Calabria corrotta. Corap, le facili previsioni e l’arroganza dei colonnelli della massomafia

Calabria corrotta: le facili previsioni e l’arroganza dei colonnelli della massomafia

Fallita l’ennesima manovra di Oliverio e dei suoi sodali (di destra e di sinistra, ormai lo sanno tutti che giocano con la stessa squadra, anche i bambini…) per seppellire le nefandezze perpetrate per anni ai danni delle ex ASI: la Corte Costituzionale, come era prevedibile, ha  sancito l’incostituzionalità della Legge regionale 47/2019 grazie alla quale il Corap (ovvero le ex ASI della Calabria accorpate nel mega ente a regia regionale) era stato mandato in liquidazione coatta amministrativa.

Dopo che dal 2013 al 2015 -regnante Scopelliti- e dal 2015 al 2020 -regnante Oliverio- sulle ex ASI si era abbattuta la furia devastatrice della parte peggiore (e marcia) della Regione Calabria, si voleva procedere al “colpo di spugna” giusto in tempo per coprire le malefatte dei commissari regionali e svendere i beni residui delle ASI secondo logiche aziendali, estranee di per sé al regime giuridico dei Consorzi Industriali.

Hanno scelto il modo peggiore per tentare di cancellare gli ultimi sei anni di malgoverno delle ASI portato avanti a testa bassa dopo essere rimasti sordi agli inviti alla cautela rispetto all’attuazione di una legge, quella sull’accorpamento, il cui esito era ipotizzabile sin dalla sua approvazione. Inutili le proposte di modifiche della norma e la dimostrazione per tabula delle vere intenzioni celate da quegli articoli raffazzonati: niente da fare. Oliverio doveva rispondere agli interessi che spingevano in direzione del default dei Consorzi Industriali in perfetta continuità con il suo predecessore.  

Quella cassata dalla Corte Costituzionale era una norma voluta dal liquidatore Fernando Caldiero da Cetraro, noto fallimentarista e faccendiere al soldo della malapolitica, che da commissario straordinario del Corap (il sesto!) si era fatto disinvoltamente nominare da Palla Palla anche commissario liquidatore: le solite vomitevoli commistioni di cui siamo capaci in Calabria. Fatto sta che Caldiero, marciando spedito verso l’affossamento del Corap, si era auto-procacciato ed auto-confezionato un lauto compenso che, male che gli andasse, non sarebbe stato inferiore al mezzo milione di euro.

La sentenza della Corte Costituzionale, insomma, ha posto la parola fine ad una delle più eclatanti porcherie pensate e maturate nel verminaio della Regione Calabria sin dal lontano 2013.

Intrighi, scelleratezze e intrallazzi di ogni genere sono per anni ed anni passati sotto gli occhi di tutti, nonostante che il quasi quotidiano eco mediatico le facesse emergere, senza che una sola voce si levasse per contrastarne il dilagare: né quella degli esponenti del governo della Calabria (che ne hanno tratto miserabili tornaconto); né quella dei dirigenti del Dipartimento regionale “vigilante” (fra i quali, sarebbe stato facile individuare alcune sentinelle, ma anche qualche colonnello, del potere massomafioso che alligna in Cittadella); né quella della magistratura (evidentemente in altre faccende affaccendata); né quella dei tanti ex amministratori delle ASI -privi di vergogna- che hanno evitato di chiedere una sola spiegazione all’ex Governatore Palla Palla che, blaterando sulle “vecchie gestioni” -delle quali, peraltro, aveva fatto parte per un decennio nella qualità di Presidente della Provincia e “socio” dell’ASI cosentina- lasciava che si spolpasse senza pietà il malcapitato Ente, essendone complice e partecipe.

Tant’è che, a parte quell’unica voce che in seno al Consiglio regionale si era levata a denunciare le “strane e oscure commistioni”, la “dichiarazione di liquidazione” del Corap era stata persino oggetto di contestazione da parte del Revisore unico dell’Ente, organo di controllo della Regione Calabria, di nomina presidenziale, per la mancanza di relazioni e bilanci asseverati e sorretti da documenti fondati su dati contabili e gestionali certi ed affidabili.

Ma con la sentenza della Corte Costituzionale si potrebbe sperare ben altro: che finalmente si faccia luce sui veri burattinai della losca operazione portata avanti a danno delle ASI ben prima dell’approvazione della Legge regionale 24/2013, quando cominciò la campagna denigratoria tesa a rappresentarle come “carrozzoni” nonostante le tante evidenze che provano l’esatto contrario: persino nell’allegato al  decreto a firma Oliverio che sancisce il definitivo accorpamento delle ASI e la nascita del Corap vi è la prova delle menzogne diffuse a piene mani da un gruppo di veri e propri delinquenti.

