Calabria 2021, gli impresentabili. Censore è disperato e bussa anche alla porta di Palla Palla ma senza speranza

Con l’ufficializzazione delle date del 3 e 4 ottobre, la partita delle Regionali in Calabria entra nel vivo ed è già partita la caccia ad un posto in lista da parte degli impresentabili. Decine di massomafiosi ancora  non condannati vengono quindi “sdoganati” dal tragicomico caravanserraglio della Commissione Antimafia, all’interno del quale siede tra gli altri persino uno dei delfini di Robertino Occhiuto, il senatore Giuseppe Mangialavori, del quale ormai tutti conoscono vita e “miracoli” ma soprattutto il fatto che è stato eletto senatore grazie al clan Anello di Filadelfia. Una vergogna. Ci si chiede, dunque, quale possa essere la credibilità di una Commissione Antimafia fatta da mafiosi che “sdogana” e dà il via libera ad altri mafiosi. Una barzellettal 

Ma torniamo agli impresentabili a caccia di un posto in lista. Bruno Censore, già deputato dem, ex consigliere comunale e poi primo cittadino di Serra San Bruno, eletto addirittura due volte a Palazzo Campanella, non si rassegna in nessun modo all’idea di non essere in lista, e di non partecipare alla corsa per ottenere un seggio alla Cittadella regionale. Censore, tradotto in soldoni, sembra non accettare che la sua stagione politica volga inesorabilmente al tramonto. D’altronde nella vita se tutto ha un inizio deve avere necessariamente anche una fine. Semplice.

Censore è stato fatto fuori dal Pd già lo scorso anno, quando Callipo ha messo il veto alla sua candidatura e lui ha trasferito i suoi voti su Luigi Tassone per la coalizione di centrosinistra e su Vito Pitaro per la coalizione di centrodestra eleggendo così due soggetti con i quali restare a galla. Ma quest’anno vorrebbe candidarsi in prima persona e così, con un piede e mezzo ormai fuori dal Pd, avrebbe nelle ultime settimane cercato nuovi lidi in cui attraccare. In primis sulla sponda centrodestra, in orbita Udc e, in alternativa, ancora nel centrosinistra ma tra i renziani di Italia Viva, inconsistenti però in Calabria e, soprattutto, poco eccitati dall’idea di far salire a bordo l’ex parlamentare serrese. Insomma, due cocenti “negative”. E infine, l’ultima spiaggia. Censore è andato persino a bussare alla porta di Palla Palla, alias Mario Oliverio, nell’ipotesi di una sua scesa in campo o magari anche di un sostegno a De Magistris. E ha proposto, incredibile ma purtroppo vero, la candidatura del… figlio. A testimonianza che il “povero” Brunello è veramente alla disperazione, oseremmo dire alla canna del gas…

L’ex parlamentare vibonese ha chiesto e richiesto più volte nel corso di questi ultimi mesi ai dirigenti provinciali e regionali del Pd di poter essere in campo per il voto di autunno. Ma da casa democrat la risposta è stata sempre la stessa e unanime: ossia niente da fare per lui. I candidati del Pd nella zona di Vibo sono Raffaele Mammoliti, storico esponente della Cgil, e Luigi Tassone, attuale consigliere regionale e già sindaco di Serra San Bruno. E proprio su quest’ultimo, Censore ha fatto forti pressioni con i dirigenti del Pd affinché fosse candidato lui e non più il giovane Tassone che, tra l’altro, ha alle spalle solo pochi mesi di mandato elettorale e, peraltro, si è dimesso dalla carica di primo cittadino subito dopo essere stato eletto in consiglio regionale.

Fu proprio Bruno Censore, come accennato, a favorire la rapida scalata di Tassone, prima imponendone la candidatura alle Comunali del 2016 che gli assicurarono la fascia di primo cittadino di Serra San Bruno, poi proponendolo nella lista targata Pd alle Regionali del 2020 in surroga di se stesso. Fu, in quel caso, l’ex aspirante governatore Pippo Callipo a dettare il diktat dell’esclusione di Censore tra le liste a suo sostegno, un’imposizione che il Partito democratico adesso intende mantenere viva con un piglio, per diversi aspetti, anche abbastanza ipocrita, dal momento che tutti sanno che le liste del Pd saranno piene di soggetti impresentabili. Ma tant’è. Il tutto si riduce al derby di paese all’ombra della Certosa di Serra San Bruno, con Tassone che non vuole più scendere dal cavallo su cui proprio Censore l’ha fatto salire e con quest’ultimo che con grande difficoltà sta tentando di disarcionare il primo. Insomma, una sorta di diritto sulla persona di medioevale memoria che avrebbe portato, ma non solo per questo, a una inevitabile rottura tra i due. Ovviamente, detto ragionamento è stato anche respinto con forza dai dirigenti del Pd. E da qui il tentativo della disperazione di Censore di salire sull’ultimo carro disponibile, quello di Palla Palla. 

