La faida tra i magistrati calabresi si è chiusa temporaneamente quattro anni e mezzo fa con i trasferimenti del procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini e del procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla. Che però, qualche mese fa, è stato “clamorosamente” assolto dal Csm, che a sua volta tuttavia ancora gli impedisce di poter prendere possesso di una procura per motivazioni che è fin troppo facile immaginare.
Le forze in campo erano e sono note a tutti: da un lato il procuratore generale della Corte d’Appello di Catanzaro Otello Lupacchini, supportato dai procuratori di Castrovillari e Paola ovvero Eugenio Facciolla e Pierpaolo Bruni e dall’altro il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, spalleggiato dall’aggiunto Vincenzo Luberto, poi trasferito anche lui dopo una perquisizione della procura di Salerno, e dal procuratore di Cosenza Mario Spagnuolo, meglio conosciuto come il Gattopardo, indagato dalla procura di Salerno per corruzione in atti giudiziari.
Persino i grandi media – dopo le rivelazioni de Il Fatto Quotidiano del 17 gennaio 2020 – hanno riconosciuto la validità delle nostre inchieste e la circostanza che ci siano addirittura 15 magistrati calabresi indagati, sia pure senza la necessaria forza da parte della procura connivente di Salerno (e non si capisce ancora bene chi ha presentato tutte le denunce al Csm), è la prova provata di questa faida senza quartiere che contrappone, a nostro modesto avviso, due modi di intendere la Giustizia. Lupacchini, Facciolla e Bruni cercano di mettere un freno alla corruzione dilagante mentre Luberto e Spagnuolo cercano di bloccarli con ogni mezzo possibile e coinvolgono inevitabilmente anche Gratteri. Non è un mistero per esempio che Luberto abbia fatto sparire le intercettazioni dell’ex deputato Ferdinando Aiello e del senatore don Ernesto Magorno. Non a caso entrambi renziani. Per non parlare delle connivenze di Spagnuolo, il Gattopardo di Cosenza messo lì per garantire gli interessi della massomafia di stato. L’uomo-chiave della faida è un maresciallo pentito, tale Carminuzzu Greco, figura molto controversa ma che nella circostanza è stato incastrato proprio quando aveva individuato meccanismi molto delicati del sistema di potere.
Ma veniamo ai fatti. Il procuratore capo di Castrovillari Eugenio Facciolla, grazie all’operazione “Platone”, aveva rimesso mano alla patata bollente della famiglia (i)Greco di Cariati. Cosa c’entra con il gruppo di Gratteri? C’entra, eccome se c’entra. Perché – anche se i media di regime provano disperatamente a fare finta di nulla – c’è una evidente disparità di vedute tra la procura di Castrovillari e quella di Catanzaro sulla considerazione da dare a questa famiglia che fa parte del ristretto novero dei boss della sanità privata e dell’industria agroalimentare.
A molti non è sfuggito che in occasione dell’operazione Stige – uno dei tanti flop del procuratore Gratteri da quando si è insediato a Catanzaro – la famiglia (i)Greco è stata quasi “santificata” dallo zio Nicola, il quale si era affrettato a mettere nero su bianco la circostanza riguardante presunte denunce di Saverio e Filomena Greco nei confronti di un personaggio che avrebbe voluto mettere le mani della ‘ndrangheta sul porto di Cariati.
Secondo l’impianto accusatorio di Gratteri, era Leonardo Rispoli l’uomo che governava, per conto del clan Farao-Marincola, sulla “Lega navale” di Cariati. Il suo sarebbe stato un dominio totale, tale da costringere il presidente uscente, Giovanni Cufari, a dimettersi e rinunciare alla rielezione. Estrometterlo sarebbe, per Rispoli, un modo per accaparrarsi la gestione delle attività economiche legate al porto della cittadina dello Jonio cosentino, Cariati appunto. Sarebbe, in pratica, sempre secondo lo zio Nicola e il suo scadente aggiunto, la riproposizione di quanto già avvenuto a Cirò Marina.
Con una differenza: a Cariati la cosca avrebbe trovato un sindaco pronto a denunciare. Questo almeno raccontano le carte dell’inchiesta “Stige”. Filomena Greco, che all’epoca dell’operazione Stige era stata appena sfiduciata, avrebbe denunciato queste ingerenze della criminalità organizzata. La sindaca e la sua famiglia avrebbero deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine per strappare il porto dalle mani della ‘ndrangheta. Saverio Greco, in particolare, nel febbraio 2016 (prima delle elezioni amministrative), riferisce agli investigatori che “a Cariati era ormai notizia diffusa che esponenti della ‘ndrangheta cirotana erano interessati non solo alla gestione del porto, ma anche alla gestione del correlato mercato ittico, che in quel momento passava anche dall’aggiudicazione di una gara d’appalto che il Comune di Cariati avrebbe dovuto bandire”. Sono i giorni nei quali si consumano le minacce ai danni del presidente della “Lega navale”.
