Ciao Ciccio, la tua Cam Teletre e la vittoria più bella

di Gabriele Carchidi

La prima volta che ho incontrato Ciccio Dinapoli, nel gennaio del 1987, avevo 22 anni e mi affacciavo al mondo del giornalismo attraverso le radio private cosentine. Ciccio, invece, era già una “celebrità” delle televisioni private ed era il deus ex machina di Cam Teletre, la storica emittente cattolica fondata dai Padri Ardorini di Montalto, il cui direttore responsabile era Padre Vittorino Vivacqua e il cui capo riconosciuto era Padre Carvelli.

Dinapoli, ragazzo cattolico e cristiano di Cosenza Vecchia (‘a chiazza i l’ova) all’epoca non aveva manco 30 anni ma, reduce dalle proficue esperienze in Comunione e Liberazione, era già l’instancabile factotum di Cam Teletre, che a Cosenza tutti definivano “la televisione dei preti e della Democrazia cristiana”. I “preti” in effetti erano Padri ma cambiava poco e se c’erano loro alla guida era chiaro che si facevano gli interessi della Dc. Ciccio, poi, era proprio il segretario cittadino del partito e con la televisione dava visibilità ai politici della sua parte e scriveva – rigorosamente a penna e in stampatello, che ancora i computer erano un miraggio e le macchine da scrivere non gli sono mai piaciute – gli editoriali del telegiornale. Ero stato mandato a Cam Teletre da un mio collega, Franco Rosito, con il quale collaboravo a Radio Queen e che mi aveva chiesto se mi interessava fare televisione. Gli risposi di sì e lui mi mandò da Ciccio a Cam Teletre, dove anche lui conduceva un programma sportivo. In pratica, nel giro di pochi giorni, sarei diventato il “volto” e la voce del telegiornale di Ciccio Dinapoli in un periodo molto delicato della politica cosentina.

Per quasi sei mesi, infatti, la città non aveva avuto un sindaco – dopo le dimissioni lampo di Giacomo Mancini, che era stato nominato nel 1985 – a causa delle “guerre” non solo tra Dc e Psi, storicamente da sempre i partiti più influenti a Cosenza, ma anche all’interno delle loro stesse correnti. E così da marzo a luglio del 1986 il sindaco facente funzioni era stato l’assessore anziano ovvero il repubblicano Claudio Giuliani.

Franco Santo, segretario provinciale della Dc, era riuscito a farsi nominare nell’estate del 1986 ma era stato costretto a dimettersi poco più di un anno dopo anche lui perché il tripartito Dc-Psdi-Pri non aveva retto alla prova dei numeri. Santo non era un democristiano della corrente dominante di Riccardo Misasi ma si muoveva in maniera autonoma. Ciccio Dinapoli era il suo migliore allievo e, allora, proprio insieme a lui, aveva elaborato un piano per far riprendere a Santo il cammino interrotto: allearsi con un pezzo del Psi. Né Giacomo Mancini né Pino Gentile ma Pino Tursi Prato. Nacque così nel mese di settembre del 1987 un quadripartito (Dc-Psdi-Psi-Pri) che governò Cosenza fino alla primavera del 1989 e quella esperienza di governo fu tenuta a battesimo dagli editoriali di Ciccio Dinapoli che leggevo per lui a Cam Teletre con un successo sempre crescente, che alla fine doveva aver convinto quei socialisti che si aggregarono al progetto. Credo che per Ciccio quella fu una delle più belle soddisfazioni della sua carriera politico-giornalistica e la “vittoria” politica non era stata soltanto uno schiaffo a Mancini e ai fratelli Gentile ma soprattutto al gran visir della Dc calabrese ossia Riccardo Misasi, che notoriamente non gradiva Franco Santo e avrebbe voluto l’avvocato Peppino Carratelli.

