Catanzaro e Cosenza? Ci vorrebbe il modello Giuditta!

I vecchi tromboni del giornalismo (?!?) calabrese in queste ore stanno gridando al miracolo per il risultato elettorale di Catanzaro, ancora di più di quanto non avessero già fatto sei mesi fa per quello di Cosenza. Anzi, per non farsi mancare nulla accomunano le due realtà anzi i due… colori. E – udite udite!- blaterano senza vergogna, più o meno come quella che gli manca quando continuano a succhiare indecentemente soldi dalle mammelle pubbliche, di “vittoria del popolo”. Mentono sapendo di mentire perché tutti ma proprio tutti hanno capito che la vittoria del loro caro amico Robertino Occhiuto alla Regione ha determinato a cascata il passaggio a Nicola Adamo delle città di Cosenza e Catanzaro. Altro che popolo e rivoluzione, qui siamo in pieno consociativismo, quello nel quale sguazzano i giornalisti di regime che si riempiono la bocca delle loro cazzate alle quali non crede più nessuno.

Peggio di loro soltanto i politici di professione, che dal canto loro agitano addirittura il “modello Cosenza” per spiegare ai loro clienti e parenti – tutti papponi della peggiore specie, privilegiati con determine e delibere ad hoc – come hanno “conquistato” le due città. Eppure non serve molto per capire che il centrodestra ha fatto davvero di tutto per perdere sia a Cosenza sia a Catanzaro (così come il centrosinistra aveva fatto di tutto per regalare la vittoria ad Occhiuto alla Regione) e nella città capoluogo l’immagine desolante dell’inciucio è rappresentata dall’appoggio di impresentabili faccendieri matricolati come Mimmo Tallini e Claudio Parente al “pupazzetto” designato a fare il sindaco, Nicola Fiorita l’ecclesiastico. Ce ne sarebbe abbastanza per incazzarsi davvero ma forse è il caso di buttarla in barzelletta perché i soggetti in questione questo meritano.

E allora quando sentiamo parlare di “modello Cosenza” o “modello Catanzaro”, il pensiero – specialmente per chi ancora si “vende” come progressista per continuare a mangiare e diventare sempre più “grosso” – corre al “modello Giuditta” di benigniana memoria. Eh sì, perché ai progressisti di mestiere gli puoi toccare tutto ma non… Roberto Benigni e il toscanaccio, quando ancora aveva qualcosa da dire e faceva bene il suo mestiere, a questa gente qui la prendeva per il culo alla grandissima.

Il “modello Giuditta” è la sintesi esilarante del “Piccolo Diavolo”, uno dei capolavori di Benigni e uno dei suoi pochi film in grazia di Dio. Il canovaccio lo ricordiamo un po’ tutti ma è opportuno ricordarlo per sommi capi in modo tale da rinfrescare la memoria. Specie a quelli che fanno i finti progressisti strizzando l’occhio alla Chiesa marcia e corrotta, che era all’epoca uno dei bersagli preferiti di Benigni. 

Walter Matthau è Padre Maurizio, un prete americano specializzato in esorcismi. Nel liberare una giovane donna dal demonio, questi salta fuori dal corpo della sventurata nella forma di un simpatico diavoletto che si fa chiamare Giuditta (Roberto Benigni appunto). Scappato dall’aldilà per scoprire come funziona il mondo dei vivi e, curioso come un bambino, Giuditta dichiara immediatamente di voler restare sulla terra perché tutto gli sembra molto divertente e nuovo. Dispettoso, stravagante e burlone, Giuditta diventerà ben presto l’ossessione di Padre Maurizio, la cui vita era già abbastanza complicata a causa di una relazione sentimentale con Patrizia (Stefania Sandrelli). Diretto ed interpretato da Roberto Benigni, affiancato da un partner d’eccezione come Walter Matthau, Il Piccolo Diavolo è una commedia esilarante, ricca di trovate geniali e battute che ancora oggi vengono ricordate come, ad esempio, quando Maurizio viene rimpiazzato dal diavoletto per la celebrazione della Messa che verrà trasformata da questi in una simpatica sfilata di moda: celeberrima la frase di Benigni-Giuditta “Modello numero 4: Giuditta! Eh, ora io non voglio influenzare nessuno. Guardatelo in silenzio e riflettete. Avete aspettato un’ora ma ora finalmente lo potete vedere: è un modello scintillante, intimo, malinconico e – com’era? – e sincero e… ma è un modello soprattutto adatto per saltare questa Giuditta!”… 

Ricapitolando e per una migliore comprensione: una stravagante ed esilarante sfilata di moda dentro una chiesa, presentava il “modello Giuditta”. Un camicione bianco informe e privo di eleganza. Esattamente come i “modelli” che ci propinano in queste ore i giornalisti al soldo del regime e i politici di professione, meglio se analfabeti… Per chi avesse nostalgia, ecco la glorificazione del “modello Giuditta”. Prendiamola a ridere, che è meglio. (Modello Giuditta Il Piccolo Diavolo).