre intervistato dal giornalista Alessandro Sallusti – dal nome “Lobby & Logge”.

Palamara, che all’inizio della sua carriera è stato in servizio alla procura di Reggio Calabria, nell’ottobre del 2020 è stato radiato dall’ordine giudiziario in seguito a un’indagine sul suo ruolo di mediatore all’interno del sistema delle correnti della magistratura. In questo nuovo libro-intervista racconta i misteri del “dark web” del Sistema, la ragnatela oscura di logge e lobby che da sempre avviluppa imprenditori, faccendieri, politici, alti funzionari statali, uomini delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, giornalisti e, naturalmente, magistrati. Logge e lobby che decidono se avviare o affossare indagini e processi e che, come scrive Sallusti, “usano la magistratura e l’informazione per regolare conti, consumare vendette, puntare su obiettivi altrimenti irraggiungibili, fare affari e stabilire nomine propedeutiche ad altre e ancora maggiori utilità. Per cambiare, di fatto, il corso naturale e democratico delle cose”.

Anche in questo libro è presente Reggio Calabria, in alcune sue parti e per alcuni suoi protagonisti. Uno di questi è Agostino Cordova, all’epoca dei fatti citati nel testo – gli inizi degli anni ’90 – Procuratore di Palmi. Una sua inchiesta fece scalpore: inviò infatti al Csm e alla Commissione parlamentare antimafia un rapporto con i nomi di oltre cento magistrati iscritti a logge massoniche e di altri ottanta sospettati di esserlo. “Chi lo ha conosciuto – a me è capitato di incontrarlo una sola volta negli anni 2000 a cena con l’allora procuratore di Verona Guido Papalia – lo descrive come una personalità diffidente e scontrosa” riferisce Palamara. “Ricordo la sua inchiesta sulle logge massoniche. Era il 1992, Cordova sguinzagliò forze di polizia in tutta Italia per perquisire sedi massoniche e abitazioni private di centinaia di affiliati o presunti tali. L’ipotesi di Cordova era che la ’ndrangheta si fosse infiltrata nella massoneria per agganciare la politica su tutto il territorio. Alla fine mise insieme ottocento faldoni di documenti e verbali. La procura di Roma avocò a sé l’inchiesta, e in breve la archiviò. L’inchiesta – prosegue l’ex magistrato – nasce dalle dichiarazioni di Pietro Marrapodi, notaio molto conosciuto a Reggio Calabria, che fu il primo a illustrare l’attività della massoneria segreta e i metodi di occultamento degli adepti. Marrapodi verrà poi trovato impiccato nella sua abitazione il 28 maggio 1996, con il caso archiviato come suicidio”.

“Per il resto – afferma Palamara tornando al caso Cordova – posso dirle che a Cordova sono state mosse numerose critiche per avere esagerato in quantità e forse peccato in qualità dell’indagine”. Ma di quella inchiesta si parla ancora oggi e proprio di recente, precisamente nel novembre del 2021, “la seconda sezione civile del tribunale di Reggio Calabria ha condannato Agostino Cordova, oggi ottantaquattrenne, a pagare le spese processuali in favore della loggia Grande Oriente d’Italia, che lui stesso aveva querelato spiega Palamara –. Parlando di recente con il quotidiano ‘Il Dubbio’, il gran maestro di quella loggia, Stefano Bisi, aveva definito l’inchiesta di Cordova ‘una caccia alle streghe finita con un buco nell’acqua’. L’ex magistrato non l’aveva presa bene: a distanza di trent’anni è ancora convinto della bontà del suo lavoro e della sua intuizione, e per questo aveva sporto denuncia. Ma la verità processuale, mi spiace per lui, dice tutt’altro”.