Coronavirus, 17° giorno: ecco perché è una strana emergenza

Le precauzioni, in questi casi, non sono mai troppe, meglio “esagerare” con la prevenzione, piuttosto che ritrovarsi, per aver agito con leggerezza, con un bel focolaio di infetti da coronavirus fuori controllo. Ben vengano dunque tutte le determinazioni adottate in queste ultime ore dal Governo, dai presidenti di Regione e dai sindaci. Misure drastiche, come quella di “chiudere” la Lombardia, e le quarantene obbligatorie, che servono però ad arginare il diffondersi del virus, che in questa fase delicata è l’obiettivo primario da raggiungere. Bisogna fare uno sforzo collettivo di coscienza e rispettare per il tempo necessario le prescrizioni sanitarie, anche se stravolgono totalmente il nostro stile di vita. Abbiamo il dovere e l’obbligo di osservare le regole “imposte” in queste giorni dal Governo, non solo per tutelare noi stessi, ma soprattutto per tutelare il resto della popolazione, familiari nostri compresi. Restare a casa, limitare le uscite al solo indispensabile si può fare per qualche settimana, non è poi tutta questa “tortura”. Magari senza farsi prendere dal panico e mettendo in campo, con fermezza, tutta la lucidità che in queste situazioni serve.

Detto questo, qualche considerazione su questa “strana emergenza” va fatta. È innegabile la confusione che si è generata sin dal primo momento nella diffusione delle notizie sulla “pericolosità” o meno di questo maledetto coronavirus. Così come ancora oggi non è chiaro in quale parte del mondo si è verificato il primo contagio. Le tesi lette e sostenute sono diverse, come diverse tra di loro sono le poche notizie che girano sul lavoro medico per debellare questo bastardo virus.

A che punto è la produzione di un “antidoto”, nessuno lo sa. A leggere i comunicati diramati dall’OMS, si parla di studi in Australia, Israele, Cina, America e Cuba. Ma purtroppo, essendo un nuovo virus appena identificato, i tempi di realizzazione di un vaccino potrebbero essere lunghi, c’è chi dice quasi due anni. Per il momento la ricerca in tutto il mondo è concentrata a trovare un trattamento medico specifico, per arginare la diffusione del virus. Pertanto per ora le armi a disposizione contro tali infezioni purtroppo si riducono a norme comportamentali di prevenzione il cui rispetto è essenziale, come quelle diramate dall’OMS. Su quanto sia letale e contagioso questo pisciaturu di virus, all’oggi, ancora non esiste un dato certo. O meglio la comunità scientifica, su questo, non è unanime. Il che appare un po’ strano per la conoscenza medica del nostro tempo e per la tecnologia in nostro possesso. C’è chi, tra i medici, la paragona alla classica influenza di stagione con qualche aggravio in più, e c’è chi invece dice che è molto di più di una semplice influenza di stagione. A chi credere non lo sappiamo. In casi come questi solo la scienza può parlare, ma in questa storia, e a differenza del passato, anche la scienza pare confusa.

Già, perché a guardare tutta questa faccenda solo ed esclusivamente da un punto di vista matematico, senza cadere nel complottismo, e senza voler far dietrologia a tutti i costi, quello che viene fuori è un quadro dove “l’allarme di contagio” a questi livelli pare del tutto ingiustificato: i casi conclamati in Italia sono 5.000, se rapportiamo questo dato alla sola zona rossa istituita ieri dal Governo che comprende una popolazione pari a 16 milioni di abitanti, gli infettati da coronavirus rappresentano lo 0,03%, se rapportiamo il dato invece alla popolazione italiana gli infettati rappresentano lo 0,007% . Numeri che tranquillizzano da un punto di vista di diffusione del contagio, ricordando che siamo già al diciassettesimo giorno di “emergenza”. Anche se va detto che rispetto ai dati dell’influenza 2018-2019 (che i tecnici chiamano J10-11) – dove si sono registrati (sul totale) 812 casi gravi che hanno richiesto il ricovero in terapia intensiva causando 205 decessi, in un arco temporale di 33 settimane, con un picco di casi durante la 5° settimana dell’anno in cui si sono registrati 93 ricoveri in terapia intensiva e 23 decessi – quelli da coronavirus sono quasi raddoppiati, ma contenuti, almeno fino ad oggi, sempre nello 0,007% della popolazione italiana.

Un raddoppio che non vuol dire che chi si ammala finirà necessariamente in terapia intensiva o che il numero di decessi per coronavirus sia già fuori “controllo”, perciò è bene ricordare che per complicanze secondarie da influenza – che i tecnici chiamano J12-18 – si stima in Italia muoiano ogni anno tra le 8.000 e le 10.000 persone. Pare che il coronavirus sia più aggressivo dei suoi predecessori nei riguardi di chi già presenta delle gravi patologie legate alla respirazione, da qui si può capire perché i numeri della terapia intensiva sono raddoppiati.

Dunque quello che conta adesso è “rallentare” la diffusione del virus, per non esporre il nostro sistema sanitario al collasso. E ciò che stupisce in tutto questo, letti i numeri è: come mai ancora non sono riusciti a produrre un farmaco capace di tenere a bada un virus che per numeri, e ripetiamo solo analizzando i numeri, pare abbia fatto meno danni dei suoi predecessori?

Tutto questo panico è dovuto solo all’amplificazione delle notizie in tempo di social, oppure c’è qualcosa che ci sfugge? Nell’attesa di saperne di più l’augurio è che la situazioni si stabilizzi e che arrivi presto l’annuncio di un vaccino. Sempre che la Spectre non ci metta lo zampino.