Gli editoriali di Ciccio riflettevano la sua natura di politico lungimirante e di giornalista caustico e la sua invettiva, mai urlata o sopra le righe, era comunque raffinata e coglieva nel segno. Io facevo di tutto per interpretarla nella maniera migliore possibile a favore della sua causa ed era nata una bella intesa professionale più che politica. Cam Teletre, con quella operazione spregiudicata e vincente, era diventata inevitabilmente la televisione “politica” della città e sotto questo aspetto aveva battuto nettamente la sua rivale più diretta, Rete Alfa, del furbo editore napoletano Luciano Achito e dell'”odiato” Attilio Sabato (con il quale successivamente invece avrebbe lavorato a lungo), che si prestava invece alla solita politica dei due forni per fare cassa.

Dinapoli si divideva tra il “cittadino” (così gli addetti ai lavori chiamavano la segreteria della Dc) e Cam Teletre, che aveva i suoi studi a via Trento, una traversa di corso Mazzini, vicino alla rosticceria di Senatore e al vino e ai liquori di Monaco&Scervino, a due passi dalla Villa Nuova. Oltre ai telegiornali delle 14.30 e delle 19.30 spesso programmava interviste e speciali e si premurava anche di riservare uno spazio settimanale a Padre Vittorino mentre naturalmente non mancava il pallone, con tre trasmissioni settimanali.

I primi rudimenti della professione me li ha insegnati lui e per questo gli devo tanto. Mi ha fatto capire il linguaggio giornalistico, il taglio da dare alle notizie, la mimica e il tono della lettura. Certo, non ero proprio convinto dalla linea editoriale ma sotto questo aspetto Ciccio aveva avuto un asso nella manica impareggiabile: mi aveva fatto firmare il mio primo contratto di lavoro. Ero una sorta di “tecnico” con contratto di formazione e lavoro – come si chiamava una volta – a 750mila lire al mese ed ero ancora un ragazzino.

Raffaele Nicolò

Quanto al “tesserino” da giornalista, in Calabria se non scrivevi sulla Gazzetta o non collaboravi con la Rai non avrebbe potuto prenderlo nessuno perché il presidente dell’Ordine era un tale, Giuseppe Nicolò, che aveva creato una sorta di “muro di gomma” per tutti i giovani cronisti. Tv e radio private non davano diritto al praticantato e quindi nessuno – neanche Ciccio – poteva avere il tesserino, siamo stati tutti abusivi per anni e anni. E una delle battaglie di Cam Teletre fu anche questa, condotta in prima linea da Ciccio e da Padre Vittorino, che in qualità di direttore era stato pesantemente sanzionato da Nicolò proprio perché utilizzava cronisti “abusivi”. Alla fine fu Ciccio a consigliarmi di prendere il tesserino di pubblicista in Lombardia da Franco Abruzzo, così come aveva fatto lui. Prima che un’altra battaglia per la libertà di noi “abusivi”, condotta dal direttore del Quotidiano Ennio Simeone ci liberasse tutti.

A Cam Teletre sono rimasto 4 anni, dal 1987 al 1991, perché nel frattempo, dal 1990 in poi, era tornata la vecchia Telecosenza di Giacomo Mancini e non avevo saputo resistere al carisma dello statista. Ciccio c’è rimasto male ma non mi ha mai dato colpe e successivamente ha fatto delle scelte che non sono state in sintonia con le mie. Da Citrigno ad Attilio Sabato, da Tonino Acri a Mario Oliverio. Eppure tra noi c’è sempre stato grandissimo rispetto, anche nei momenti più conflittuali degli attacchi a Palla Palla. Avevamo chattato l’ultima volta agli inizi di ottobre, per la campagna elettorale di Rovito, il suo paesello, e sono stato felicissimo della vittoria del candidato che lui ha sostenuto, Giuseppe De Santis. Spero di avergli saputo dare il contributo che lui sperava per il successo (ma penso proprio di sì) e mi piace chiudere questo ricordo con il suo tributo a Rovito. Ciao Ciccio.

A Rovito
Ti hanno deriso, trascurato e sfregiato, ma tu risorgerai, paesello mio, più bello e più forte di prima.
I tuoi carcerieri non vogliono rassegnarsi, ma sanno che il popolo ha già decretato la loro sconfitta.
Tra qualche ora sorgerà un nuovo sole che illuminerà le tue colline e le tue contrade.
Sarà l’alba di un giorno nuovo in cui molti giovani, uomini e donne saranno orgogliosi e fieri della loro dignità.