Calabria 2021. Sara Scarpulla e il coraggio di affrontare la paura

Quella della signora Sara Scarpulla è una storia di dolore e coraggio. Il lacerante dolore di aver perso un figlio e il coraggio di non arrendersi ai suoi assassini. Era l’aprile del 2018 quando, al termine di una giornata di lavoro in “campagna”, una bomba posizionata all’interno dell’auto dove viaggiava Matteo Vinci in compagnia del papà Francesco esplose, facendo scempio del corpo di Matteo e ferendo gravemente il padre.

Siamo a Limbadi (nel Vibonese) regno della potentissima ‘ndrina dei Mancuso, considerata dagli organi investigativi come la cosca più influente della provincia di Vibo Valentia. L’ascesa dei Mancuso inizia nel 1977 dopo la morte del boss Antonio Zoccali di Vibo Valentia: supportarono la ‘ndrina dei Fiarè di San Gregorio d’Ippona durante la faida contro la famiglia Pardea sempre di Vibo Valentia. Dopo la faida ottengono la supremazia della zona grazie ai loro collegamenti con le famiglie dei Piromalli e dei Pesce. Da allora quella della famiglia Mancuso è una continua ascesa nella classifica criminale calabrese. La potenza criminale espressa li pone da subito ai livelli alti del gotha della ‘ndrangheta. Conquistano altri territori e regnano anche su Nicotera. I Mancuso “operano nel florido settore del traffico di cocaina, dove sono riusciti ad acquisire un notevole peso, assicurandosi un canale privilegiato con i cartelli colombiani, con i narcotrafficanti spagnoli, spingendosi sino in territorio australiano”. All’oggi il clan Mancuso è considerato come il clan finanziariamente più potente d’Europa.

Per la signora Sara, accorsa subito sul luogo della tragedia, non ci sono dubbi: ad uccidere Matteo e a ferire gravemente suo marito sono stati i Mancuso. Matteo era un bravo ragazzo, una persona perbene. Aveva 42 anni quando la sua vita venne spezzata dall’infamia e dalla barbarie. Matteo era un ragazzo educato alla legalità e con uno spiccato senso civico. E per questo aveva deciso di candidarsi alle elezioni comunali di Limbadi. Matteo era laureato, e aveva prestato servizio nell’esercito con il grado di caporal maggiore. Da un po’ di tempo si dedicava, insieme a papà Francesco, al fondo agricolo. Un piccolo pezzo di terra che coltivavano assieme da cui ricavavano quel poco di economia che gli permetteva di andare avanti. Matteo era l’unico figlio di Sara e Francesco, genitori amorevoli e cittadini esemplari. Ed è proprio per quel piccolo pezzo di terra che la sana esistenza di Matteo e quella della sua famiglia, incrocia la bestiale e brutale esistenza dei Mancuso.  Volevano impossessarsi del nostro terreno, racconta la signora Sara, ma noi ci siamo sempre opposti. Un rifiuto che è suonato come una grave offesa all’immagine dei Mancuso. Nessuno può dire di no ai Mancuso.

“La colpa di Matteo Vinci – ricorda il procuratore di Catanzaro Gratteri – è stata quella di non essersi piegato al giogo della ‘ndrangheta e di aver difeso quel pezzo di terreno che aveva permesso alla sua famiglia di mantenerlo agli studi per offrirgli un futuro migliore. Ha reagito alla violenza e alla sopraffazione mafiosa, Matteo. Si è ribellato alla ‘ndrangheta di serie A”.

Erano anni che avevamo problemi con loro, racconta la signora Sara, non volevano arrendersi al nostro no: “abbiamo subito 25 anni di soprusi. Noi recintavamo e ci distruggevano i paletti, spingevano il bestiame verso le nostre terre, sversavano i liquami nelle nostre proprietà. Abbiamo protestato anche in Comune, siamo andati lì ogni giorno per oltre un anno senza che facessero niente. Alla fine ci siamo seduti sul divano, determinati a restare fin quando non ci avrebbero risposto. E il sindaco ha minacciato di chiamare i carabinieri. Ci dissero che avrebbero messo a posto tutto. Ma ci hanno illuso. Nell’ottobre 2017 mio marito ha subito un agguato. Gli hanno spaccato la mandibola in due. Loro ci volevano ammazzare. Ancora prima hanno dato fuoco a una baracca che avevamo qui in giardino. E guarda caso è stata proprio la Mancuso la prima a venire a chiedere cosa fosse successo”.

Non si è mai arresa alla violenza mafiosa la signora Sara. Non ha mai smesso di pronunciare il nome degli assassini di Matteo. Non ha mai pensato neanche per un solo istante di mollare alla paura. Raccolta nel suo dignitoso dolore non ha mai smesso di lottare a viso aperto contro la bestiale violenza degli arroganti mafiosi del paese, nonostante i tanti, troppi, silenzi omertosi dei suoi paesani, ma soprattutto delle istituzioni. Che non sempre sono state dalla parte della signora Sara. Fino all’arrivo di Gratteri che ha assicurato alla giustizia mandanti ed esecutori di questa tragica vicenda. Dopo tanto patire una piccola luce in fondo al tunnel.

Tutti dovremmo prendere esempio da questa donna esile nel fisico, ma granitica e coraggiosa mamma nello spirito. Quella di Sara e Francesco è la battaglia di tutti gli onesti calabresi. È la battaglia di chi dice basta alla prepotenza mafiosa. Di chi si ribella al malaffare che impedisce alla nostra terra un giusto e sano sviluppo. Sara, suo malgrado, è il simbolo, pagato a caro prezzo, di chi non accetta l’imposizione mafiosa. Un gesto che necessita di tanta forza fisica e morale. Sostenere Sara e Francesco significa sostenere noi stessi e le nostre famiglie. Significa salvaguardare il futuro dei nostri figli.

La sua candidatura a sostegno di De Magistris presidente della Calabria, è la giusta continuazione di una sacrosanta guerra di liberazione dal giogo mafioso. È la candidata giusta, una persona seria di cui ci si può fidare: non tradirà mai la sua terra e i suoi paesani. Paesani che oggi hanno la possibilità di scegliere una donna forte e coraggiosa da “posizionare” nelle istituzioni. Una scelta, quella di Sara, che va sostenuta con tutte le nostre forze. Ed è quello che noi, come giornale faremo. Superando le nostre paure, le stesse paure che Sara ha dovuto affrontare da sola, tirando fuori quel coraggio che alberga, magari sepolto sotto le nostre tante paure, in ognuno di noi. Perchè in fondo  “il coraggio non è assenza di paura, ma la totale presenza della paura, con il coraggio di affrontarla”. E Sara con il suo coraggio ci ha indicato la via per la liberazione. Spetta ora a tutti noi seguirla.