Coronavirus, Cetraro. Le ragioni di Cesareo: “Per fare il tampone a Cosenza sono passati tre giorni”

Vincenzo Cesareo

Oggi, dopo aver smaltito la sbornia dell’annuncio di Jole Santelli sulla positività dell’ormai famoso paziente di Cetraro e dopo avere assistito attoniti a un balletto di responsabilità per quasi una settimana prima di rendersi conto di quanto accadeva, è il momento di far funzionare un po’ il cervello.

Il candido 70enne è un dializzato e pertanto più a rischio di altri. Parte da Casalpusterlengo, si mette in un bus, attraversa l’Italia, arriva a Cetraro, ed infine entra in un reparto di Emodialisi di un ospedale. E gli unici ad accorgersene e a cercare di minimizzare il danno, sono quelli del personale dell’ospedale di Cetraro? Come è possibile? Sono state informate per tempo le autorità sanitarie e di pubblica sicurezze di Casalpusterlengo circa le intenzioni del 70enne, dal momento che erano note all’ospedale di Cetraro da una ventina di giorni? Cara Jole Santelli, quali erano le misure in atto per evitare che questo pasticcio succedesse? Come mai non hanno funzionato? Cosa intendete fare adesso per arginare i rischi? Soprattutto per il personale sanitario e gli altri dializzati a Cetraro? Potreste spiegare quali sono i rischi e le misure in atto per arginarli?

In attesa di risposte – che naturalmente non arriveranno mai – intanto, pubblichiamo le ragioni del direttore sanitario dell’ospedale di Cetraro Vincenzo Cesareo, che ricostruisce quanto accaduto da lunedì a giovedì. 

Lunedì 24 febbraio, venivo messo al corrente dal servizio di Emodialisi che il paziente A. F., cetrarese di 70 anni che vive al nord, aveva fatto richiesta di dializzare a Cetraro 20 giorni prima e per due settimane, era giunto a Cetraro domenica 23 febbraio ed aveva telefonato sostenendo che l’indomani si sarebbe presentato per l’esecuzione della dialisi.

Mi si aggiungeva che detto paziente la terapia dialitica la faceva a Casalpusterlengo, uno dei centri dove è maggiormente presente il focolaio del coronavirus. Invitavo, pertanto, il centro di Emodialisi di Cetraro a contattare immediatamente il paziente dicendogli di non muoversi per alcun motivo dalla propria abitazione e di non stare a contatto con altre persone fino a nostre disposizioni.

Mi sono recato urgentemente a Cosenza presso il risk management dell’ASP di Cosenza dove ho partecipato ad una riunione già programmata proprio per il problema legato alla prevenzione dal virus. Ho esposto il caso alla riunione e, subito dopo, mi sono recato in Prefettura dove c’era una riunione del Comitato della Sicurezza alla quale partecipavano chiaramente il prefetto, il questore, il comandante provinciale dei carabinieri, la Protezione civile, la cosiddetta task force dell’ASP di Cosenza che ho cercato di contattare inutilmente per oltre 3 ore così come il famoso numero 1.500 messo a disposizione dal ministero della salute, il 118, il sindaco di Cosenza, il presidente della Provincia, i rappresentanti dei medici di famiglia e, non ultimo, il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza.

In quella riunione ho esposto il caso, sottolineandone la gravità di eventuale contagio visto che aveva viaggiato in autobus, invitandoli ad agire con immediatezza. Finalmente martedi giungevano alla Emodialisi di Cetraro i kit necessari per la protezione degli operatori sanitari. Fatto il primo prelievo ed inviato alla Virologia di Cosenza, questa ci notificava che il kit con il quale si era provveduto a fare l’esame non era idoneo, per cui il 118 giovedì ne portava un altro e veniva re-inviato il tutto alla Virologia.

Martedi il paziente veniva dializzato in sicurezza sia per gli operatori sanitari che per gli altri pazienti, visto che si era preventivamente individuato un percorso alternativo ed una camera debitamente predisposta per la dialisi. Non potevamo non far dializzare il paziente per non renderci colpevoli di omicidio volontario e non era certamente compito dell’ospedale di Cetraro rifiutare il paziente invitandolo a tornarsene nella sua residenza al nord. Semmai, erano i sanitari ed i familiari dello stesso paziente a non limitarsi a sconsigliarlo dallo scendere in Calabria, i quali avrebbero dovuto avvisare le autorità preposte per impedirne l’arrivo, visto che già in data 22 febbraio erano stati costituiti i cosiddetti cordoni per impedire fuga ed accesso nei comuni della cintura rossa del lodigiano. Solo grazie alle precauzioni prese, pur essendo asintomatico ma proveniente da una zona a rischio, il centro di Emodialisi non è diventato un focolaio. Per cui se non ci fosse stato addirittura un eccesso di zelo nel richiedere insistentemente l’esame, oggi verosimilmente avremmo dovuto mettere in quarantena locali ed operatori sanitari dell’Emodialisi.

Fin qui Cesareo. Che, almeno per il momento, non ci chiarisce il “mistero” del secondo tampone sul paziente di Cetraro. Lui dice che molto presto tornerà a scrivere di questa vicenda ancora molto nebulosa, noi ne dubitiamo. Chi vivrà, vedrà.