Cosenza: arriva Pillon, “bestia nera” di Braglia. Tecnico esperto che non ha “sponsor” e raccomandazioni

Nessun dubbio, nessuna sorpresa. Bepi Pillon correva da solo per la panchina del Cosenza, non c’erano altri candidati dopo l’esonero annunciato di Piero Braglia. Confermato anche l’incontro per stamattina, l’ultimo passaggio burocratico, in pratica una formalità. Pillon è arrivato in Calabria nella tarda serata di ieri, il Cosenza lo aspetta per la firma. Lo riporta il sito di Alfredo Pedullà.

La Società Cosenza Calcio comunica di aver affidato l’incarico di allenatore a Giuseppe Pillon, detto Bepi. Il tecnico, nato a Preganziol (TV) l’8 febbraio 1956, detiene con Alberto Zaccheroni, tra l’altro ex allenatore rossoblù, l’invidiabile record di aver conseguito tre promozioni consecutive alla guida del Treviso portando il club veneto, tra il 1994 e il 1997, dalla Serie D alla Serie B. Dopo aver collezionato esperienze sulle panchine di Padova, Genoa, Lumezzane e Pistoiese viene chiamato dall’Ascoli dove, al termine della stagione 2001/2002 ottiene il salto di categoria nella serie cadetta. Tornato al timone del Treviso nell’autunno del 2004 centra un’altra promozione, questa volta in massima serie. Nella stagione successiva raggiunge l’apice della sua carriera alla guida del ChievoVerona ottenendo una storica qualificazione ai preliminari di Champions League. Altre squadre allenate da Pillon sono, in ordine cronologico, Bari, Livorno, Empoli, Reggina, Carpi, Pisa, Padova, Alessandria, e, in ultimo, Pescara. Salito in sella per il rush finale della stagione 2017/2018, contribuisce alla salvezza matematica degli abruzzesi venendo riconfermato in vista dell’annata successiva, conclusa con l’approdo alla semifinale playoff, persa con l’Hellas Verona. Già arrivato in città, mister Pillon ha firmato un contratto che lo legherà al club rossoblù fino al termine della stagione.

Bepi Pillon ha 64 anni e a Braglia lo legano addirittura tre esperienze nelle quali subentra proprio a lui dopo i suoi esoneri: è successo a Pisa, ad Alessandria e adesso a Cosenza. L’ultima intervista di un certo peso mister Pillon l’ha rilasciata l’estate scorsa a Il Centro, il giornale più letto di Pescara e di tutto l’Abruzzo. Dopo la promozione sfiorata nella stagione scorsa con il Pescara era senza panchina e non nascondeva la sua delusione per come il calcio italiano è ancorato a dinamiche non proprio meritocratiche.

PESCARA. Pantaloncini, maglietta e infradito. In soffitta fischietto, palloni e casacche. Bepi Pillon da ieri non è più l’allenatore del Pescara, il suo contratto è scaduto ed è libero di accasarsi in altre squadre. «Per ora mi godo il mare. Vado in giro in pantaloncini tutto il giorno e mi rilasso. Qui si sta da Dio», racconta al Centro il 63enne allenatore veneto, che ha portato il Pescara a un passo dalla serie A.

Pillon, è ancora in vacanza in Sardegna?

«Sì, certo, ho casa vicino Muravera, a Costa Rei per l’esattezza, da tanti anni. Di solito mi trattengo in Sardegna fino alla prima settimana di luglio, perché ho sempre allenato negli ultimi 25 anni. Quest’anno, invece, forse mi tratterò per più tempo visto che non ho una squadra».

Ha smaltito l’amarezza dopo l’eliminazione dai play off?

«La settimana successiva alla semifinale contro il Verona è stata infernale. Ero sempre nervoso e ripensavo a quella maledetta partita. Quel tiro di Bellini, finito sopra la traversa, poteva cambiare la stagione…».

Nessuna chiamata?

«No, sono disoccupato (ride, ndr). Sono dispiaciuto perché, dopo una buona stagione, non mi ha cercato nessuno, ma conosco il calcio e so come funzionano certe cose in determinati ambienti».

Ovvero?

«Non sono raccomandato, non sono legato ai procuratori e non ho sponsor. Sono un cane sciolto, fiero di esserlo, ma sono rimasto a spasso. A volte in Italia conta più il procuratore che il curriculum dell’allenatore…»

La speranza è quella di entrare in gioco appena salteranno le prime panchine?

«Vedremo. Alcuni mi considerano un vecchietto e preferiscono prendere i giovani, poi, però, quando le cose vanno male, le società chiamano noi vecchietti per rimettere le cose in ordine».

Il suo ricordo di Pescara?

«Ho vissuto dei momenti straordinari. Ho avuto un rapporto splendido con il ds Giorgio Repetto e con tutti i ragazzi che ho allenato. Non parlo solo dell’annata appena conclusa, ma anche quella precedente, nel 2018, quando abbiamo centrato la salvezza. Quella squadra aveva grandi potenzialità e avrebbe meritato molto di più rispetto alla semplice salvezza».

Il momento più bello della sua avventura pescarese?

«Sono due. La vittoria in trasferta contro la Ternana l’anno scorso e poi il successo di La Spezia nell’ultimo campionato, dove abbiamo fatto una gara super. All’inizio del torneo giocavamo molto bene e abbiamo fatto delle grandi partite».

Poi cos’è successo?

«Con la cessione di Machin al Parma, l’infortunio di Melegoni e poi quello di Kanoutè, siamo rimasti in pochi a centrocampo. Abbiamo pagato tantissimo questa situazione. Memushaj si allenava poco perché aveva problemi fisici e faceva poi di tutto per andare in campo la domenica. Anche Brugman non è stato benissimo. Diciamo che le assenze di alcuni uomini sono state pesanti».

L’assenza di un vice Mancuso ha influito?

«Lasciamo stare, non cerco alibi. Ho allenato un grande gruppo e ho avuto un grande bomber come Leo. Poi, se a gennaio fosse arrivato un giocatore in grado di supportarlo, l’avrei accolto a braccia aperte, ma così non è stato. Pazienza…».

È stata una stagione esaltante, andata oltre le più rosee previsioni?

«Negli ultimi 10 anni della mia carriera quella di Pescara è stata l’esperienza più entusiasmante. Mi sono divertito ad allenare questa squadra e ci siamo meritati tutto quello che abbiamo raccolto. Ad agosto nessuno credeva in noi, ma alla fine tutti hanno dovuto fare i conti con il Pescara. Ci davano per spacciati, invece abbiamo sfiorato la serie A».

Nonostante qualche punzecchiatura del presidente Daniele Sebastiani.

«Con Sebastiani ho avuto sempre un rapporto molto sincero. Lui non mi ha mai creato problemi nel lavoro quotidiano e non ha mai messo bocca nelle scelte tecniche. Poi, tramite la stampa, ha fatto delle esternazioni, ma ho sempre rispettato la sua opinione e sono sempre andato avanti per la mia strada. Con la schiena dritta ho sempre fatto il mio lavoro».