Qualche mese dopo – è giugno – il sindaco neo-eletto solleva “dall’incarico di responsabile dell’Area Tecnica Antonio Dell’Anno, persona evidentemente asservita alle volontà di Leonardo Rispoli, nominando al suo posto Adolfo Benevento“. Il nuovo dirigente annulla la determina con la quale la gestione dell’area portuale era stata affidata al “Circolo Nautico” di Rispoli, unico partecipante alla gara. E la sua vita, d’improvviso, si complica. “Il giorno seguente (21 giugno 2016) alla comunicazione a Rispoli della revoca dell’affidamento – scrive il gip –, Benevento subiva un grave atto intimidatorio, allorché ritrovava davanti al portone d’ingresso della propria abitazione, la carcassa di un cane con il cranio frantumato. Assai difficile – si legge ancora nell’ordinanza di custodia cautelare – non collegare l’intimidazione ai provvedimenti amministrativi appena adottati dal nuovo responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune, che penalizzavano Rispoli e per l’effetto la compagine criminale per conto della quale opera al porto di Cariati”.
Zio Nicola, quindi, insieme al suo sempre più scadente aggiunto, allora ancora tenuto in piedi, “cala” anche qualche intercettazione telefonica a confermare il contesto ipotizzato da Saverio Greco: i rapporti tra Rispoli e gli esponenti della cosca di Cirò Marina, la collaborazione con i Farao per l’imposizione del vino prodotto da aziende vicine alla cosca e infine i metodi spicci utilizzati per convincere Giovanni Cufari a non ricandidarsi. La chiave dell’accusa, sostanzialmente, sta in una telefonata registrata il 21 marzo 2016. “Dicono che hai picchiato a quello…il professore Cufari … quello della Lega?”, chiede l’interlocutore di Rispoli. “Sì … l’ho picchiato, gli ho detto! Ormai … mi frego di loro! …”. Bene, questa intercettazione per zio Nicola e per il suo sempre più impresentabile aggiunto, vale come una confessione…
Volete sapere com’è andata a finire? Beh, Leonardo Rispoli si è sin dall’inizio professato innocente e ha, per mezzo della difesa, indicato una serie di elementi a suo favore che ne hanno dapprima determinato, da parte della Corte di Cassazione, l’annullamento della misura cautelare in carcere tramutata in quella degli arresti domiciliari e pochi giorni dopo, vagliati positivamente dai giudici del Tribunale della Libertà di Catanzaro, hanno portato alla sua remissione in libertà con conseguente crollo dell’impianto accusatorio nei suoi confronti. Questo significa che le dichiarazioni della famiglia (i)Greco non riportavano la verità e che personaggi come Adolfo Benevento (impelagato nell’operazione Feudalitas della procura di Castrovillari) sono solo funzionali ai potentissimi imprenditori cariatesi ai quali piace recitare il ruolo delle “vittime”. Esattamente come al sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, altro “protetto” dal gruppo di Gratteri.
Qualche tempo dopo, poi, Saverio Greco, definito addirittura “coraggioso” da Gratteri e Luberto, è stato arrestato da Facciolla, che l’ha beccato con le mani nella marmellata e cioè mentre stava provando a realizzare un ospedale privato con autorizzazioni farlocche procurategli dalla sorella eletta di nuovo sindaca di Cariati. Corruzione, abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti e persino abusivismo edilizio: queste le accuse formulate a Saverio e Filomena Greco e per le quali il giudice ha detto sì agli arresti.
Altro che eroe che denuncia la ‘ndrangheta… questo è proprio un truffatore incallito e spavaldo. E allora, qual è il vero volto di Saverio e più in generale della famiglia (i)Greco? Anche su questa delicata vicenda va avanti la contrapposizione giudiziaria tra i “buoni” e i “cattivi” ed è davvero impossibile per noi non stare dalla parte di chi prova a fermare la corruzione. E secondo quanto ci dicono sempre più “uccellini” la pacchia per i tamarri arricchisciuti di Terravecchia potrebbe persino finire… Intelligenti pauca!