Catanzaro, ospedale Pugliese. Un dipendente-sceriffo vieta l’ingresso alla figlia di un paziente sotto i ferri

Il grande ospedale Pugliese di Catanzaro dopo il presunto caso (ancora tutto da accertare) di comportamenti inadeguati messi in atto contro colleghi, medici e utenti, da parte della coordinatrice del Soc di Pronto Soccorso Manuela Costanzo di cui mi sono occupato domenica scorsa, ha fatto registrare un recentissimo episodio (per giunta alla presenza di testimoni fra cui il sottoscritto) secondo me ingiustificabile e assai grave di atteggiamenti arbitrari e autoritari ad opera di un dipendente.
A una giovane donna, malgrado indossasse una mascherina cosiddetta DpI FFp3, è stato infatti vietato l’ingresso al nosocomio (adducendo quale motivazione le restrizioni dovute alle misure antiCovid) mentre l’anziano – e purtroppo vittima di vari seri malanni – padre si trovava sotto i ferri.
Di seguito tutti i particolari di una vicenda allucinante (sul personale il commissario dell’Azienda Giuseppe Zuccatelli dovrebbe iniziare a battere qualche colpo) a cui come premesso ho fortuitamente assistito di persona.

Fonte: L’Irriverente, il blog di Danilo Colacino

D’accordo, le norme anti-Coronavirus sono, e purtroppo devono essere, stringenti; d’accordo, questo assunto vale ancor di più per un grande ospedale come il Pugliese della città di Catanzaro, frequentato da migliaia di persone ogni giorno, e d’accordo quindi pure sull’impellenza di un filtro, anche molto rigido, agli ingressi. Ma l’episodio a cui ho assistito in prima persona a inizio settimana meritava probabilmente una denuncia alle autorità preposte o – almeno – un’immediata segnalazione alla direzione dello stesso presidio (magari proprio al commissario straordinario dell’Aopc Giuseppe Zuccatelli) che non può, anzi non deve, consentire ad alcuno dei suoi impiegati comportamenti arbitrari o, peggio, “autoritari”

Il fatto che vi sto per raccontare, a mio avviso Covid o non Covid, ha dell’incredibile. Tant’è vero che avrei voluto chiamare io i carabinieri, se soltanto la sfortunata protagonista dell’accaduto comprensibilmente in lacrime per la tensione (mista a sconcerto in realtà) accumulata non mi avesse chiesto di lasciar perdere, allo scopo di far accertare se nella fattispecie non ricorressero gli estremi di un reato, essendo pronto a fare il mio dovere di cittadino – e non già di blogger o giornalista – testimoniando sul disdicevole episodio. Che secondo me è – e resta – inaccettabile, qualunque siano le motivazioni giustificative eventualmente addotte, alla luce soprattutto del contesto generale, al di là del caso specifico, in cui è maturato e si è poi consumato.

Comunque sia, sono circa le 9.30 del mattino e si notano lunghi serpentoni di persone alle varie porte d’accesso al nosocomio. Entrano quasi tutti, dopo aver misurato la temperatura e spiegato sommariamente dove sono diretti e per quale ragione s’intende, anche con mascherine che per immaginarle davvero protettive di se stessi e in particolare degli altri ci vuole una robusta dose di fantasia. Nel volgere di pochi minuti, però, ai due vigilantes o volontari (non lo so e qui neppure rileva) addetti a tale operazione di controllo si affianca un dipendente con camice e cartellino di riconoscimento dell’ospedale che inizia a fare lo…sceriffo. È verosimile che la sua repentina quanto forse inopportuna “comparsa in scena” sia dovuta a un incarico conferito ad horas da qualche dirigente o magari “solo” da un medico, chissà se lo saprò in via ufficiale, appunto per provvedere a contingentare le numerose entrate senza sosta.

Sta di fatto, tuttavia, che il “nostro” – mi sembra chiaro – fraintenda del tutto il comando ricevuto, esorbitandone dai limiti, e si vesta d’autorità assumendo modi e toni da ducetto. A tal punto da impedire alla giovane e malcapitata professionista da me notata (per giunta appositamente munitasi di mascherina DpI FFp3 con protezione certificata di livello prossimo al 100% che nemmeno tutti i sanitari del Pugliese ne sono in possesso) di accedere all’ospedale mentre l’anziano padre – il quale ha per giunta vari malanni ‐ è sotto i ferri.

Una decisione (a mio avviso, lo ribadisco, insensata e ingiustificabile) che la priva di fatto del sacrosanto diritto di avere notizie e successivamente di assistere il genitore non appena uscito dalla sala operatoria (dopo la fase della cosiddetta osservazione), poiché trattandosi di un’operazione di ernia iatale eseguita in anestesia locale è prevista la procedura del Day Hospital ovvero della dimissione del paziente a distanza di poche ore dall’intervento a patto, come ovvio, della mancanza di motivi ostativi all’uscita.

Alla luce di quanto appena riferito e con la facoltà ancora di presentare un esposto a chi di competenza per quanto verificatosi, e dopo essermi peraltro occupato domenica scorsa di un altro presunto caso (quello allo stato da accertare per la verità) di atteggiamenti inadeguati tenuti dalla coordinatrice del Soc di Pronto Soccorso della medesima Aopc Manuela Costanzo, sarebbe probabilmente ora che Zuccatelli e i suoi stretti collaboratori iniziassero ad assumere seri e rapidi provvedimenti sul modus operandi del personale dell’Azienda (sanitaria e pubblica) anche perché, prima di concludere, va detto come poco dopo aver fatto l’intollerabile e ingiusta “sparata”, il dipendente-sceriffo di cui sto parlando sia andato a fumare per ben tre volte nel giro di appena mezz’ora o poco più. E tu chiamale, se vuoi, incongruenze tanto per ricorrere a un eufemismo!