Catanzaro, il naufragio di “Lande desolate”: smascherato il disegno politico di Luberto

“Un dato particolarmente allarmante è quello degli innocenti finiti senza colpa in custodia cautelare e dei soldi spesi dallo Stato in risarcimenti per ingiusta detenzione”. A parlare così era l’allora procuratore generale di Catanzaro, Otello Lupacchini, nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Distretto catanzarese. Siamo nel 2019, l’anno dello scontro tra il procuratore generale, da poco arrivato a Catanzaro, Otello Lupacchini e il procuratore capo della Dda di Catanzaro Gratteri. Tra i due non corre buon sangue e lo scontro finisce con l’allontanamento del dottor Lupacchini ad altra sede: Torino.

È il 21 aprile 2016 quando il plenum del Csm, a larga maggioranza nomina il dottor Gratteri con pratica urgente procuratore capo di Catanzaro. Da allora molte sono le operazioni condotte dalla Dda sotto la sua guida, su tutte: l’operazione “Stige”, 9 gennaio 2018, contro la cosca Farao-Marincola di Cirò Marina, e la mega-operazione, denominata “Rinascita Scott”, 19 dicembre 2019, contro le cosche di ‘Ndrangheta del Vibonese con legami di affari tra imprenditoria, politica e massoneria deviata. Due operazioni che in sede di convalida delle ordinanze di custodia cautelare, furono ridimensionate dal Gip prima, dal Tdl poi, e per finire dalla Cassazione, che ordinarono, nelle varie fasi dell’iter giudiziario, la scarcerazione della quasi totalità degli indagati. Per quel che riguarda l’operazione Stige, c’è da dire che il 25 settembre del 2019 si è concluso il procedimento contro 104 imputati che avevano scelto il rito abbreviato, con 66 condanne e 38 assoluzioni. La sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Catanzaro, quindi, ha sostanzialmente confermato l’impianto accusatorio sostenuto dal Procuratore Gratteri.

Dalle molte operazioni condotte dal dottor Gratteri un dato, prepotentemente, emerge su tutti: quasi tutte le sue ordinanze si infrangono sugli scogli della Cassazione. Delle due l’una: o Gratteri è un incapace nello svolgere il proprio lavoro, tant’è che i magistrati preposti a vagliare il suo operato sono costretti, quasi sempre, a correggere i suoi grossolani errori, oppure c’è qualcosa di strano, tipo una cordata di fratelli magistrati disposti a difendere sottobanco i fratelli politici finiti nella rete di Gratteri, come succedeva un po’ di anni fa ai bei tempi del giudice Carnevale (altrimenti detto l’ammazza sentenze).

Egocentrismo a parte, Gratteri conosce bene il suo lavoro, e le possibilità di un boicottaggio organizzato del suo operato sono più che concrete. A dirlo le inchieste della procura di Salerno che confermano il preoccupante livello di corruzione nel distretto giudiziario di Catanzaro. Il caso Petrini/Manna è la prova provata della corruzione, a tutti i livelli, nel tribunale di Catanzaro. E non solo. Da quello che trapela sarebbero oltre 15 i magistrati indagati per corruzione, un numero davvero allarmante. Senza contare i legami degli stessi con i colleghi della Cassazione. Bisogna aspettare la conclusione di queste inchieste per capire fino a che livello è esteso l’accordo di boicottaggio del lavoro di Gratteri.

Per quel che riguarda l’inchiesta “Lande desolate” messa in piedi dalla Dda di Catanzaro per far luce sugli illeciti commessi nelle procedure di affidamento di gara relative a importanti opere pubbliche, su tutte l’appalto di piazza Fera/Bilotti, invece, la preoccupazione di un boicottaggio del lavoro svolto da Gratteri, dal nostro punto di vista, non esiste. L’esito era scontato. E lo abbiamo scritto sin dal primo momento. A leggere l’ordinanza era più che evidente la pretestuosità di certe accuse. Ma la cosa che più di ogni altra ci ha fatto pensare ad una “manovra” tutta interna alla Dda di Catanzaro, è stata la titolarità dell’inchiesta. A condurre l’indagine è stato l’ex pm antimafia Vincenzo Luberto, allontanato dalla Dda di Catanzaro perché scoperto a nascondere “informative scottanti” riguardanti amici politici.

L’inchiesta sin dal primo momento è affidata a ben tre pm: Camillo Falvo, Alessandro Prontera, e Vincenzo Luberto. Ma sia Prontera che Falvo, guarda il caso, ad un certo punto lasciano l’incarico e l’indagine rimane totalmente nelle mani di Luberto. Che ha un bel programmino in testa: creare i presupposti per la vittoria politica alle regionali di Jole Santelli. E l’inchiesta si presta bene allo scopo: azzoppare Oliverio e tutta la sua banda.

Luberto sa bene dove stanno le vere responsabilità, e per prima cosa si adopera per creare le giuste condizioni giuridiche per nascondere il vero “colpevole” di tutta questa storia di appalti mafiosi: Mario Occhiuto. Basta leggere l’inchiesta della Guardia di Finanza, mai firmata da nessun pm, per capire il grado di coinvolgimento del sindaco Occhiuto negli intrallazzi mafiosi del costruttore al servizio del clan Muto, Giorgio Ottavio Barbieri.

Sono gli anni in cui Luberto fa quel che più gli pare del suo ufficio. Nonostante i nostri tanti articoli nei quali invitavamo il dottor Gratteri ad attenzionare tutto l’operato di Luberto, nessuno ci ha ascoltati. E così Luberto imbastisce un’ordinanza dove tira in ballo Oliverio prima, e Bruno Bossio e Adamo poi, accusando il primo di abuso d’ufficio e gli altri di essersi adoperati a rallentare i lavori di piazza Fera/Bilotti per favorire il costruttore e la mafia, guardandosi bene anche solo dal pronunciare il nome di Mario Occhiuto. Del resto non poteva coinvolgere gli Occhiuto perché così facendo avrebbe creato non pochi problemi a Jole Santelli, vicesindaco di Cosenza, e candidata alla presidenza della regione Calabria.

Sta qui la responsabilità del dottor Gratteri in questo caso: l’aver consentito a Luberto di portare avanti l’ennesima inchiesta farlocca per favorire gli amici degli amici. Una responsabilità, sotto il profilo politico e sociale, di non poco conto. Ed oggi Gratteri, dopo la giusta decisione del Gup, è l’unico responsabile, agli occhi dell’opinione pubblica, di questo ennesimo fallimento giudiziario. Anche se in seguito cercherà il modo di riparare indagando anche Occhiuto, ma senza giungere, anche in questo caso, a nessuna conclusione. Della serie: quando la pezza è peggiore del buco.

L’assoluzione di Oliverio, Madame Fifì e Capu i Liuni riporta in vita la parte peggiore del Pd, ovvero i maggiori responsabili dello sfascio sociale, economico e politico della regione Calabria. Ancora una volta i capibastone riescono a farla franca, con una assoluzione servita su un bel piatto d’argento. E le rivendicazioni politiche, con annessa richiesta di risarcimento danni, non tarderanno ad arrivare. Al loro volere, ora, dovrà piegarsi anche Zingaretti, che sin dal primo momento non è stato in grado di mettere un freno allo strapotere e alla gestione privatistica del partito di quella che appare come la più forte paranza politica calabrese.

Per quel che ci riguarda, la loro assoluzione non vuol dire nulla di fronte alle gravi responsabilità storiche che il terzetto si porta sulle spalle: la loro ricchezza, come tutti sanno, è frutto degli intrallazzi politici perpetrati in oltre 30 anni di dominio politico incontrastato.