Brunello Censore, anche se non è formalmente indagato, è stato letteralmente sputtanato dall’ordinanza di Rinascita Scott nella quale appare più volte. Persino intercettato al telefono con Giancarlo Pittelli (https://www.iacchite.blog/calabria-e-massomafia-la-pazza-idea-di-censore-ciao-giancarlo-come-stai/). In primis, per la sua vicinanza al consigliere Vito Pitaro, altra figura “attenzionata” da Gratteri. Si tratta del consigliere regionale eletto nella lista “Santelli presidente” (praticamente l’estensione di quel gran pezzo di malacarne che risponde al nome di Brunello Censore, impresentabile per il Pd ma non certo per il centrodestra nel 2020…: noi abbiamo scritto che Vito Pitaro altri non era che Censore “travestito”) e principale alleato proprio di Giuseppe Mangialavori nella scalata a palazzo “Luigi Razza” dell’attuale sindaco Maria Limardo e nel cui Consiglio comunale sono maggioranza nella maggioranza. Anche lui non è indagato ma il suo nome (come quello di alcuni consiglieri comunali di Vibo) è comparso più volte nelle inchieste “Rinascita Scott” e “Rimpiazzo”. Hanno fatto scalpore, in particolare, le intercettazioni con Rosario Fiorillo, alias “Pulcino”, ritenuto dagli inquirenti al vertice del gruppo dei Piscopisani e descritto da alcuni collaboratori di giustizia come un killer sanguinario. Intrecci tra politica e ‘ndrangheta che promettono altri clamorosi sviluppi nei prossimi mesi ma che, nel frattempo, sono andati tragicomicamente a caratterizzare la “due giorni” vibonese della Commissione Antimafia a ottobre del 2020 sulla quale ci sarebbe davvero da scrivere un romanzo “tragicomico”, visti i soggetti protagonisti. Ma – come abbiamo accennato – finanche lì’Udc, ricettacolo di mafiosi, massoni deviati e corrotti di ogni specie, ha chiuso le porte a Censore. 

Un paragrafo dell’ordinanza di Rinascita Scott viene intitolato “La campagna elettorale di Censore Bruno: il ruolo di Pitaro Vito”. Censore è il deputato uscente del Partito democratico che, malgrado la messe di voti acquisita, candidato nel collegio uninominale di Vibo Valentia, sarà battuto da Wanda Ferro (Fratelli d’Italia) e Dalila Nesci (M5S). Vito Pitaro, invece, è un dirigente del Partito democratico, grande elettore di Censore, che alle successive amministrative stringerà un patto con il senatore Mangialavori sostenendo il centrodestra e la candidatura di Maria Limardo come sindaco di Vibo Valentia. Poi, come abbiamo visto, verrà ripagato dalla candidatura nella lista della governatrice della Regione Jole Santelli e con l’elezione, nei ranghi del centrodestra, in consiglio regionale. Ovviamente siamo molto curiosi di verificare se sarà ricandidato da Robertino e dai suoi compari mafiosi…

E non è finita qui. Il prode Censore è finito dentro l’ordinanza di Rinascita Scott anche per i suoi rapporti burrascosi con l’ex consigliere regionale del Pd Pietro Giamborino, prima arrestato e adesso sotto processo. Le loro strade s’erano divise alle primarie del 2015 per la designazione del candidato a sindaco di Vibo del centrosinistra, le stesse che l’ex consigliere regionale finito al centro dell’inchiesta di Dda di Catanzaro e carabinieri, denunciò essersi svolte in un clima da “Gomorra” in ragione di certi comportamenti paramafiosi tenuti da altre figure che avrebbero penalizzato la libera formazione del consenso.

Allora Censore, all’apice della sua influenza e forte del patto d’acciaio con Vito Pitaro, che tre anni dopo sarebbe diventato – come abbiamo visto – consigliere regionale col centrodestra, sostenne il notaio Antonio Lo Schiavo, che vinse le primarie e poi sfidò e perse contro Elio Costa, sostenuto da una coalizione civica chiaramente appoggiata dal centrodestra.

Un presunto “tradimento” verso Pietro Giamborino che il deputato dem avrebbe provato a giustificare, attribuendo la responsabilità ai suoi compagni di partito: Michele Mirabello, allora consigliere regionale del Pd, e Enzo Insardà, segretario provinciale. Questa ricostruzione sarebbe stata riportata anche ad altri suoi interlocutori, tra cui Nicola Adamo, il principe indiscusso dei corrotti e delle tangenti in Calabria, alias Capu i Liuni, marito della terribile deputata Madame Fifì, al secolo Enza Bruno Bossio, che alla vigilia delle tornata 2018 provò inutilmente a risanare i rapporti tra gli stessi Giamborino e Censore. Uno è finito in galera, l’altro no ma ormai lo schifano tutti…