In quell’allegato, infatti, vengono riportati i dati di bilancio dei cinque Consorzi Industriali calabresi che, se la matematica non è un’opinione, descrivono andamenti positivi, frutto di una costante opera di risanamento dopo decenni di incuria e di occupazione delle ASI da parte di pletore di “nominati” regionali. Corposi comitati direttivi composti da ben sette componenti, triadi di revisori dei conti chiamati intuitu personae, presidenti e consulenti nominati a piene mani non facevano delle ex ASI un “caso” fintanto che -imprevisti della vita!- qualcuno, anzi, in verità, più di qualcuno, cominciò a porre un freno a quella continua ed insensata emorragia di risorse.

Fu da quel momento che le ASI divennero le “neglette” perché, è noto, il “modello” più diffuso di politico calabrese e l’ancora più diffuso “modello” di burocrate regionale si pone sempre e comunque la stessa domanda: “E per me che c’è?”. E se la risposta è: “Niente!” …. Allora cominciano i guai.

Essi! Perché è questo il destino che ci vogliono imporre: soggiacere al “sistema”. Lo stesso sistema che fa della Calabria, bella e ricca e generosa, l’ultima regione d’Italia e la quart’ultima d’Europa.

Scrive la Corte Costituzionale: “(…) è egualmente irrilevante che i consorzi di sviluppo industriale siano enti strumentali della Regione e sottoposti alla vigilanza di questa (art. 2, comma 2, della legge reg. Calabria n. 38 del 2001), poiché il doveroso controllo regionale, peraltro concentrato «sui piani economici e finanziari dei consorzi» (art. 36, comma 4, della legge n. 317 del 1991), costituisce semmai una ragione di più forte affidamento dei creditori circa la finale solvibilità dell’ente vigilato.”.

Benissimo, il passo della sentenza ha un portato incredibile anche rispetto alle ultime vicende che hanno interessato le ex ASI. Per almeno due motivi.

La Regione, ente vigilante limitatamente ai piani economici e finanziari dei consorzi industriali, non poteva esercitare un controllo asfissiante, una vera propria occupazione manu militari, così come ha fatto dall’avvento del governatore Scopelliti e fino ad oggi. E se lo ha fatto ne dovrà rendere conto, innanzitutto agli enti soci e nondimeno ai cento dipendenti.

La Regione, autrice per mano del faccendiere fallimentarista Caldiero (che pare sia portato in palmo di mano da tanti magistrati e che con uno di loro ha persino scritto un libro -sic!-) dovrà anche  rispondere dinnanzi alla Corte dei Conti delle conseguenze derivanti dalla sentenza della Consulta. Motivo per il quale ci sentiamo di consigliare al Presidente Spirlì di cambiare rotta in maniera repentina.

Il Presidente Spirlì dia retta all’ANAC che, nella nota n. 1552/2020, ha scritto:

Dall’esame di alcuni documenti (quali atti istruttori, audizioni audio registrate e verbalizzate nelle sedute dedicate delle Commissioni consiliari Affari istituzionali, Bilancio ed il Fenomeno della ‘ndrangheta, della Corruzione e dell’Illegalità diffusa, relazioni, note del Dott. Caldiero, commissario liquidatore, prive di un adeguato supporto documentale probante, richiamo ad un quadro normativo non applicabile ad un ente pubblico economico), emergerebbe un quadro non chiaro tale da far insinuare il dubbio che il fallimento sia stato costruito in maniera artificiosa per avvantaggiare qualche impresa legata all’ente da rapporti economici ancora in corso. A tale vicenda potrebbe, infatti, ricollegarsi quella relativa alla gestione dell’impianto di depurazione di Gioia Tauro, di proprietà del C.o.R.A.P., dato in concessione alla società IAM S.p.A.”.

Presidente, ha letto bene? I.A.M. S.p.A. ovvero clan Piromalli, mica una società qualsiasi!

E ci sarebbe da aggiungere: il fallimento è stato costruito in maniera artificiosa anche sulla base di un bilancio confezionato a bella posta -peraltro mai approvato, ma sempre sbandierato- per ingigantire la massa debitoria del Corap. Anche di questo qualcuno dovrà pure rispondere.

Da ultimo, senza entrare nel merito delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto Scopelliti, noi crediamo sinceramente che egli non avrebbe autorizzato, né tantomeno stimolato, le sconcezze di cui Oliverio si è fatto protagonista con un cinismo tale da renderlo il più cieco, incolto e disumano dei governatori della Calabria. E Scopelliti non è certo uno stinco di santo. Povera Calabria nostra!