Caso Cirò, due anni di indagini nessuna conclusione: la Manzini incapace o furbetta?

Cosa ci sia di così complicato nell’indagine della procura di Cosenza, seguita dalla dottoressa Manzini, sulla truffa dei rimborsi per i finti viaggi di rappresentanza mai effettuati del sindaco Occhiuto, meglio conosciuto come il caso Cirò, francamente non si capisce.

A due anni dall’apertura del fascicolo la Manzini non è ancora giunta a nessuna conclusione. È questo il tempo che è passato da quando il sindaco Occhiuto ha denunciato il suo ex delfino Giuseppe Cirò, in procura, accusandolo di essersi appropriato illegalmente di ingenti somme di denaro dell’economato, dopo aver falsificato le richieste dei rimborsi per viaggi istituzionali mai effettuati dal sindaco. Una prima stima della stessa procura parla di quasi 80.000 euro truffati ai cittadini, cifra destinata a crescere. Due anni di indagini nel corso dei quali la posizione del sindaco cambia radicalmente: da denunciante diventa indagato. Con tanto di iscrizione al registro degli indagati.

Due anni di indagini, decine e decine di persone sentite in interrogatori fiume come quelli resi dallo stesso Cirò che ha confessato tutto, eppure niente si muove. Manco fosse una indagine sulle origini della ‘ndrangheta. Certo, le doti investigative della Manzini lasciano un po’ a desiderare, ma questa carenza non dovrebbe inficiare una inchiesta come quella su Cirò, dove la soluzione del caso è evidente. La ricerca dei riscontri e le doverose verifiche, necessarie per capire la colpevolezza del sindaco, di Cirò e dell’economo, in questo caso, è veramente da manuale. Basta, come conoscenza giuridica, aver giocato da bambini al piccolo investigatore, per risolvere un caso come questo.

Facciamo un esempio: Cirò presenta all’economato la richiesta di rimborso di un viaggio di 3 giorni a Roma (8 venerdì – 9 sabato – 10 domenica aprile 2016) del sindaco Occhiuto perché invitato a relazionare sulla qualunque presso la sede dell’ANCI. Costo del viaggio istituzionale 3.000 euro tra aereo, albergo e ristorante.

Bene, seguendo le istruzioni del gioco del piccolo investigatore, per arrivare alla soluzione del caso bisogna seguire l’unica pista possibile: le richieste presentate da Cirò all’economo.

La prima cosa da fare è quella di accertarsi se la richiesta di rimborso spese presentata da Cirò è correlata dalle necessarie pezze giustificative (fatture) previste dalla legge. In questo caso: biglietto dell’areo, fattura dell’hotel e dei ristoranti, per un totale di 3.000 euro. Perché, se così non fosse, e la richiesta risultasse liquidata lo stesso, nonostante l’assenza delle fatture, non ci vuole Sherlock Holmes per capire che siamo di fronte ad un acclarato peculato. L’economo deve attenersi alle disposizioni, e non può liquidare niente a nessuno se non nei modi previsti dalle regole e dalla legge. Quindi c’è un primo dato incontrovertibile: Cirò e l’economo sono complici in quello che di fatto è un consumato furto di denaro dalle casse pubbliche. E dovrebbero già solo per questo stare in galera. Se la richiesta invece è fornita di tali documenti, basta verificare la veridicità degli stessi con una telefonata alla compagnia aerea e all’hotel, non prima però di aver verificato l’esistenza o meno del convegno all’Anci, nei giorni indicati nella richiesta di rimborso, e la reale partecipazione del sindaco a tale evento, e se tutto corrisponde a quanto documentato, pratica chiusa. E il rimborso è legittimo. Una volta capito questo, e non ci vuole molto, si passa all’analisi della “richiesta di rimborso” per capire se la banda è composta solo da Cirò e dall’economo, oppure ci sono altri complici.

L’iscrizione nel registro degli indagati di Occhiuto è la conferma del suo chiaro coinvolgimento nella truffa. È chiaro che tale accusa arriva dalle dichiarazioni confessorie di Cirò, che ha sempre sostenuto di prelevare le somme dall’economato per conto del sindaco Occhiuto. E qui si pone anche un problema di credibilità del “testimone”. Un problema che la Manzini ha già superato, dando credito alle parole di Cirò che hanno portato all’incriminazione di Occhiuto. E già questo basterebbe per portarlo a processo.

Ma per essere sicuri della sua colpevolezza, ritorniamo all’analisi del documento “richiesta di rimborso”. Per legge i viaggi del sindaco e le missioni non necessitano di autorizzazione, come accade per i dipendenti e i consiglieri. Il sindaco a propria firma può autorizzarsi i viaggi e le missioni, e può demandare la compilazione del modellino anche al capogabinetto che lo presenta all’economo a propria firma. Basta prendere questa richiesta e confrontare le firme, per capire se la firma del sindaco è stata falsificata oppure no. Perché, anche se hai in mente una truffa, come in questo caso, la firma del sindaco (o del capogabinetto) sulla richiesta la devi mettere per forza. I soldi, in qualche maniera, vanno rendicontati nel consuntivo, e il documento presentato per il rimborso deve avere, anche se non lo controllerà mai nessuno, una parvenza di autenticità. Se la firma risulta contraffatta, allora Cirò è un bugiardo, se invece risulta vera, vuol dire che Occhiuto era al corrente di tutto.

Ora, quello che ci domandiamo è: cosa c’è di complicato in tutto questo? Roba che si fa in qualche giorno di lavoro, specie con gli strumenti di una procura. Eppure siamo a due anni e la Manzini ancora interroga persone. Cosa c’è che non ha capito non è dato sapere. Chi la conosce bene dice che è proprio incapace perciò non arriva mai a niente, mentre i più maliziosi pensano che è una furbetta che la sta tirando alle lunghe per salvare capre e cavoli. Ovvero: se stessa e Occhiuto. Così quando l’inchiesta sarà definitivamente finita nel dimenticatoio, in attesa dell’archiviazione, nessuno potrò rinfacciarle, in una eventuale ispezione, di non aver mai mosso accuse ad Occhiuto. E tutti gli amici degli amici vissero felici e contenti. Altrimenti come spiegare due anni di indagini per una caso che lo stesso Cirò gli ha da tempo risolto?