Coronavirus, tutta la verità della dipendente positiva del Tirrenia Hospital

di Saverio Di Giorno

Non riesce a trovare pace la Tirrenia Hospital, o meglio, chi vi lavora.  È di queste ore la dichiarazione rilasciata dalla dipendente che è risultata positiva al tampone. Una dichiarazione che ha confermato molte rivelazioni che avevamo avuto modo di anticipare in larga parte. Proprio per questo, riteniamo opportuno ritornare ancora una volta sulla vicenda, perché le vittime non si trasformino in carnefici o in untori. In questa storia, i ruoli sono da definire e abbiamo ragione a ritenere che “l’untore”, il vero paziente 0, non sia ancora venuto fuori. Sarà bene riprendere i passi principali con gli ultimi aggiornamenti.

La dipendente, nell’audio in possesso dallo Strillone, smentisce alcune dichiarazioni che aveva fatto circolare la struttura, ovvero che lei sarebbe stata assente 15 giorni. Tale dichiarazione non appare nemmeno a noi veritiera (dovrebbe essere in ogni caso facilmente verificabile), in quanto risultano solo 3 o 4 i giorni di malattia. Inoltre, diversamente da quanto si dice, lei dichiara di non vedere il suo compagno (in attesa del tampone) da 20 giorni circa per via delle restrizioni nei movimenti. La logica porta a ritenere che lei stessa abbia contratto il virus da qualcun altro e che il contagio non sia partito da lei; anche alla luce del fatto che esistono altri dipendenti, come da lei dichiarato, che avevano accusato sintomi particolari e in periodi precedenti a quanto ci risulta. Anche questo è riscontrabile.

Nei giorni di isolamento, nella paura e nella solitudine, si ripercorrono mille volte i propri passi per capire l’errore, il contatto sbagliato. E non si può che tornare alla struttura; ma non è solo la rabbia e la paura che spingono a ritenere questo, ma i ricoveri anomali (per numero e procedura) che si sono susseguiti nei giorni precedenti i nostri articoli. Ricoveri, come più volte detto, provenienti da altre strutture del gruppo Crispino che si trovano in luoghi divenuti focolai.

A seguito della positività, sono state fatte operazioni di sanificazione evidentemente tardive e, ancor prima, era stata decisa una cassa integrazione a rotazione. Vi è inoltre da dire che alcuni sindaci, preventivamente, avevano deciso di porre in quarantena alcuni loro cittadini. Le scelte e le risposte della struttura sono state finora, se non altro, lente. Sin dall’inizio. Solo dopo che la richiesta di protezione e cioè di semplice materiale base è approdata sulle pagine dei giornali, è stato annunciato il fornimento e anche ora, solo dopo che, coraggiosamente, la dipendente ha comunicato la presenza di altri colleghi con sintomi, si è deciso a procedere ad un tamponamento. Tamponamento che, per essere efficace, dovrebbe dar modo alla malattia (se c’è) di venir fuori. E tamponamento che, secondo noi, andrebbe esteso anche ai pazienti, passati solo per il pretriage; in particolare, quelli provenienti dalle case di cura di cui sopra. Avevamo infatti già detto che una ricerca scrupolosa delle origini della diffusione deve riprendere in mano anche le cartelle cliniche. Magari, guardandole con un nuovo occhio, potrebbero venir fuori segnali prima passati in sordina.

In questa storia nemmeno i pazienti trovano pace, perché prima lasciati in balia della cassa integrazione a rotazione e poi, tra auto-quarantene e congedi, il potenziale della struttura è per forza di cose ridotto e probabilmente richiederà spostamenti e collaborazioni tra reparti.

Ad ogni modo, i NAS sono stati in struttura e come ci risulta, anche le forze dell’ordine. Hanno così potuto verificare se e come a tutti i dipendenti fossero garantite le condizioni lavorative più adeguate e se fossero state prese finalmente tutte le precauzioni dovute. Quel che è certo è che, a questo punto, le autorità hanno abbastanza materiale per poter fare le verifiche del caso.

Ricercare la fonte del contagio sarebbe utile a tutti, clinica compresa. Infatti, nel caso in cui non si tratti di Bocchigliero o Villa Verde, potrebbe esistere un focolaio sommerso. Rimangono fermi degli interrogativi, ora di dominio pubblico, ma che circolavano evidentemente per i corridoi già da tempo: perché nulla si è saputo dei dipendenti che accusavano sintomi già in giorni precedenti? Perché non si è proceduto a una verifica delle loro condizioni? Perché quei famosi trasferimenti e ricoveri, inopportuni in questo momento? La troppa disinvoltura con cui sono stati gestiti sia pazienti che dipendenti, probabilmente a causa della paura del contagio è stata scambiata per noncuranza.

Ma la struttura non è l’unica che ha tratto guadagni e/o disgrazie da questa vicenda. C’è chi ha potuto mostrare il suo valore, chi l’effettiva vicinanza o lontananza al territorio e chi ne ha tratto visibilità e medaglie. Questo virus è passato come uno scanner che ha evidenziato, lasciando nude, le persone: chi è rimasto con i propri averi, chi con la propria boria, chi con la propria paura e chi con la propria dignità.